Che alcune popolazioni rivierasche del golfo adriatico a nord della foce del Brenta e a ovest di quella dell’Isonzo si fossero rifugiate tra le isolette e la laguna di quel paludoso litorale per tenersi al riparo delle incursioni gote e unne, è già lo storico Cassiodoro a narrarlo fra il 537 e il 538 nelle sue Variae, che ne fornisce un ritratto idillico: beati pescatori-cacciatori-agricoltori che con una mano raccoglievano i frutti della terra e con l’altra ritiravano le reti dal mare pescoso. In realtà i primi insediamenti lagunari erano assai più antichi, ma s’intensificarono nel corso dei secoli V-VI fino a raggiungere l’acme all’inizio del VII secolo, sotto l’incalzare delle ondate longobarde. Il toponimo latino Venetia, collegato alla popolazione indoeuropea dei veneti, indicava l’area lagunare che verso nordest terminava con Altino e il Sile.

La tela del Canaletto mostra il ponte sull'Arsenale, il cantiere navale al servizio dell’attività mercantile veneziana sin dal XII secolo
Foto: Scala, Firenze
L'autonomia politica e religiosa
Nel VI secolo i venetici si sarebbero insediati sfuggendo ai longobardi tra le isole impaludate della laguna dove avrebbero svolto attività di barcaioli, pescatori e raccoglitori di sale. Oscure sono le origini sia dei vari centri abitativi che poi si sarebbero uniti in seguito a un lento processo (da qui il plurale del nome della città: Venetiae), sia delle radici della pretesa di una diocesi autonoma e di un dux, un magistrato imperiale dipendente direttamente da Costantinopoli e non – o non più – da un magister militar agli ordini di Ravenna e con centro amministrativo in Cittanova Eraclea: tutti questi elementi si sarebbero concretizzati all’inizio del IX secolo nel luogo detto “Rivoalto” (Rialto), mentre nella vicina Equilum (Jesolo) s’insediava un centro episcopale con chiesa cattedrale. Nei pressi dell’odierna Fusina esistevano invece i possessi della famiglia aristocratica dei Particiaci, che tra VIII e IX secolo detenevano anche una cappella, poi passata ai monaci benedettini di San Servolo.
La prima cattedrale cittadina di Venezia può essere considerata San Pietro in Castello, fondata nella seconda metà del secolo IX. Una tenace tradizione vuole che sia stato il dux Agnello Particiaco o Partecipazio, appunto ai primi del IX secolo, a trasferire a Rialto la sua sede: in quell’occasione accanto alla sede ducale sarebbe stata fondata una prima basilica dedicata a San Marco e si sarebbe poi consolidata la leggenda dell’avventuroso trasporto delle reliquie dell’evangelista – cui si attribuiva la primissima cristianizzazione delle isole lagunari – da Alessandria.
La rivendicazione dell’origine apostolica della Chiesa veneziana (Marco, in quanto evangelista, veniva equiparato agli apostoli), base per la stessa legittimazione del titolo patriarcale, sarebbe stata una mossa dei veneziani per opporsi alle pretese del patriarca di Aquileia il quale, nel sinodo di Mantova dell’827, aveva preteso l’unificazione diocesana. Il trafugamento del corpo dell’apostolo da Alessandria avrebbe appunto avuto luogo, significativamente, nell’828; e un anno ancora più tardi, nell’829, il testamento del “doge” Giustiniano Particiaco avrebbe coinciso con la prima fondazione della basilica dedicata al santo, con la quale a lungo convisse un altro edificio sacro, dedicato a san Teodoro.

Venezia nel cinquecento. Rappresentazione della città nella galleria delle carte geografiche di Egnazio Danti. 1580- 1583. Musei Vaticani
Foto: Bridgeman / Aci
Nell’828 alcuni mercanti portarono le reliquie di San Marco da Alessandria a Venezia
La basilica fu quindi totalmente ricostruita, anzi si può dire rifondata, dal doge Domenico Contarini verso il 1063. All’iniziativa del Contarini si deve anche la costruzione del monastero di San Nicolò di Lido, di cui restano elementi sia strutturali sia pittorici (affreschi e mosaici) dell’XI secolo. Altri edifici importanti dell’epoca sono la chiesa di San Giacomo di Rialto (“San Giacometto”), che appare ispirata alla struttura di San Marco, e il duomo di Murano dedicato a Santa Maria e a San Donato, il cui pavimento musivo porta un’iscrizione dalla quale si ricava la data del 1141.
Una città anfibia
Attorno ai due nuclei isolani più consistenti, di Rialto e di Castello, si andò pertanto formando tra i secoli VI e XI un complesso territoriale caratterizzato da isole collegate tra loro da passerelle o da bassi punti guadabili; i bracci acquei più bassi vennero progressivamente interrati, mentre lo spazio calpestabile a disposizione degli abitanti era progressivamente ampliato per mezzo di dighe, di “colmate” di terra di riporto o di piattaforme costruite su palafitte. Gli stessi edifici più importanti, che furono con grande fatica provvisti di fondamenta, poggiarono molto spesso su palafitte: il che rendeva necessari complessi restauri e interventi di manutenzione, obbligava a convivere con i problemi dei venti e delle maree (l’“acqua alta”) e imponeva agli abitanti l’acquisizione di singolari abitudini “anfibie”.
Mentre il cordone sabbioso che separava la laguna dal mare aperto (il “lido”) e le isole a sud e a est dei due nuclei di Castello e di Rialto – rispettivamente considerati il “patriarcale” e il “dogale” – venivano insediati principalmente dagli appartenenti ai ceti subalterni occupati nella pesca, nella cantieristica e nelle saline (l’arsenale si andò difatti organizzando a levante rispetto all’isola sulla quale sorgeva San Marco), i nuclei abitativi distribuiti attorno ai due centri si andavano strutturando gradualmente in due forme affrontate, a doppia “esse”, congiunte dal grande ponte a schiena d’asino, detto “di Rialto”, che varcava la via d’acqua principale, poi detta “Canal Grande”, sulla quale si sarebbero gradualmente affacciate le chiese e le dimore aristocratiche principali.

