La popolazione musulmana che rimase in Spagna a partire dal 1492 – dopo la conquista del regno dei Nasridi di Granada da parte dei Re Cattolici – soffrì una persecuzione incessante. Convertiti a forza al cristianesimo, ai moriscos fu proibito usare l’abito tradizionale e la lingua araba. Nel 1568 furono protagonisti di una ribellione violenta nella zona delle Alpujarras, dopodiché furono deportati dal regno di Granada in diverse zone della Castiglia, dove crearono nuove comunità di moriscos che continuarono ad attrarre i sospetti delle autorità. Una di esse si radicò ad Almagro (Ciudad Real). Gli inquisitori volevano scoprire se i moriscos che vi abitavano continuassero a praticare in segreto la religione islamica, anche se adempivano esteriormente agli obblighi del cristianesimo. Un ufficiale del Sant’Uffizio riuscì a convincere una giovane di 19 anni, Mari Pérez Limpati, a trasferirsi a casa sua «affinché dicesse più liberamente quello che aveva da dire e fosse esaminata in modo più approfondito».
Spirale di denunce
Sotto pressione e spaventata, Mari Pérez diede il via a una spirale di denunce che sarebbero culminate in un autodafé tenuto a Toledo nel 1606, nel quale furono bruciate sei persone tra familiari e vicini. Altre 18 furono condannate al carcere a vita e alla confisca dei beni. Mari Pérez – che riconobbe di aver praticato i riti islamici per un anno e mezzo – denunciò una vedova ottuagenaria, Isabel de Jaén. L’aveva sentita dire: «Perché dovrei credere in Cristo? È un supplizio», e l’aveva vista fare il «digiuno degli arabi e la cerimonia dell’acqua», cioè il digiuno del mese del Ramadan e le abluzioni quotidiane dei musulmani. Aveva inoltre raccontato che un giorno l’anziana era andata a casa sua e aveva cercato di convincerla a praticare il guadoc (un’abluzione facciale) «in osservanza alla setta di Maometto».
Il tribunale ordinò di torturare la donna: «Dopo averle passato cinque giri di corda, al successivo sembrò svenire, non rispondeva a quello che le domandavano, non si lamentava, né tornava in sé». Fu condannata a fare un autodafé. Un’altra anziana, Isabel de Cañete, di 78 anni, fu accusata di aver praticato diverse cerimonie islamiche e la divinazione con le fave. Dopo essere stata torturata fu condannata alla confisca dei beni e al carcere perpetuo.
Anche il padre di Mari Pérez, Diego Pérez Limpati, di professione negoziante, fu accusato da sette testimoni, fra i quali sua figlia. Tutti l’avevano visto compiere cerimonie e il digiuno arabo, le abluzioni del guadoc, e la çalá (invocazione a Dio dopo le abluzioni). Un testimone assicurò che «si riuniva con altri moriscos per cena, al termine dei digiuni del Ramadan» e che «aveva in casa dei fogli scritti in caratteri arabi». Fu condannato alla confisca di tutti i beni e a essere bruciato sul rogo. Lo zio della giovane, Miguel Ruiz de Mendoza, di 54 anni, ebbe la stessa sorte; sua sorella, di 14, fu condannata ad abiurare, e sua madre al carcere a vita irrevocabile.
Un altro vicino, il calzolaio Hernando de Palma, fu accusato di aver insegnato l’arabo ai suoi vicini mentre gli riparava le scarpe e di celebrare funerali islamici. Ritenuto colpevole, fu condannato alla confisca dei beni e al rogo.
Sacrifici
Foto: Prisma / Album