Letteratura

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'Mariegola di Collio', 1523, Museo diocesano di Brescia

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'Mariegola di Collio', 1523, Museo diocesano di Brescia

La mariegola è un particolare tipo di codice che contiene il testo dello statuto di una confraternita. Quella di Collio, in provincia di Brescia, riguarda la congrega dei santi Antonio Abate, Faustino e Giovita. In essa si trova un esempio di miniatura tarda in cui le immagini ricordano delle pitture. A destra sono rappresentati i tre santi, mentre nel foglio di sinistra Cristo crocefisso con la Madonna e San Giovanni.

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Capolettera tratta da 'Storia delle imprese d’Oltremare' di Guglielmo di Tiro, XIII secolo, British Library, Londra

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Capolettera tratta da 'Storia delle imprese d’Oltremare' di Guglielmo di Tiro, XIII secolo, British Library, Londra

Per capolettera s’intende la lettera iniziale della prima parola del primo rigo di un testo. Poteva essere decorato con motivi vegetali, animali, geometrici o istoriati come in questo caso. In quest’immagine, negli spazi della lettera “R” è rappresentata la fuga del condottiero turco Norandino durante una battaglia contro i crociati. Il capolettera decorava un’edizione della Storia delle imprese d’Oltremare scritta da Guglielmo, l’arcivescovo di Tiro, una cronaca delle crociate in Terrasanta tra il 1095 e il 1183.

 

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La purificazione della Vergine, 'Très Riches Heures du Duc de Berry', 1412-1416 circa. Museo Condé, Chantilly

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La purificazione della Vergine, 'Très Riches Heures du Duc de Berry', 1412-1416 circa. Museo Condé, Chantilly

In questa scena, la Madonna sta salendo le scale del tempio, con in braccio Gesù, seguita da Giuseppe e da una schiera di altri personaggi. La precede una donna, probabilmente una serva, che regge in mano una candela e una cesta con due colombe. Secondo alcune interpretazioni, l’immagine presenta similitudini con la Presentazione della Vergine al tempio dipinta da Taddeo Gaddi nella chiesa di Santa Croce a Firenze nella prima metà del Trecento. Pertanto, si può ipotizzare un viaggio dei fratelli de Limbourg in Italia, dove avrebbero ammirato l’opera. 

 

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Mese di agosto del 'Très Riches Heures du Duc de Berry', 1412-1416 circa. Museo Condé, Chantilly

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Mese di agosto del 'Très Riches Heures du Duc de Berry', 1412-1416 circa. Museo Condé, Chantilly

Il mese di agosto illustra la caccia con il falcone, uno dei passatempo preferiti del duca. Su uno sfondo azzurro brillante, si erge il castello. In secondo piano si vedono i contadini intenti nella trebbiatura e alcuni giovani che cercano ristoro dalla calura estiva facendo il bagno nel fiume. In primo piano i nobili, tra cui anche alcune donne, stanno partendo per la battuta di caccia in sella al cavallo. Nelle raffigurazioni medievali dei mesi, solitamente agosto era raffigurato con una scena agricola (la trebbiatura): la scelta dei miniatori di relegarla sullo sfondo e privilegiare un tema cortese è un elemento di novità.

 

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Mese di gennaio del 'Très Riches Heures du Duc de Berry', 1412-1416 circa. Museo Condé, Chantilly

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Mese di gennaio del 'Très Riches Heures du Duc de Berry', 1412-1416 circa. Museo Condé, Chantilly

Il duca di Barry è raffigurato nel mese di gennaio mentre presiede un banchetto nel suo castello. È seduto davanti a una tavola riccamente imbandita, con indosso un elegante abito blu arricchito da damascature.  Il volto è rappresentato con molta cura e dettagliatamente, infatti, si può considerare un vero e proprio ritratto. Attorno a lui vi sono numerosi personaggi, forse membri della sua famiglia o della sua corte, intenti a parlottare tra di loro o occuparsi del banchetto, come i due a sinistra intenti a mescere il vino. Le miniature dei mesi erano di grandi dimensioni e occupavano tutta la pagina.

