Vilcabamba, il regno perduto degli inca

La conquista di Cuzco da parte degli spagnoli non portò alla fine della resistenza inca, che rimase viva per ben quarant’anni nel cuore delle Ande

Sin dai tempi antichi, nei territori andini vivevano diverse etnie. Alcune di queste erano molto potenti, ma non riuscirono a evitare che, nella seconda parte del XIII secolo, si stabilissero sul loro territorio gli inca, un popolo proveniente da Taipicala, nell’odierna Bolivia, e che in una delle valli fondassero un nuovo insediamento: Q’osqo, “l’Ombelico”. Il nome sarà poi trasformato in Cuzco o Cusco: lì Manco Capac proclamò re sé stesso e i suoi discendenti, stabilì le prime leggi di governo e si dichiarò rappresentante del dio Sole sulla terra.

Manco Capac in un manoscritto della Storia generale del Perù, opera di Martín de Murúa. 1616

Manco Capac in un manoscritto della Storia generale del Perù, opera di Martín de Murúa. 1616

Foto: Paul Getty Museum / Bridgeman / Aci

Erano gli inizi del Tahuantinsuyo: questo il nome, in lingua quechua antica, del territorio governato dagli inca. A partire del nono monarca, Pachacúti Yupanqui, e del figlio Túpac Yupanqui, gli inca ebbero nell’America meridionale un ruolo simile a quello che ebbe Roma in Europa, sia per la grande espansione sia per l’unità culturale che imposero alle regioni sottomesse. Il loro regno, o impero, si estendeva dal fiume Ancasmayo, in Colombia, al fiume Bío-Bío, in Cile, e comprendeva le attuali repubbliche di Ecuador, Perù, Cile, nonché i territori dell’Argentina nord-occidentale. Gli inca riuscirono a sorvegliare e a garantire l’ordine grazie al controllo di un esercito potentissimo, severo e disciplinato. Tuttavia nel 1534 furono sufficienti 168 uomini stranieri per abbattere il grande stato e prendere il possesso, con una scarsa resistenza, dei suoi estesi territori.

Nel crollo del popolo inca giocò un ruolo fondamentale lo scontro per il trono, che dal 1527 vide contrapposti Huáscar e Atahualpa, i due figli del grande monarca Huayna Cápac. Tale lotta aveva mietuto parecchie vittime, tra cui membri delle panaca, o famiglie reali, governatori delle città e perfino lo stesso Huáscar, l’erede designato. Il popolo era quindi rimasto orfano del suo re e alla mercé del vincitore Atahualpa, che era considerato uno straniero. Difatti, aveva trascorso buona parte della sua vita a Quito, al nord del Tahauntinsuyo. Alla confusione che regnava tra gli inca si aggiunse poi un altro fattore decisivo: appena videro quegli uomini stranieri in sella ad animali sconosciuti li scambiarono per viracocha, gli dei bianchi con la barba. La resistenza fu perciò quasi nulla quando, il 16 novembre 1532, Atahualpa venne fatto prigioniero dallo spagnolo Francisco Pizarro e dai soldati che lo accompagnavano.

Quest’albero genealogico del XVIII secolo mostra gli inca dal primo re, Manco Capac, fino a Atahualpa, vinto dagli spagnoli

Quest’albero genealogico del XVIII secolo mostra gli inca dal primo re, Manco Capac, fino a Atahualpa, vinto dagli spagnoli

Foto: Christie’s Images / Scala, Firenze

Nasce la resistenza

Una volta superato lo sconcerto iniziale, gli abitanti andini cominciarono a ribellarsi agli invasori. Poiché la situazione stava diventando particolarmente tesa, l’astuto Francisco Pizarro, che governava in nome dell’imperatore Carlo V, nominò sovrano Túpac Huallpa o Toparpa, un principe di Cuzco figlio di Huayna Cápac, perché facesse da intermediario tra lui e i molti popoli del Tahuantinsuyo. Pensò che questi si sarebbero rabboniti, ma non fu così. Ben presto, poi, il nuovo sovrano fece avvelenare il generale di Atahualpa, Chalcochima. Morti e saccheggi generarono un forte clima d’insicurezza nella Nuova Castiglia, come venne chiamato il Tahuantinsuyo, e nel 1533 Pizarro provò a placare gli animi eleggendo re un altro fratello del defunto Atahualpa. Il principe prese il nome di Manco Capac II e nei primi tempi lottò a favore degli spagnoli contro le armate di Quito.

Tuttavia, dopo aver assunto il potere cambiò opinione, ma scelse comunque di nascondere il suo obiettivo: restaurare il regno degli avi. Nel frattempo gli stranieri avevano fondato diverse città in stile spagnolo, in cui le classi indigene ricoprivano un ruolo importante perché lavoravano per loro; Manco Capac II intuiva quindi che sarebbe stato molto difficile cacciare gli invasori, anche perché il suo potere come inca non era effettivo, bensì fittizio, e dipendente da Francisco Pizarro. Un giorno si allontanò da Cuzco con il pretesto di portare una statua in oro massiccio a Hernando Pizarro, fratello del più noto Francisco, ma non fece ritorno. Attaccò e uccise gli spagnoli residenti negli avamposti vicini e poi convocò 200mila indigeni per schierarli vicino a Cuzco. Correva l’anno 1536. L’assedio durò tredici o quattordici mesi. Le truppe di Manco stavano per annientare gli invasori, che però ebbero la meglio. La ribellione inca non andò a buon fine neppure quando, nello stesso periodo, il generale Quiso Yupanqui cinse d’assedio Ciudad de los Reyes, l’attuale capitale del Perù, Lima.

