Zheng He, quando la Cina dominava i mari

Zheng He diresse le sette grandi spedizioni cinesi verso l’oceano Indiano tra il 1405 e il 1433. Le sue navi, che raggiunsero l’Africa e forse ne doppiarono il capo meridionale, fecero della Cina la maggior potenza navale dell’epoca

A metà del XIX secolo, nel corso delle Guerre dell’oppio, la flotta cinese si dimostrò completamente incapace di difendere le sue coste dall’arrivo delle navi europee. Gli attaccanti, sicuri della propria superiorità, ne dedussero che i cinesi erano un popolo di contadini che non era mai andato per mare. L’indifferenza dei cinesi nei confronti della navigazione divenne così un luogo comune, perdurato fino alla fine del XX secolo.

Zheng He al comando di una delle sue spedizioni. Davanti a lui, un esperto consulta una bussola. Sullo sfondo le grandi “navi del tesoro”

Zheng He al comando di una delle sue spedizioni. Davanti a lui, un esperto consulta una bussola. Sullo sfondo le grandi “navi del tesoro”

Foto: Hongnian Zhang / NGS

Ma non era sempre stato così. Da quella che oggi è la costa vicino a Shangai, per esempio, salparono per secoli le navi che, attraverso il mar Cinese Orientale, portavano in Giappone gli elementi caratteristici del mondo cinese: la scrittura, il riso, il bronzo, il confucianesimo, il buddismo e la progettazione urbanistica.

Nell’XI secolo le grandi imbarcazioni cinesi– già dotate di compartimenti stagni, timone fisso, bussola e svariate vele, che ne facevano dei mezzi sicuri o con una grande capacità di carico – imposero l’egemonia dell’impero nel mar Cinese Meridionale. Da qui, attraverso lo stretto di Malacca, andarono a contendere le preziosissime rotte dell’oceano Indiano alle navi arabe. I cinesi si affacciarono su questo oceano per la prima volta con la flotta meglio equipaggiata dell’epoca, ovvero quella creata dalla dinastia Song.

Tuttavia, nel XII secolo i Song persero la Cina settentrionale e ripiegarono verso sud, abbandonando così il controllo della via della seta, grazie alla quale arrivavano le ricchezze provenienti dalla Persia e dal mondo islamico. Trasferirono dunque la capitale a Hangzhou, un magnifico porto sulle foci dello Yangzi (o fiume azzurro). Fu allora che i cinesi divennero per la prima volta una potenza navale. I Song applicarono la loro esperienza nella navigazione fluviale, testimoniata da secoli di formidabili scontri navali nelle acque interne, a una moderna flotta da guerra che si dimostrò capace di offrire una feroce resistenza all’invasione dell’imperatore mongolo Kublai Khan.

I samurai assaltano una nave della flotta di Kublai Khan contro il Giappone. “Libro illustrato sulle invasioni mongole”. 1275-93

I samurai assaltano una nave della flotta di Kublai Khan contro il Giappone. “Libro illustrato sulle invasioni mongole”. 1275-93

Foto: Granger / Album

Le navi del Gran Khan

Diventato ormai imperatore cinese, Kublai, proveniente da un popolo nomade della steppa che attraversava i fiumi su canoe improvvisate, intraprese la costruzione di un’imponente forza navale: furono piantati milioni di alberi e si crearono cantieri dalla Cina meridionale alla Corea. Kublai poté così disporre di migliaia di navi, con le quali attaccò il Giappone, il Vietnam e Giava. Anche se queste spedizioni si conclusero con dei netti fallimenti, la Cina arrivò a controllare tutti i mari dalle coste nipponiche al sud-est asiatico. Inoltre, i mongoli diedero un’importanza straordinaria ai mercanti, consentendo in questo modo al commercio marittimo di fiorire.