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Manoscritto miniato del XIII secolo, British Library, Londra

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Manoscritto miniato del XIII secolo, British Library, Londra

Le prime raffigurazioni del martirio di Thomas Becket sono state delle miniature. Questa, appartenente a un manoscritto del XIII secolo, è una delle più antiche. Thomas Becket divenne arcivescovo di Canterbury dal 1162. Si oppose fermamente alla politica ecclesiastica del sovrano Enrico II e per questo fu assassinato, proprio dentro la cattedrale, nel 1170.

 

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Miniatore iberno-sassone, 'Vangelo di Durrow', 680 circa. Trinity College Library, Dublino

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Miniatore iberno-sassone, 'Vangelo di Durrow', 680 circa. Trinity College Library, Dublino

Si tratta di un vangelo redatto a Durrow da monaci irlandesi nel cosiddetto stile insulare tipico dell’Inghilterra anglosassone e introdotto anche nel continente. Questa pagina si trova in apertura del vangelo di Giovanni e, poiché il disegno occupa l’intera superficie, è definita “pagina-tappeto”. Una piccola croce è inserita all’interno di un cerchio e circondata da motivi intrecciati. Il cerchio si trova entro una finestra quadrata, a sua volta collocata tra una serie di bande decorata con animali nastriformi intrecciati

 

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Edizione del XV secolo di 'De mulieribus claris' di Giovanni Boccaccio, British Library, Londra

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Edizione del XV secolo di 'De mulieribus claris' di Giovanni Boccaccio, British Library, Londra

In questa miniatura, tratta da un’altra edizione del De mulieribus claris di Boccaccio, è rappresentata Timarete, una pittrice greca figlia dell’ateniese Micone il minore, anch’egli artista. Nell’immagine sta realizzando l’opera per cui è nota ancora oggi: un ritratto su tavola della dea Artemide, cui la giovane era particolarmente devota.

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Edizione francese del XV secolo di 'De mulieribus claris' di Giovanni Boccaccio, Bibliothèque nationale de France, Parigi

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Edizione francese del XV secolo di 'De mulieribus claris' di Giovanni Boccaccio, Bibliothèque nationale de France, Parigi

Nel De mulieribus claris (1361-1362) Giovanni Boccaccio descrive la vita di oltre cento donne famose vissute tra l’età antica e il Medioevo. In quest’edizione francese del XV secolo, le biografie sono corredate da eleganti miniature.  Qui è rappresentata Iaia (o Marzia) una pittrice vissuta a Roma tra il II e il I secolo a.C. Indossa abiti medievali e si trova nel suo studio, intenta a dipingere il suo autoritratto.

 

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Vangeli di Ebbone, Marco, Bibliothèque municipale, Epernay

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Vangeli di Ebbone, Marco, Bibliothèque municipale, Epernay

L’arcivescovo di Reims, Ebbone, raccolse nello scritporium dell’abbazia di Hautvillers i monaci che realizzarono i vangeli da cui deriva questo ritratto di San Marco. L’evangelista è colto mentre volge lo sguardo verso il leone alato, suo simbolo, in cerca d’ispirazione. È rappresentato frontalmente ma con la testa ruotata e il corpo in tensione. Anche Giovanni e Luca sono rappresentati in atteggiamenti simili, mentre Matteo è l’unico che non guarda verso l’alto ma, evidentemente già ispirato, si accinge a scrivere.

