Grandi enigmi

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Le origini dell'uomo dei ghiacci

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Le origini dell'uomo dei ghiacci

Il ritrovamento del cadavere di Ötzi ha permesso d’imparare molte cose sugli usi e costumi dei nostri antenati vissuti cinquemila anni fa, ma le origini geografiche di quest’uomo sono ancora incerte. Secondo alcuni, Ötzi proverrebbe forse dalla zona dell’attuale Toscana e non dall’est o dal nord del Tirolo, come creduto in un primo momento. Nel 2016, un quarto di secolo dopo la sua scoperta, uno studio esaustivo dell’ascia di rame rinvenuta vicino al cadavere ha rivelato che la proporzione di isotopi del piombo coincide con quella dei filoni di rame presenti in alcune zone del territorio toscano. Bisogna tenere presente che Ötzi visse nell’Età del rame, un periodo tra il Neolitico e l’Età del bronzo in cui gli uomini divennero sempre più sedentari, organizzandosi in comunità complesse che vivevano di allevamento, agricoltura e commercio. È stato suggerito che Ötzi non debba essere necessariamente vissuto in Toscana, ma che piuttosto l’ascia di rame potrebbe essere giunta nelle sue mani in seguito ad alcuni baratti.  

Nell'immagine, ascia di rame di Ötzi. L'oggetto indica che l'uomo dei ghiacci aveva un certo status nella sua comunità.

 

Foto: Kenneth Garrett

Medicine e tatuaggi terapeutici

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Medicine e tatuaggi terapeutici

L’uso di piante medicinali era già comune tra i neanderthaliani, quindi non è strano che in due tasche della cintura di Ötzi vi fossero due pezzi di Piptoporus betulinus, un fungo di betulla noto per le sue proprietà antibatteriche. Per curare la ferita procuratosi nei giorni precedenti Ötzi aveva applicato sulla mano un muschio con proprietà curative. Ma il dettaglio più straordinario è la presenza di numerosi tatuaggi sul corpo dell’uomo, che potrebbero aver avuto fini terapeutici perché posti in corrispondenza delle articolazioni. Del resto, Ötzi soffriva di artrite. La mummia ha 61 tatuaggi suddivisi in vari gruppi, alcuni posti in strati profondi dell’epidermide. Tutti presentano forme geometriche riunite in due gruppi: per lo più si tratta di linee parallele, ma in alcuni casi ci sono anche delle croci. I tratti che compongono i disegni misurano tra gli 0,7 e i 4 centimentri.

I due tatuaggi che compaiono sul petto coincidono con il punto in cui sappiamo che Ötzi patì forti dolori perché predisposto a problemi cardiaci (aterosclerosi). Per realizzare i tatuaggi s’incideva la pelle e si strofinavano le ferite con polvere di carbone. Non sappiamo se avessero fini estetici o terapeutici, ma non si può scartare l’ipotesi di un qualche misterioso significato religioso o simbolico.  

Nell’immagine, un tatuaggio a forma di croce vicino al ginocchio di Ötzi.

 

Foto: Robert Clark / Getty Images

Gli ultimi istanti di Ötzi

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Gli ultimi istanti di Ötzi

La fine di Ötzi rimase avvolta nel mistero per anni. All’inizio si pensò che fosse morto in un incidente mentre cercava di attraversare le Alpi, ma le indagini sulle sue vesti condotte dallo scienziato Tom Loy rivelarono tracce di sangue appartenenti a quattro individui. Fu allora che prese piede l’ipotesi della morte dovuta alle azioni di altre persone. Oggi sappiamo che Ötzi si ferì alla mano destra con un oggetto appuntito diversi giorni prima della sua morte: il taglio si stava infatti cicatrizzando. Dalle indagini l’ipotesi più verosimile sembra quella dell’omicidio a tradimento: Ötzi riposava quando l’assassino, che voleva evitare lo scontro aperto, gli si avvicinò alle spalle e gli scagliò contro una freccia da una trentina di metri. 

Il caso di Ötzi fu studiato nel 2014 dalla Sezione di indagini criminali di Monaco con gli ultimi metodi forensi. Poiché tutti gli oggetti di valore di Ötzi, tra cui la sua preziosa ascia di rame, erano rimasti sul luogo del misfatto, si è scartata l’ipotesi del furto. Si crede oggi che il movente dell’omicidio fosse un qualche conflitto personale, forse legato al precedente scontro che causò la ferita alla mano. Quel che è certo è che gli ultimi istanti di vita di Ötzi furono una lenta agonia. Qualche minuto prima di morire l’uomo stava riposando dopo un sontuoso banchetto a base di carne e felci.  

