Vivere in affitto nell'antica Roma

Con l’aumento della popolazione, furono costruiti edifici suddivisi in appartamenti che si affittavano a prezzi proibitivi

Racconta Tito Livio che, fra i molti prodigi che annunciarono a Roma l’arrivo di Annibale attraverso le Alpi in quel fatidico 218 a.C., accadde che nel Foro Boario, sede del mercato del bestiame, «un bue salisse di sua sponte al terzo piano e, spaventato dal clamore della gente, si gettasse nel vuoto». Si tratta dell’allusione più antica all’esistenza di edifici dalla tipologia a condominio a Roma. La zona, non lontana dall’Aventino, era parte del settore popolare della città. Tuttavia il censo dei cittadini di sesso maschile che vivevano sia in città sia in campagna, oltre agli italici a cui era stata concessa la cittadinanza, era pari a 330.000. Finita la guerra, la cifra scese a 214.000. Solo a Roma vivevano circa 200.000 persone, quindi è verosimile che questi edifici fossero già stati costruiti.

La via dell'abbondanza, a Pompei. Su questa importante strada si affacciavano molte belle case, alcune a due piani

La via dell'abbondanza, a Pompei. Su questa importante strada si affacciavano molte belle case, alcune a due piani

Foto: Christian Goupi / Age Fotostock

Un’altra testimonianza risale al 186 a.C., quando il console Postumio forzò la dichiarazione di una testimone per scatenare la persecuzione contro i seguaci del culto di Bacco. Postumio chiese a sua madre Sulpicia, una matrona vedova di rango senatorio, di nascondere la testimone nella sua abitazione: «Le venne assegnata una stanza nella parte alta della casa, chiudendo l’accesso attraverso la scala che conduceva alla strada e aprendo un ingresso verso l’interno della casa». Anche questa dimora si trovava sull’Aventino.

La negoziazione dell’affitto

Fra la fine del III secolo e l’inizio del II a.C., le insulae(edifici a condominio) erano comuni a Roma. I proprietari erano aristocratici che non disdegnavano gli affitti come forma di guadagno, come nel caso di Sulpicia. La lex Claudia, promulgata nello stesso anno 218 a.C. in cui accadde l’episodio del bue, che impediva ai senatori di trarre profitto dai commerci all’estero, li spinse a investire in Italia, soprattutto nei settori agricolo e immobiliare.

La crescita della popolazione a Roma fu molto intensa. Durante la seconda guerra punica un gran numero di persone abbandonò le campagne devastate dagli eserciti. Dopo la guerra, le opportunità di lavoro e promozione sociale attrassero incessantemente popolazione a Roma. Si calcola che intorno al 130 a.C. la città ospitasse mezzo milione di abitanti, e che arrivò ad accoglierne il doppio durante l’epoca augustea, intorno al cambio di secolo.

Chiave romana trovata in Gallia. Museo dipartimentale, Epinal

Chiave romana trovata in Gallia. Museo dipartimentale, Epinal

Foto: Art Archive

Dare accoglienza a una popolazione in costante aumento fu possibile grazie a un mercato immobiliare degli affitti molto sviluppato: del milione scarso di persone che popolavano Roma si contavano 750.000 plebei liberi, 100.000-200.000 schiavi e circa 20.000 persone fra soldati, equites e le famiglie di circa 300 senatori. Le differenze sociali crearono una Roma con una minoranza di affittuari e una grande massa di inquilini.

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Le normative per i condomini, che Augusto fissò a sette piani e Traiano abbassò a sei, indicano che la speculazione era forte e che si faticava a controllarla. Anche se in epoca imperiale si diffuse la costruzione in mattoni e malta, negli ultimi secoli della Repubblica gli incendi furono molto comuni: ne sono stati registrati più di quaranta. Vitruvio ne riconduceva la causa all’opus craticium, il graticcio, un telaio in legno rivestito di argilla che si usava per le partizioni interne, sopratutto ai piani alti, e che si dimostrò particolarmente infiammabile. Per questo motivo non era possibile accendere fuochi all’interno delle abitazioni. È probabile che questo spieghi la presenza di numerosi thermopoliapunti di ristoro che offrivano cibo caldo – nelle strade delle città romane. Aulo Gellio riconosce con rammarico che «se si potessero evitare gli incendi di cui sono preda con tanta frequenza le abitazioni di Roma mi affretterei a vendere i miei campi per diventare proprietario in città», poiché «gli affitti delle proprietà urbane sono elevati».