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Dante Gabriel Rossetti, 'Elizabeth Siddal che legge', 1854

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Dante Gabriel Rossetti, 'Elizabeth Siddal che legge', 1854

Nonostante la modesta condizione economica della sua famiglia non le avesse permesso di studiare molto, Elizabeth era una donna di grande cultura, come dimostrano le sue raccolte poetiche, che realizzò dopo le nozze. Questi sono, per esempio, i primi versi della struggente e malinconica poesia L’amore finito: «Non piangere mai per un amore finito/ poiché l’amore raramente è vero/ma cambia il suo aspetto dal blu al rosso/dal rosso più brillante al blu/e l’amore è destinato ad una morte precoce/ ed è così raramente vero».

Foto: Pubblico dominio

La fine di Ettore

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La fine di Ettore

Dopo averlo ucciso, Achille disse: «Giovani achei, intonando un inno di vittoria, ritorniamo alle vuote navi e trasportiamolo [il cadavere di Ettore]. Abbiamo ucciso il divino Ettore, che i troiani in città invocavano come un dio». Achille immaginò come umiliare il nemico morto. «De’ piè gli fora i nervi dal calcagno al tallone, e nei buchi fatti vi inserì cinghie di bovino, che legò alla cassa del carro». Dopo si mise in marcia: «Un gran polverone si alzò dal cadavere trascinato; i capelli scuri si diffondevano, e la testa intera, un tempo affascinante, giaceva nella polvere». 
Iliade, Canto XXII

Foto: Bridgeman / ACI

La lotta per il corpo di Patroclo

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La lotta per il corpo di Patroclo

Gli achei recuperarono da terra tra le braccia il cadavere e lo sollevarono con vigore a una grande altezza; alle loro spalle scoppiò a gridare la truppa troiana, poiché i troiani volevano il corpo di Patroclo come bottino, e «avanzarono ritti, di cani a simiglianza  che precorrendo i cacciator s’avventano a ferito cinghial, desiderosi di farlo a brandelli». I troiani braccavanoi greci «in massa e senza pausa, agitando le loro spade e picche». Ma ogni volta che si giravano gli Aiaci (il figlio di Telamone e il figlio di Oileo) «il viso, di color cangiava l’inseguente caterva, e non ardía niun farsi avanti, e disputar l’estinto».
Iliade, Canto XVII

 

 

Foto: Oronoz / Album

Lotta tra Ettore e Aiace

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Lotta tra Ettore e Aiace

«Contro Aiace, che voltagli la fronte, scagliò Ettore la lancia, e lo colpì ove del brando e dello scudo il doppio balteo sul petto si distende». Però in quel momento, «il gran Aiace Telamonide», afferrò un sasso tra i molti che i greci utilizzavano per bloccare le navi arenate sulla spiaggia, lo lanciò contro Ettore e lo colpì «al torace, vicino al collo, sull’orlo dello scudo. Il colpo lo fece stramazzare come una trottola, facendolo girare da tutte le parti», e «i suoi compagni, trascinandolo sulle spalle», lo portarono fuori dalla lotte e lo condussero a Troia «tra profondi sospiri».
Iliade, Canto XIV

 

Foto: BRIDGEMAN / ACI

Duello tra Paride e Menelao

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Duello tra Paride e Menelao

Paride gettò la sua lancia, «che una lunga ombra proietta», e colpì lo scudo di Menelao. Allora questi «gettò la picca, e colpì» Paride. La lancia strappò la tunica del troiano, «però deviò e schivò la Parca negra», ovvero la morte. Menelao «sguainò la spada, adornata con chiodi d’argento, e brandendola penetrò la cresta dell’elmo» di Paride. Successivamente «Lo agguantò per il casco dalle folte criniere e lo girò e lo spingeva verso gli achei […] e avrebbe raggiunto una gloria indicibile se non l’avesse notato la prontezza di Afrodite», la dea che proteggeva i troiani, che tirò fuori magicamente Paride dal duello. 
Iliade, Canto III

Foto: Bridgeman / ACI

Morte

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Morte

In un altro episodio di Palmerino d’Inghilterra, il Cavaliere del Valle, sconfitto, accetta la morte: «Io sono stato il peggiore in battaglia, perciò ha da essere che la sua fine sia anche la mia, perché non potrei vivere contro la mia volontà; così porterò a compimento quello che ho cominciato, mettendo fine ai miei giorni per onorare le mie intenzioni».