Il disegno ricostruisce il momento in cui Ötzi fu colto alle spalle da una freccia. Non sapremo mai cosa accadde, ma gli scienziati hanno suggerito un’ipotesi: Ötzi era stato ferito in uno scontro con uno o più uomini ed era fuggito precipitosamente cercando di depistare i nemici. Una volta sulle Alpi, credendosi in salvo aveva ingerito il suo ultimo pasto e provato a curare le sue ferite. Ma alla fine venne stanato e aggredito. Dopo esser stato colpito dalla freccia che gli recise un’arteria, cadde a terra e batté la testa contro una roccia – o forse lo colpirono –, perse conoscenza e morì dissanguato.

 

Foto: SPL / Age Fotostock

L'equipaggiamento di un uomo del Neolitico

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L'equipaggiamento di un uomo del Neolitico

L'attrezzatura che Ötzi portava con sé sorprese gli scienziati. Indicava che era pronto per un lungo viaggio, perché vicino al suo cadavere c’era un vero e proprio kit di sopravvivenza. Legato alla cintura portava un marsupio di pelle che conteneva un set di piccoli strumenti: un raschiatoio, un perforatore, una lamella di selce affilata e pezzi di fungo d’esca (utile “miccia” per accendere il fuoco). C’era pure un ritoccatore fatto di corna di selvaggina e legno, che dovette utilizzare per affilare gli utensili in selce. Ötzi possedeva anche un pugnale corto fatto di una pietra chiamata chert, con una guaina in fibre vegetali, due punte di freccia sparse e, nella faretra, 12 frecce senza punta in legno di viburno. Viaggiava armato di un’ascia di rame e un grande arco non finito di legno, che si ruppe durante l’estrazione dal ghiaccio, e portava con sé pure due recipienti in corteccia di betulla. Uno conteneva foglie di acero riccio appena raccolte e frammenti di carbone di legna: usava forse il recipiente per mantenere accese le braci. In tutto possedeva oggetti di 18 legni diversi, il che dà un’idea della conoscenza che si aveva all’epoca circa le specie vegetali. Accanto al corpo furono ritrovate corde e una rete che doveva forse servire per cacciare uccelli o trasportare oggetti. I suoi indumenti, assemblati con cinque pelli diverse, erano completi e adatti al freddo, e includevano un’efficiente calzatura impermeabile. 

Pezzi: 1. Resti di calzoni. 2. Utensili e corda. 3. Recipiente in corteccia di betulla. 4. Berretto in pelle. 5. Rete in corteccia di albero per contenere la paglia che riempiva la scarpa. O forse era parte di una racchetta da neve. 6. Faretra di pelle e frecce senza punta. 7. Ascia di rame. 8. Punta di selce.

 

1. 2. e 3: W. Neeb / Bridgeman / ACI. 4 e 5: Robert Clark / Getty Images. 6: Kenneth Garrett / Getty Images. 7 e 8: Robert Clark / Getty Images

Cinquemila anni tra i ghiacci

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Cinquemila anni tra i ghiacci

Quando il cadavere di Ötzi venne trovato da Helmut ed Erika Simon era in posizione prona, con il braccio sinistro allungato e incrociato davanti al petto. Quello destro invece era steso lungo il fianco. Tale posizione fu spiegata solo dieci anni dopo il suo ritrovamento, nel 2001, quando il radiologo Paul Gostner, dell’ospedale di Bolzano, scoprì che Ötzi era stato assassinato: la mummia aveva una punta di freccia conficcata nella spalla sinistra, una ferita mortale che gli aveva paralizzato il braccio e aveva sezionato l’arteria, causando la morte per dissanguamento. Alcuni scienziati suggerirono poi che la posizione del cadavere potesse essere dovuta al fatto che, dopo la morte, qualcuno avrebbe girato Ötzi per provare a estrarre la freccia. Costui avrebbe strappato l’asta senza però riuscire a rimuovere la punta che rimase conficcata nel cadavere. 

Due giorni dopo il ritrovamento di Ötzi, quando si cercò d’introdurre il corpo in una cassa di legno per trasportarlo all’Istituto di medicina forense di Innsbruck, gli addetti allo spostamento del corpo gli torsero il braccio disteso, rompendogli accidentalmente l’omero sinistro, che dovette essere ricomposto. Oggi Ötzi è esposto nella stessa posizione in cui venne trovato, anche se supino, all’interno del Museo archeologico dell’Alto Adige, a Bolzano.  

