Vita quotidiana

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Skyphos

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Skyphos

È un altro dei vasi usati per bere durante i banchetti. Si tratta di una coppa profonda, di grande capacità, con due anse sui lati. Skyphos con una giovane in altalena spinta da un sileno. IV secolo a.C. Musei statali, Berlino

 

 

Foto: Bpk / Scala, Firenze

Kylix laconica a figure nere con Prometeo e Atlante. Attribuita al Pittore di Arkesilas. 550-560 a.C. circa

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Kylix laconica a figure nere con Prometeo e Atlante. Attribuita al Pittore di Arkesilas. 550-560 a.C. circa

Era uno dei tipi di coppa usata per bere la miscela di acqua e vino. È larga e poco profonda, con piede alto e due grandi anse laterali. Kylix con un uomo che tiene in equilibrio una kylix. VI secolo  a.C. Allen Memorial Art Museum, Ohio

 

 

Foto: Bridgeman / ACI

Olpe

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Olpe

È molto simile all’oinochoe, ma a imboccatura circolare. Si usava sia per contenere il vino, sia per servire il vino con l’acqua nei vasi. Olpe con figura di un cacciatore con due prede accompagnato dal cane. VI secolo a.C. British Museum

 

 

Foto: British Museum / Scala, Firenze

Psykter

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Psykter

Si riconosce dal corpo bulboso su una base alta e stretta. Serviva per raffreddare il vino con acqua fredda e talvolta con ghiaccio. Psykter su cui sono raffigurati satiri che bevono vino dalle anfore. British Museum

 

Foto: British Museum, Scala / Firenze

Hydria

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Hydria

Era un vaso in ceramica usato per trasportare e immagazzinare l’acqua. Aveva tre anse, due ai lati e una centrale per versare l’acqua. Quella dell'immagine è decorata con una scena di donne che vanno a prendere acqua. VI secolo a.C. Museo di Villa Giulia, Roma

Foto: Dea / Scala, Firenze

Cratere

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Cratere

Era un grande recipiente nel quale si mescolavano l’acqua e il vino. Ne esistevano quattro tipi: a volute, a calice, a campana e a colonnette. Nell'immagine, cratere a volute con scena di attori
e musici. V secolo a.C. Museo Archeologico nazionale, Napoli

 

 

Foto: Bridgeman / ACI

Vaso di vetro

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Vaso di vetro

Dal I secolo a.C. si diffusero vasi in vetro di forma allungata per conservare oli e pomate. Museo Haaretz, Tel Aviv.

 

Foto: Erich Lessing / Album

Scrigno

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Scrigno

Servivano per riporre i cosmetici. Alcuni erano molto preziosi, come questo, in argento e con fini rilievi. British Museum, Londra. 

 

Foto: Erich Lessing / Album

Ceramica

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Ceramica

Recipienti di terracotta come questo, conservato al Museo Ostiense, erano utilizzati per custodire pomate e unguenti.

 

Foto: Erich Lessing / Album

Specchi

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Specchi

Gli specchi erano in bronzo (come quello sopra, conservato nel Museo Archeologico di Napoli), o in vetro laminato con piombo.

Foto: Foglia / Scala

Applicatori

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Applicatori

Per truccare occhi e labbra si impiegavano bastoncini per cosmetici, come quello sopra. Università di Haifa.

 

Foto: Erich Lessing / Album

Recipienti preziosi

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Recipienti preziosi

I cosmetici erano conservati in recipienti di terracotta, vasi di vetro o contenitori di vari materiali come questo vaso d’argento per cosmetici proveniente da Ercolano. Museo archeologico nazionale, Napoli

Foto: AKG / ALBUM

Scrigni di bellezza

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Scrigni di bellezza

Le romane di classe alta conservavano i flaconi dei cosmetici, insieme agli strumenti per truccarsi, in uno scrigno noto come 'capsa' o 'alabastrotheca', così detta perché al suo interno erano riposti gli 'alabastron', vasi che in genere contenevano unguenti profumati. Queste cassette erano custodite sotto chiave in un armadio della stanza da letto. Cofanetto per cosmetici in legno e avorio. Museo archeologico nazionale, Napoli. 