 

Foto: Romanzo di Tristano e Isotta. Museo di Chantilly. Dea / Album

Cavalieri e letteratura

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Cavalieri e letteratura

I primi romanzi cavallereschi vennero scritti nel XII secolo in Francia, e di qui si diffusero in tutta Europa. Le fonti di ispirazione erano molteplici e risalivano anche alla tradizione greco-bizantina, ma non vi è dubbio che riflettessero vividamente abitudini e ideali dei cavalieri medioevali. Nell'immagine, frontespizio dell'edizione spagnola di Amadigi di Gaula, di Garci  Rodríguez de Montalvo. 1533.

 

 

Foto: Oronoz / Album

Aladino deve combattere contro tre avversari

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Aladino deve combattere contro tre avversari

La povera Sherazade doveva allungare la storia per non perdere la vita. Quindi è normale che il racconto di Aladino fosse molto lungo: la versione giunta fino a noi è molto semplificata. Nella storia originale però il protagonista affronta tre nemici. Il primo è un mago malvagio che lo convince a cercare una lampada a olio per regalargliela. Ma Aladino decide di tenersela, appropriandosi anche di un anello e, soprattutto, dei geni contenuti da questi due oggetti. Grazie a loro, riesce a sposare la figlia del sultano, avendo la meglio sul figlio del suo secondo avversario, il gran visir. Dopo alcuni anni di felicità coniugale, il suo primo rivale, il mago, fa ritorno per riprendersi la lampada ma finisce vittima dell'ingegno (e dei geni) di Aladino. Infine, il fratello del mago ormai defunto, si reca in Cina per vendicarsi, ma Aladino e i suoi magici servitori hanno di nuovo la meglio. Dopo molte peripezie il futuro sultano e sua moglie possono vivere felici e governare il loro regno con giustizia.

Foto: Pubblico dominio

I geni erano due

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I geni erano due

E non solo: al contrario di quanto riportano le versioni moderne della fiaba, il ragazzo non aveva limite al numero di desideri che poteva esprimere. Nella storia originale il primo genio è descritto come “simile un uomo nero come il catrame, con una testa come un calderone, una faccia orribile ed enormi occhi rossi fiammeggianti" e viene fuori da un anello. Il secondo è proprio il genio della lampada del titolo, così brutto che la madre di Aladino, non potendo sopportare "un viso repellente e spaventoso come quello, cadde svenuta". E, a scanso di equivoci, nessuno dei due geni aveva la pelle blu.

Illustrazione di H.J. Ford per il libro Aladino e la lampada meravigliosa.

Foto: The Granger Collection, New York / Cordon Press

Aladino viveva con sua madre

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Aladino viveva con sua madre

 

La storia racconta che suo padre, Chin Fu, morì quando il ragazzo era adolescente. Ma Aladino aveva ancora la mamma, che lo amava così tanto da perdonargli i comportamenti più bizzarri. La donna faceva enormi sacrifici e lavorava giorno e notte per guadagnare i pochi soldi che suo figlio spendeva così incoscientemente, ma ad Aladino non mancava mai un buon piatto di cibo. Nonostante il suo carattere, Aladino portava inoltre un nome benedetto, che deriva dall’arabo Allah al-Din: Altezza o Gloria di Allah.

Nell'immagine, acquerello di Arthur Rackham inserito nel suo 'Fairy Book', pubblicato nel 1933.