Nella valle sacra: vista del canyon dell’Urubamba dalla cittadella inca di Machu Picchu, a 600 metri di altezza dal fiume

Nella valle sacra: vista del canyon dell’Urubamba dalla cittadella inca di Machu Picchu, a 600 metri di altezza dal fiume

Foto: Günther Bayerl / Lookphotos / Gtres

   

Il regno della selva

Manco Capac II non si diede per vinto. Riunì i sudditi e gli comunicò che aveva deciso di intraprendere una nuova guerra dalla selva di Vilcabamba. Si trattava di una zona dall’orografia molto complessa situata a 175 chilometri da Cuzco e colonizzata dai suoi avi sin dal regno del decimo sovrano Túpac Yupanqui. Manco partì quindi verso Vilcabamba in compagnia di un nutrito seguito, si stabilì nella città di Vitcos e iniziò un’attività di guerriglia: l’esercito di fedeli attaccava i passanti e distruggeva le case dei contadini.

Túpac Amaru in catene, in un quadro del XVIII secolo. Lo imprigionò il capitano Martín de Loyola a circa 240 km da Vilcabamba

Túpac Amaru in catene, in un quadro del XVIII secolo. Lo imprigionò il capitano Martín de Loyola a circa 240 km da Vilcabamba

Foto: Album

   

Gli spagnoli erano determinati a eliminare i focolai di rivolta. Nel 1539 Gonzalo Pizarro, altro fratello di Francisco, attaccò Vitcos, sterminò molti uomini di Manco e, anche se questi riuscì a scappare, ne fece prigioniero il figlio, il piccolo Titu Cusi Yupanqui. Da allora il sovrano inca non si sentì più al sicuro e, assieme alla sua gente, si diresse verso Quito. Tuttavia, giunto a Huamanga, l’attuale Ayacucho, si rese conto che gli spagnoli erano ovunque e tornò nella zona di Vilcabamba, dove fondò alcune città, tra cui Vilcabamba stessa, che designò capitale del regno. Manco Capac II governò fino al 1544, quando fu assassinato da alcuni spagnoli e un meticcio cui aveva dato asilo. Lasciò tre figli: due legittimi, Sayri Túpac e Túpac Amaru, e uno illegittimo, Titu Cusi Yupanqui. Sin da subito il successore, Sayri Túpac, iniziò a lottare contro gli spagnoli, ma il viceré Andrés Hurtado de Mendoza si adoperò perché abbandonasse la selva, si trasferisse nella Valle Sacra degli Inca e a Vilcabamba tornasse la pace. Pace che non durò molto, perché Titu Cusi Yupanqui si proclamò nuovo sovrano e riprese i combattimenti. Gli spagnoli avviarono nuove trattative e nel 1568 ottennero che i missionari potessero recarsi nella zona a predicare il Vangelo.

La fine di Vilcabamba

Molti abitanti di Vilcabamba furono battezzati, tra cui lo stesso Titu Cusi Yupanqui, che nel 1570 scrisse al re Filippo II un documento in cui giustificava la ribellione del suo popolo e reclamava diritti in quanto discendente del Tahuantinsuyo. Titu Cusi Yupanqui si ammalò d’improvviso, per spegnersi poi nell’arco di sole ventiquattr’ore. Alcuni cronisti raccontano che morì per una polmonite; altri che fu avvelenato dai suoi capitani, contrari all’idea di abbandonare la selva e cadere in mano agli spagnoli. Gli successe sul trono Túpac Amaru, l’erede legittimo, che Titu Cusi Yupanqui aveva tenuto rinchiuso nella casa delle Vergini del Sole, una sorta di comunità monastica per le donne consacrate alla divinità.

A quei tempi il viceré del Perù era Francisco de Toledo, cui Filippo II aveva intimato di porre fine all’insurrezione. Il viceré mandò un messaggero a Vilcabamba al fine d’intavolare trattative, ma i guerrieri inca lo uccisero prima che potesse parlare. Quando Toledo lo seppe, armò un esercito di 250 uomini e alla fine del maggio 1572 lo inviò nella selva al comando di Martín Hurtado de Arbieto. Il 24 giugno uno dei suoi capitani, Martín García Óñez de Loyola, prese possesso della capitale e catturò Túpac Amaru che, vedendosi accerchiato, diede l’ordine d’incendiare la città. Il sovrano inca fu portato a Cuzco dove, in seguito a un processo, fu decapitato nella plaza de Armas.

Decapitazione dell’inca: il boia di Túpac Amaru fu un indio cañari, che gli tagliò la testa in un sol colpo. Miniatura del Codice Murúa. XVII secolo

Decapitazione dell’inca: il boia di Túpac Amaru fu un indio cañari, che gli tagliò la testa in un sol colpo. Miniatura del Codice Murúa. XVII secolo

Foto: Musée du Quai Branly / Jacques Chirac / RMN-Grand Palais

Il viceré ordinò poi di fondare un governatorato e di stabilire a Vilcabamba una nuova capitale: San Francisco de la Victoria. Tuttavia, poiché gli autoctoni credevano che fosse un luogo insalubre e che si trovasse troppo lontano dalla zona delle miniere, la spostarono in un altro posto, dove esiste ancora oggi con il nome di Vilcabamba la Nueva, che dopo l’indipendenza del Perù venne annessa alla provincia di La Convención. A quell’epoca il regno degli inca ribelli era giù caduto nell’oblio perché, con il passare del tempo, la selva si era impadronita delle strade e delle città che gli ultimi signori del Tahuantinsuyo avevano fatto costruire nel cuore delle Ande.

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