Questo disegno ricostruisce gli ultimi attimi di vita di Ötzi. L’uomo del ghiaccio giace moribondo nel luogo che sarebbe divenuto la sua tomba, ricoperto dal suo mantello di paglia e con il braccio sinistro piegato sotto il corpo, come venne scoperto cinquemila anni più tardi.

 

Illustrazione: Gregory Harin / NGS

Ötzi riemerge dai ghiacci

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Ötzi riemerge dai ghiacci

Era il 19 settembre 1991. Una coppia tedesca in vacanza sulle Alpi, i Simon, scendeva dalla punta di Finale, una vetta a più di 3.500 metri di altitudine nelle Alpi di Ötzal o Venoste. Durante l’escursione s’imbatterono in un cadavere tra le nevi del ghiacciaio di Hauslabjoch. In un primo momento pensarono che si trattasse dei resti di un escursionista rimasto sepolto sotto la neve, forse per decenni. Il luogo del ritrovamento dista appena 90 metri dalla frontiera tra Italia e Austria, e i Simon decisero di avvisare le autorità austriache. La loro scelta causò un conflitto tra i due Paesi, che reclamarono per sé i resti. La contesa si risolse solamente quando venne stabilito il punto esatto del ritrovamento, in territorio italiano. In ogni caso, il corpo di Ötzi venne in un primo momento esaminato dalle autorità austriache che, come i Simon, propendevano per l’ipotesi del cadavere di un escursionista scomparso e nei giorni seguenti estrassero il corpo dal ghiaccio e lo portarono in elicottero a Innsbruck per sottoporlo all’autopsia. Ma appena iniziarono ad analizzarlo apparve chiaro che quello di Ötzi era un ritrovamento straordinario. La pelle, l’ascia di rame e altri utensili rinvenuti vicino al cadavere indicavano che era molto più antico, e a Ötzi s’interessarono vari archeologi, tra cui Konrad Spindler, allora capo dell’Istituto di Preistoria dell’Università di Innsbruck, che sarebbe diventato uno dei più grandi esperti in materia.  

Dopo il ritrovamento di Ötzi nella zona accorsero curiosi e alpinisti come il sudtirolese Reinhold Messner (a destra nell’immagine). A partire dall’osservazione di elementi come l’ascia rustica e l’arco in legno di tasso, Messner capì subito la portata dell’evento. «Non appena lo vidi mi resi conto che si trattava di un’importante scoperta archeologica», disse.

 

Foto: Paul Hanny / Gamma-Rapho / Getty Images

Licantropo o cannibale?

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Licantropo o cannibale?

Terrificante xilografia di Lucas Cranach il Vecchio (1472-1553) che evoca la leggenda dei licantropi. Metropolitan Museum, New York.

 

Foto: Metropolitan Museum / Scala, Firenze

Le loup-garou

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Le loup-garou

Alla fine del XVI secolo, la Francia fu pervasa dalla febbre del lupo mannaro, o loup-garou. Per esempio, nel 1573 il tribunale di Dôle accusò un certo Gilles Garnier di aver attaccato «in un vigneto, con le sembianze di un lupo, una bambina di 10 o 12 anni, e di averla uccisa con le sue mani a mo’ di zampe e con i suoi denti».

Nell'immagine, una bestia con la testa di cane tratta dal volume Monstrorum Historia del 1642.

 

 

Foto: Akg / Album

Un racconto terribile

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Un racconto terribile

Nel 1590 un inglese di nome George Bores, a quanto pare testimone del processo contro Stumpp, pubblicò a Londra l’opuscolo Della deplorevole vita e morte di Peter Stumpp, un malvagio stregone che, sotto l’apparenza di un lupo [...] per 25 anni ha ucciso e divorato uomini, donne e bambini.

 

Foto: British Library

La deprecabile storia di Peter Stumpp

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La deprecabile storia di Peter Stumpp

Le vignette qui sotto raccontano al popolo la vicenda di Peter Stumpp. Sulla striscia superiore compare l’uomo lupo, con una cintura sulla vita, mentre divora una persona; successivamente l’uomo lupo viene inseguito dalla gente. Una volta recuperata la forma umana, Stumpp viene portato al cospetto della giustizia per essere torturato, decapitato e arso sul rogo. 

 

Foto: Charles Walker / Alamy / Aci

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