Foto: The Granger Collection, New York / Cordon Press

Aladino era cinese

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Aladino era cinese

Il racconto classico ha un incipit diverso da quello che conosciamo noi: “In una città tra le città della Cina”, si spiega, viveva un povero sarto. Suo figlio, Aladino, “era un bambino poco istruito e che fin dalla più tenera età dimostrò di possedere un carattere irruento”. Il giovane era uno scavezzacollo e con il suo comportamento e il rifiuto di frequentare la sartoria di famiglia provocò la morte di suo padre, afflitto dal futuro che attendeva il figlio. Imperterrito, Aladino continuava a vagare per le strade e i vicoli del quartiere in compagnia di altri ragazzi della stessa risma.

Nell'immagine, un'illustrazione di Edmund Dulac per il volume The Arabian Nights, pubblicato nel 1938.

Foto: ZUMAPRESS.com / Cordon Press / Cordon Press

Aladino è un’aggiunta recente

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Aladino è un’aggiunta recente

I racconti di Le mille e una notte furono aggiunti in modo disordinato alla raccolta araba tra il IX e il XVI secolo. Il numero e i titoli integrati in ciascuna versione variano notevolmente a seconda della collezione consultata. Ma i racconti più famosi in Occidente, Sinbad il marinaio, Alì Babá e i quaranta ladroni, o Aladino e la lampada meravigliosa, sono aggiunte molto più recenti al corpus originale. Aladino, in particolare, non appariva in nessuna versione fino a quella di Galland (nella foto). Sembra che questi fosse venuto a conoscenza della storia grazie ai racconti di un cristiano siriano, che gli narrò questa ed altre quindici fiabe, tra cui quella di Alì Babá, e che il francese decise di includere nell’ultimo volume della sua edizione.

 

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La storia fa parte di 'Le mille e una notte'

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La storia fa parte di 'Le mille e una notte'

Aladino e la lampada meravigliosa forma parte di Le mille e una notte, una famosa antologia medievale in lingua araba di racconti tradizionali, raccolti e scritti a partire dal IX secolo. Il titolo all’inizio voleva indicare che si trattava di un gran numero di storie che avevano come filo conduttore il racconto di Sherazade, la sposa del sultano che lascia la narrazione incompleta all’alba per riprenderla al tramonto e avere così salva la vita. Nel corso dei secoli però sono stati aggiunti altri racconti fino a raggiungere il numero indicato nel titolo. La provenienza geografica di queste storie è molto ampia e comprende tradizioni orali di India e Cina, fino all’Egitto e alla Turchia. La prima versione europea, del francese Antoine Galland, risale al XVIII secolo e si basa su una traduzione di un manoscritto sirio composto da quattro volumi. Fu un successo letterario immenso e registrò un altissimo numero di vendite.

 

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Will Scarlet e lo Sceriffo di Nottingham

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Will Scarlet e lo Sceriffo di Nottingham

Will Scarlet è presente fin dagli albori della leggenda di Robin Hood, facendo la sua comparsa nelle ballate più antiche. In una di queste è descritto come un giovane ben vestito intento a cacciare cervi nella foresta, che incontra Robin Hood ed entra a far parte della sua banda. Spesso appare con il soprannome di Scathlock o Scadlock. 

Lo Sceriffo Nottingham è incaricato di mantenere l'ordine nella foresta di Sherwood in modo da garantire il passaggio sicuro per i viaggiatori e impedire la caccia di frodo. Nelle ballate però Robin Hood si prende facilmente gioco di lui, a differenza dell'assistente dello sceriffo, sir Guy de Gisbourne, un soggetto più temibile e crudele. Di solito però questo secondo personaggio non viene ricordato, ed il suo carattere meschino viene invece attribuito allo stesso sceriffo. 

Foto: Alamy / Aci

Lady Marian e Fra' Tuck

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Lady Marian e Fra' Tuck

L'amata di Robin Hood, Lady Marian, fa la sua comparsa dal XVI secolo, ben trecento anni dopo le prime tracce del bandito. In Robin Hood e Maid Marian viene presentata come una donzella nobile di grande bellezza, che si traveste da contadino per riunirsi con il suo amato nelle profondità della foresta. 