La dinastia mongola fu espulsa dalla nuova dinastia Ming, il cui primo imperatore, Hongwu, era altrettanto deciso a sostenere la potenza navale cinese. Ciononostante, limitò i contatti esterni alle delegazioni inviate dai regni tributari della Cina. Il suo scopo era controllare il commercio marittimo affinché i benefici che generava non finissero in mani private. Per questo decretò che le navi oceaniche non potevano avere più di tre alberi (pena l’esilio o la morte): la misura, che colpì anche le imbarcazioni da pesca, ebbe un effetto devastante sulla popolazione costiera.

Il secondo imperatore Ming, Yongle, portò questa politica al suo apice consolidando il divieto del commercio privato e promuovendo intensamente il controllo cinese sui mari del sud e sull’oceano Indiano. L’inizio del regno di Yongle fu segnato dalla conquista del Vietnam e dalla fondazione di Malacca (nell’odierna Malesia), un nuovo sultanato che controllava l’ingresso all’oceano Indiano e che la Cina pose sotto la sua protezione.

Il sovrano che promosse i viaggi di Zheng He fu Yongle

Il sovrano che promosse i viaggi di Zheng He fu Yongle

Foto: AKG / Album

Dalla Cina all’Africa

Per controllare le rotte commerciali che univano Cina, sud-est asiatico e oceano Indiano, Yongle – che mantenne la proibizione del commercio privato – ordinò il varo di un’imponente flotta agli ordini di Zheng He. Di origini musulmane, Zheng He era un eunuco, come gli altri comandanti della flotta. Le scoperte non rientravano tra i suoi obiettivi: già in epoca Song, infatti, i cinesi erano approdati sulle coste dell’India, del golfo Persico e dell’Africa. Le spedizioni erano un’esibizione di forza da parte dei cinesi per rilanciare o promuovere il commercio tributario e garantire l’arrivo di forniture di base come medicine, pepe, zolfo, stagno o cavalli.

Le sette grandi spedizioni di Zheng He, che ebbero luogo tra il 1405 e il 1433, furono in effetti una dimostrazione del potere navale cinese. Si trattava di flotte molto grandi: quella del primo viaggio era costituita da 255 navi, sessantadue delle quali erano “navi del tesoro”, baochuan, di grandi dimensioni. Il resto si divideva tra imbarcazioni di media grandezza per il trasporto dei cavalli, machuan, e numerosi battelli che trasportavano soldati, marinai e personale vario in appoggio alle imponenti “navi del tesoro”. Oltre seicento funzionari, tra medici, astrologi, cartografi e burocrati, controllavano i 27mila naviganti, una forza composta da esperti marinai della costa di Fujian, da musulmani e da migliaia di detenuti.

Le navi seguivano un itinerario iniziale prefissato. Uscendo dai cantieri dello Yangzi viravano verso sud, approdavano a Fujian, dove assoldavano marinai esperti, e quindi gettavano le ancora davanti a Quy Nohn, al centro del Vietnam appena conquistato, che volevano impressionare con l’ingente potenza navale.

Zheng He in piedi su una delle sue navi. Illustrazione del romanzo di Luo Maodeng (1597) che rievoca i viaggi dell'ammiraglio cinese

Zheng He in piedi su una delle sue navi. Illustrazione del romanzo di Luo Maodeng (1597) che rievoca i viaggi dell'ammiraglio cinese

Foto: British Library / Scala

Le spedizioni – che non si dirigevano mai a nord – approdavano di solito a Giava e Sumatra, sostavano qualche tempo in Malacca in attesa del monsone (un vento che d’inverno soffia verso ovest) e quindi salpavano per lo Sri Lanka e Calicut. Da lì, le spedizioni successive si addentrarono verso il golfo Persico, arrivando a Hormuz, e verso il mar Rosso, da cui alcuni partecipanti raggiunsero La Mecca. Gli ultimi viaggi si conclusero in Africa. Le fonti indicano che Malindi (nel Kenya attuale) fu l’ultimo porto a essere raggiunto.