Foto: Erich Lessing / Album

La pedofilia era socialmente accettata (fino a un certo punto)

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La pedofilia era socialmente accettata (fino a un certo punto)

Avere relazioni sessuali con minori, anche con bambini molto piccoli, non era ragione di scandalo. Al contrario: poteva essere addirittura un gesto ben visto perché la differenza d'età era un segno di dominazione. Di fatto i romani di solito avevano le prime esperienze sessuali con ragazzi o ragazze molto giovani, appena entrati nella pubertà, e non era raro che un romano ricco disponesse di schiavi giovani il cui proposito fosse proprio quello di compiacerlo sessualmente. Il sesso con la propria moglie di solito aveva lo scopo di procreare, e visto che molti matrimoni erano in realtà alleanze politiche spesso all'interno della coppia non c'era amore né affiatamento sessuale. 

Foto: iStock / skymoon13

La “pornografia” era considerata di buon gusto

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La “pornografia” era considerata di buon gusto

Non è rato che gli scavi rivelino mosaici o oggetti con tematiche sessuali: ciò che oggi chiameremmo pornografia era qualcosa di molto comune per i romani, che ne usavano gli elementi per mosaici, statue ed oggetti personali come specchi. A Roma si credeva che il sesso fosse un regalo di Venere, la dea dell'amore, e se era un regalo non bisognava nasconderlo né disprezzarlo. Questo può sembrare contraddittorio se pensiamo all'importanza che a Roma si dava al pudore, ma in realtà non lo è: si era liberi di godere dei piaceri di Venere, sempre che si facesse seguendo le regole della società. 

Foto: Pubblico Dominio

La prostituzione era molto economica

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La prostituzione era molto economica

E non si tratta di un'esagerazione: un servizio sessuale economico aveva lo stesso prezzo di un bicchiere di pessimo vino, circa uno o due assi. Questo prezzo non si applicava solo nei bordelli, ma anche ai servizi delle cameriere, e per questo motivo la clientela di solito era di origini umili. Le donne – e meno frequentemente gli uomini – che vi si prostituivano erano schiave o liberte povere, che non avevano nessuna speranza di migliorare il proprio status. Le tariffe delle meretrici erano totalmente diverse: si trattava di donne colte e ricche che non solo concedevano favori sessuali, ma erano anche una compagnia gradevole. Eppure, anche se si trattava di donne ricche, per la morale romana continuavano ad essere indegne e in nessun caso paragonabili a una casta e "autentica" donna. 

Foto: Dominio pubblico

Le prostitute potevano essere identificate dai vestiti e dal colore dei capelli

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Le prostitute potevano essere identificate dai vestiti e dal colore dei capelli

Le prostitute dei bassifondi avevano una pessima reputazione, per cui i membri "rispettabili" della società cercavano di evitare di essere visti insieme a loro. Di conseguenza le donne che si dedicavano a questo mestiere dovevano essere facilmente identificabili. Il modo più facile era quello di tingersi i capelli con colori chiaramente artificiali, come blu o arancione. Erano riconoscibili anche dai vestiti: mentre la donna romana usava un abbigliamento abbastanza ricercato, le prostitute usavano degli abiti semplici e leggeri (che permettevano di vestirsi e svestirsi rapidamente), e che mettesse in risalto le forme del corpo.

Foto: iStock / dreamhelg

Le taverne offrivano i servizi sessuali delle proprie cameriere

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Le taverne offrivano i servizi sessuali delle proprie cameriere

Le taverne romane non offrivano solo cibo e bevande, ma anche servizi sessuali delle proprie cameriere. Per questo motivo, quello era uno dei mestieri considerati indegni, e generalmente veniva realizzato da donne di estrazione sociale molto bassa, come schiave, liberte povere o straniere. Ma se era veramente necessario non era impossibile che il proprietario di una taverna arrivasse a far prostituire le proprie figlie, nonostante sapesse che così facendo le condannava a non abbandonare mai lo status più basso della società.

Foto: iStock

Uomini e donne usavano gli schiavi come se fossero "strumenti sessuali"

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Uomini e donne usavano gli schiavi come se fossero "strumenti sessuali"

Per la mentalità romana, uno schiavo era una proprietà della quale disporre come meglio si credeva, anche a livello sessuale. L'importante, come sempre, era rispettare la gerarchia sociale: uomini e donne liberi non potevano lasciarsi penetrare dai propri schiavi né praticare a loro del sesso orale; non dovevano insomma dargli piacere in alcun modo mentre gli schiavi erano obbligati a soddisfare i loro padroni. Le donne, sempre a causa dell'onore, dovevano rispettare più limiti ma potevano comunque utilizzare le proprie schiave con fini sessuali; e in effetti era preferibile che "usassero" altre donne perché, nel peggiore dei casi, nessuno avrebbe potuto accusarle di essersi fatte penetrare. 