Fra' Tuck venne introdotto nella leggenda di Robin Hood alla fine del XV secolo. Veniva presentato come un frate espulso dal suo ordine per la sua irriverenza e la passione per il vino e i manicaretti, che in seguito venne accettato come cappellano dei merry men

Foto: Alamy / Aci

Robin Hood e Little John

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Robin Hood e Little John

Sebbene fin dagli inizi della leggenda Robin Hood venga dipinto come un ribelle in continua lotta contro l'autorità, la sua abitudine di «rubare ai ricchi per dare ai poveri» si riscontra solo in testi posteriori al XV secolo. Little John era il suo luogotenente nella banda. Nonostante il suo nome, viene presentato come un uomo massiccio, alto e corpulento, che salva il suo capo in più di un'occasione. La scena di lotta tra i due, che combattono con dei bastoni a picco su un fiume, sorge nel XVII secolo ed è uno dei momenti più presenti nei diversi lungometraggi realizzati sulle gesta di questo eroe. 

Foto: Alamy / Aci

Robin Hood nella letteratura

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Robin Hood nella letteratura

Frontespizio del volume "Le gesta del famoso Robin Hood, il terrore degli speculatori e il protettore dei poveri e degli indifesi". Il testo venne pubblicato nel 1769, anche se troviamo tracce di un certo Robin Hood, o Robehod, o Robert Hood, in alcuni testi che risalgono al XIII e XIV secolo. 

Foto: Bridgeman / Aci

Le avventure di Oliver Twist

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Le avventure di Oliver Twist

Pubblicato in fascicoli nel 1837 è forse il romanzo più noto ed influente di Charles Dickens. In quest'opera si riflette tutto l'impegno di Dickens nel denunciare i mali della società a lui contemporanea: il lavoro minorile e lo sfruttamento dei minori per atti di criminalità. 

Foto: The Granger Collection, New York / Cordon Press

Canto di Natale

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Canto di Natale

È senza ombra di dubbio il racconto corto più famoso di Dickens: Canto di Natale, scritto nel 1843. Forma parte della serie dei Libri di Natale. È forse l'opera dello scrittore inglese che più volte ha ispirato o è stata adattata per il grande schermo, il teatro o per formati televisivi. 

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Grandi speranze

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Grandi speranze

Tredicesimo romanzo di Dickens, fu scritto per catturare l'attenzione dei lettori dal primo fascicolo, pubblicato nel 1860. Come David Copperfield, anche questo è scritto in prima persona; le vicende del romanzo si svolgono tra il 1812 (anno di nascita di Dickens) e il 1840. È considerato uno dei grandi capolavori della letteratura vittoriana. 

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La piccola Dorrit

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La piccola Dorrit

Come gli altri, La piccola Dorrit venne pubblicato in fascicoli tra il 1855 e il 1857. Anche in questo caso troviamo tracce autobiografiche nella vicenda di Amy Dorrit, il cui padre viene rinchiuso nella prigione di Marshalsea, la stessa in cui il padre di Charles, John, venne condotto quando fu arrestato a causa dei debiti. 

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David Copperfield

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David Copperfield

Il titolo originale del romanzo David Copperfield, pubblicato mensilmente tra il 1849 e il 1850, era The Personal History, Adventures, Experience and Observation of David Copperfield the Younger of Blunderstone Rookery (Which He Never Meant to Be Published on Any Account).

C'è consenso nell'affermare che questa è senza dubbio l'opera più autobiografica di Dickens, apprezzato tra gli altri da Virginia Woolf, Lev Tolstoj o James Joyce. 

 

 

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Il circolo Pickwic

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Il circolo Pickwic

Il Circolo Pickwick fu il primo romanzo di Charles Dickens, ed è tuttora considerato uno dei capolavori della letteratura britannica. Fu pubblicato in fascicoli nel 1836 e narra le avventure di Samuel Pickwic e dei suoi amici, in viaggio per l'Inghilterra. 

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