Al contrario, la mappa di fra Mauro, elaborata a Venezia nel 1457 (circa venticinque anni dopo l’ultima spedizione di Zheng He), riporta che nel 1420 navi cinesi avevano doppiato il capo di Buona Speranza e proceduto verso nord, ma alla fine erano tornate indietro non avendo trovato altro che vento e rocce. Sia Marco Polo che Ibn Battuta testimoniarono la presenza delle enormi navi mongole e del viavai delle imbarcazioni cinesi nell’oceano Indiano.

Alla fine del XIII secolo Marco Polo descrisse questi velieri, su cui aveva viaggiato dalla Cina all’India, come navi che avevano da quattro a sei alberi, un equipaggio di trecento marinai e sessanta cabine per i mercanti sul ponte. All’inizio del XIV secolo Ibn Battuta viaggiò dall’India alla Cina su una nave con mille persone. Inoltre, nell’Atlante catalano di Cresques, del 1375, appaiono già le imbarcazioni cinesi a cinque alberi.

La Torre di porcellana, il tempio buddhista di Bao’en a Nanchino, i cui lavori di costruzione furono diretti da Zheng He tra il 1424 e il 1431

La Torre di porcellana, il tempio buddhista di Bao’en a Nanchino, i cui lavori di costruzione furono diretti da Zheng He tra il 1424 e il 1431

Foto: Bridgeman / Aci

Ma è giusto dubitare delle inverosimili dimensioni che la Storia ufficiale della dinastia Ming attribuisce ai baochuan di Zheng He (120 e 140 metri di lunghezza per cinquantaquattro di larghezza), anche se il ritrovamento di una barra del timone di undici metri rilancia la veridicità di queste cifre. Al momento l’archeologia sottomarina ha dimostrato che le navi cinesi del XIV e XV secolo non superavano generalmente i trenta metri di lunghezza per otto di larghezza. Le grandi imbarcazioni con cui Kublai attaccò il Giappone erano lunghe settanta metri, ben al di sotto dei 140 metri che la tradizione attribuisce a Zheng He.

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La fine di un’epopea

Nel 1433 i viaggi di Zheng He, iniziati nel 1405 per ordine dell’imperatore Yongle, s'interruppero per sempre su decisione di un altro imperatore, Xuande. Perché i Ming distrussero la potenza navale ereditata dai Song? I problemi non erano tanto di ordine economico – in quel momento la Cina riscuoteva un enorme volume di imposte e i viaggi non rappresentavano neppure un tre per cento delle entrate – bensì di ordine politico.

Da un lato, la vittoria dei Ming sui mongoli implicava uno spostamento della tensione bellica verso nord. Dall’altro, i funzionari erano contrari alle spedizioni perché queste rafforzavano il potere degli eunuchi e dei militari. Infine, erano troppo costose, perché si sommavano alle altre decisioni prese in contemporanea da Yongle (il trasferimento della capitale a Pechino, la costruzione della Città Proibita, le opere del Gran Canale e la guerra contro il Vietnam). Tuttavia, l’ostacolo più grande era l’opposizione dello stato Ming al commercio marittimo privato, che fu duramente punito.

Moneta di Hongwu, fondatore della dinastia Ming, che decise di proseguire l’espansione marittima promossa dai Song e dagli Yuan

Moneta di Hongwu, fondatore della dinastia Ming, che decise di proseguire l’espansione marittima promossa dai Song e dagli Yuan

Foto: British Museum / Scala, Firenze

Alla morte di Zheng He la sua armata navale fu sciolta, la flotta fu frammentata – anche se i Ming mantennero un ingente numero di navi – e le imbarcazioni passarono alle dipendenze di varie autorità costiere. La Cina non sarebbe più stata una potenza navale fino al XXI secolo. Al giorno d’oggi Zheng He è diventato il simbolo delle ambizioni marittime della Cina, intenta a ricostruire la sua antica sfera d’influenza: l’area del mar Cinese Meridionale che si trova al centro delle rivendicazioni nazionali ricalca la zona ripetutamente esplorata dalle navi dell’ammiraglio.

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