Foto: Hermitage (CC)

La verginità maschile era qualcosa di inaccettabile

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La verginità maschile era qualcosa di inaccettabile

Era comune che gli uomini, già nel corso della loro adolescenza, frequentassero bordelli o avessero relazioni con serve e schiave. La verginità maschile era qualcosa di molto mal visto nella società romana perché l'uomo doveva essere un dominatore. D'altra parte la donna, soprattutto se era di classe alta, aveva l'obbligo di arrivare vergine al matrimonio, principalmente per una questione morale: bisognava evitare che la donna venisse a conoscenza dei piaceri del sesso perché si credeva che questo potesse spingerla a compiere adulterio. 

Foto: iStock / Crisfotolux

I concetti di omosessualità, eterosessualità, bisessualità non esistevano

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I concetti di omosessualità, eterosessualità, bisessualità non esistevano

Tutte le definizioni che oggi usiamo per i diversi aspetti della sessualità non avrebbero alcun senso per un romano: per la società romana il sesso era sesso. Gli uomini potevano avere relazioni sessuali con individui del loro stesso genere o del sesso opposto, e nessuno li criticava per questo, sempre che l'altra persona avesse uno status sociale inferiore (servi, schiavi, o anche uomini liberi stranieri). Anche le donne sposate potevano mantenere questo tipo di relazioni ma dovevano farlo con discrezione perché era in gioco il loro onore. Le liberte o le donne straniere potevano permettersi una maggiore libertà visto che i romani non le consideravano membri della loro società a tutti gli effetti.

Foto: iStock / irisphoto2

Non era importante cosa si faceva, ma chi lo sapeva

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Non era importante cosa si faceva, ma chi lo sapeva

Anche se la società romana aveva (come tutte) una serie di regole riguardo al sesso, nell'intimità molti cittadini non le rispettavano affatto. D'altra parte il problema non era tanto fare qualcosa che poteva essere considerato "indegno", ma piuttosto chi lo veniva a sapere e soprattutto chi poteva dimostrarlo. Essere accusato da parte di un altro uomo libero poteva rovinare la carriera di un senatore; se invece la denuncia proveniva da una donna plebea l'accusato aveva più possibilità di uscirne pulito. Se a puntare il dito fosse stata una donna d'origine nobile di sicuro si sarebbero svolte delle indagini, mentre se era uno schiavo a fornire informazioni sulle perversioni di qualcuno, la persona in questione non aveva di che preoccuparsi. Lo status sociale era tutto a Roma e il valore della parola era direttamente proporzionale all'importanza di colui che la pronunciava; per questo un uomo o una donna di alto rango potevano permettersi i propri piaceri, assicurandosi sempre che non venisse a saperlo nessun personaggio rilevante.

Foto: Maccari Hall

Festival o matsuri

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Festival o matsuri

Questo kosode femminile di seta blu è stampato con la tecnica di pittura yuzen, inventata nel XVII secolo, in cui si possono tracciare delle linee molto sottili e precise, quasi indistinguibili dai ricami. 

 

Foto: Bridgeman / Index

Fenice

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Fenice

Al centro della composizione ricamata e stampata di questo kosode femminile a maniche corte, su sfondo bordeaux, è visibile una fenice, ho-ho o karura, simbolo di sincerità, verità e onestà.

 

Foto: Bridgeman / Index

Pini

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Pini

I pini, matsu, ricamati su questo kosode femminile di seta erano associati alla stagione invernale e simboleggiano longevità, buona fortuna e lealtà. 

 

Foto: Bridgeman / Index

Gru

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Gru

Questo kosode maschile è decorato con delle gru, tsuru,  simbolo di buona fortuna
e longevità, poiché, secondo la tradizione, questi animali possono vivere fino a mille anni. 

 

Foto: Bridgeman / Index

Zattere di fiori

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Zattere di fiori

Questo kataginu per uomo, utilizzato dagli attori di teatro, è decorato con un motivo chiamato hana ikada o “zattere di fiori”, tipico del “mondo galleggiante” Edo. 

 

Foto: Corbis / Cordon Press

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