L’altro grosso rischio delle abitazioni a Roma erano gli incidenti, come racconta Giovenale: «Noi abitiamo in una città appoggiata in gran parte su pali sottili: ma quando l’amministratore fa puntellare le pareti che minacciano di crollare o ricopre i segni di un’antica crepa, dice che possiamo dormire sonni tranquilli essendo stato risolto il problema». Seneca concorda sul fatto che il puntellamento è un «male economico» e, perciò, molto redditizio.

Le insulae occupavano un lotto intero; avevano diversi piani, un cortile interno e una facciata con finestre e balconi. Nell’immagine, una ricostruzione della Casa di Diana, a Ostia

Le insulae occupavano un lotto intero; avevano diversi piani, un cortile interno e una facciata con finestre e balconi. Nell’immagine, una ricostruzione della Casa di Diana, a Ostia

Illustrazione: Sol 90 / Album

Le case dei vicini

Il mercato degli affitti a Roma si rinnovava ogni anno. I contratti entravano in vigore il primo di luglio e le pigioni si pagavano a fine anno. È possibile che gli appartamenti dopo questa data fossero disponibili a un prezzo inferiore. Svetonio racconta che Tiberio spogliò della tunica laticlavia – la tunica senatoriale, con ampie fasce porpora – un senatore «che era andato a vivere in campagna alle calende di luglio, con l’intenzione di affittare poi una casa più economica quando fosse finito il periodo di sottoscrizione dei contratti a Roma». Poiché l’inquilino doveva permettere l’accesso all’amministratore, è probabile che, salvo nei contratti per diversi anni, in giugno potenziali inquilini visitassero la casa. Era un’abile strategia per fare pressione sul residente e cercare di aumentare il prezzo di affitto, già di per sé elevato. Giovenale dice che nelle città vicine «si compra una casa comoda al prezzo con cui [a Roma] si affitta un tugurio per un anno». Alla fine di giugno, il trasferimento di coloro che arrivavano e di coloro che se ne andavano senza pagare era incessante.

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I cenacoli, i diversi appartamenti che formavano un’insula, erano quindi poco sicuri e molto cari. Un cenacolo normalmente consisteva in un locale principale, il medianum, provvisto di finestre su strada o cortile. Da lì si accedeva al resto dei locali, la maggior parte senza finestre. Al primo e secondo piano prendevano alloggio persone della classe media. Seneca dopo essersi ritirato dalla vita pubblica visse sopra delle terme, e disse di avere un inquilino falegname; nei suoi racconti i rumori della strada e le voci degli ambulanti si mescolano con i suoni dell’acqua e delle attività nelle terme. Nei piani inferiori, negozi, laboratori e taverne formavano un unicum con gli altri locali aperti sulla strada che venivano affittati come abitazioni ai più poveri (cellae pauperum). All’interno si trovavano le residenze più confortevoli, le case signorili, separate dalla strada attraverso un lungo corridoio e strutturate intorno ad atri e cortili colonnati.

La vita quotidiana in una strada popolare di Roma

La vita quotidiana in una strada popolare di Roma

Foto: Peter Connolly / Akg / Album

Tuguri per poveri

La necessità di abitazioni fece sì che qualsiasi luogo fosse abitabile purché si trovasse al coperto, e questo includeva i sottotetti invasi dai piccioni. Fra gli appartamenti dei piani inferiori e gli attici si creava un’autentica stratificazione sociale in altezza. Più scale si salivano, più il prezzo scendeva. I giuristi registrano anche che si potevano subaffittare i locali di un appartamento affittato.

Gli inquilini poveri, che vivevano nel sottotetto, spesso disponevano di una sola stanza e non avevano sanitari. Una tinozza ai piedi della scala poteva servire per svuotare i catini, ma molti preferivano farlo dalla finestra. Giovenale sconsigliava di uscire di notte a Roma: «Tante volte puoi morire, quante sono di notte le finestre aperte sulla strada per la quale passi. Augurati quindi che le finestre si contentino di versarti sulla testa i contenuti dei loro catini».

Pranzo familiare. Rilievo. III secolo. Museo della civiltà romana, Roma

Pranzo familiare. Rilievo. III secolo. Museo della civiltà romana, Roma

Foto: Bridgeman / Index

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