L'attentato di via Rasella

Foto: Pubblico dominio

Il 23 marzo 1944, alle ore 15.50 circa, nel pieno centro di Roma occupata dai nazisti esplose una bomba. Rimasero a terra due civili e ventisei uomini di un reparto delle forze d'occupazione tedesche che stavano marciando attraverso via Rasella – ritratta in questa foto pochi minuti dopo l’attentato – di ritorno dal poligono di tiro; altri sette militari morirono nelle ore successive in seguito alle ferite riportate. La bomba era stata piazzata dai GAP, i Gruppi di Azione Patriottica affiliati al Partito comunista italiano che animavano la resistenza partigiana, i quali avevano organizzato l’azione in pochi giorni, dopo aver notato il percorso fisso seguito dal reparto nazista in quella strada. Fu il più sanguinoso attentato urbano antitedesco di tutta l’Europa occidentale. L’ira di Adolf Hitler in seguito all’esplosione diede luogo a una rappresaglia spaventosa: il giorno dopo, nel più totale segreto, 335 italiani (dieci per ogni soldato tedesco ucciso, più cinque finiti nel novero per errore) furono fucilati in quello che sarebbe divenuto noto come l’eccidio delle fosse Ardeatine. Fu proprio a causa di questa rappresaglia che l’episodio divenne, con le parole della storica Anna Rossi-Doria, «il caso italiano di memoria divisa più rilevante sia per la durata nel tempo che per la molteplicità dei significati». Meno divisa fu l’interpretazione degli alleati: il generale Harold Alexander, comandante di tutte le truppe alleate nel Mediterraneo, disse che aveva cominciato a rispettare gli italiani all’indomani dell’attacco di via Rasella, quando aveva scoperto che Roma era «una città che ha osato sfidare in pieno centro un battaglione tedesco armato».

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