Il Canal Grande, l’ultima parte della grande arteria vista dal ponte dell’Accademia. A destra, la cupola della chiesa di Santa Maria della Salute
Foto: Susanne Kremer / Fototeca 9X12
La necessità di convivere con la laguna e con i suoi ritmi idrologici presiedette fin dal principio al crescere di una “forma urbana” del tutto sui generis e conferì all’urbanistica, all’architettura, alle tecniche costruttive e agli stessi stili artistici quel carattere empirico che gli studiosi hanno sovente rimarcato.
La fama europea
Gli sviluppi politici, economici e commerciali verificatisi tra l’XI e il XII secolo, in coincidenza con la tardiva ma intensa partecipazione veneziana alla colonizzazione del litorale siropalestinese dopo la prima crociata, condussero alla definitiva affermazione di Venezia in stretto rapporto con la politica di Manuele Comneno e di papa Alessandro III.
L’ampliamento verso ovest della piazza antistante la basilica di San Marco, dovuto ai dogi Vitale II Michiel e Sabastiano Ziani con l’interramento del canale Batario, il rifacimento del palazzo ducale e l’innalzamento delle due colonne di san “Todaro” (Teodoro) e del leone di San Marco, si accompagnò a un nuovo e definitivo impulso nel senso della razionalizzazione del quadro urbano attraverso la costruzione di nuovi ponti e l’interramento progressivo dei canali secondari. A partire dall’ultimo quarto del XII secolo si avviò il rivestimento in marmo e mosaici delle pareti esterne della basilica. Frattanto, accanto alla basilica, alla più antica struttura del castello particiaco si aggiunsero il palatium commune e quello ad ius reddendum, sul quale s’innalzò il vero e proprio “palazzo ducale”.

Piazza San Marco, creata nel XII secolo, è l’area più rappresentativa di Venezia. Vi si trovano il palazzo Ducale la basilica e la colonna di San Marco
Foto: Luca da Ros / Fototeca 9X12
Nel 1202 il fatto che i capi della cosiddetta “quarta crociata” avessero scelto Venezia non solo come porto di partenza per la loro impresa, ma anche come interlocutrice sul piano finanziario, costituisce la riprova del fatto che ormai la città si era guadagnata in Europa, insieme e in concorrenza con la rivale Genova, una fama e un prestigio ormai ben solidi. Gli eventi del biennio 1202-1204, con la conquista di Zara prima, di Costantinopoli poi, e la compartecipazione dei veneziani all’impresa del governo dell’impero detto “latino d’Oriente” coincisero non soltanto con l’arrivo in città di forti somme di danaro frutto del bottino e quindi dello sfruttamento delle nuove conquiste, ma anche di opere d’arte che determinarono e accompagnarono un “rinascimento veneziano del XIII secolo” fondato sulla riscoperta dell’antico: un “antico” ch’era, in realtà, lo stile tardoromano passato attraverso l’eredità e l’elaborazione bizantine. Ciò influì soprattutto sui mosaici, contribuendo a determinare una scuola veneziana nella quale il modello bizantino è evidente, ma appare sottoposto a una dinamica nuova e originale.
Nel 1204 i veneziani s'impadronirono del tesoro degli imperatori di Costantinopoli
Tutto ciò non passò inosservato: nel 1218, Onorio III domandò al doge Pietro Ziani di procurargli artisti veneziani per la decorazione della basilica extramuraria di San Paolo in Roma. Ricerche recenti hanno sottolineato come i tratti lineari e cromatici dei mosaici veneziani a partire dal XIII secolo debbano esser posti in rapporto con i modelli bizantini, ma anche con un altro tipo di arte che si andava affermando, quello della miniatura, che accoglieva anche suggerimenti derivati dalle culture iconiche dell’entroterra veneto e padano.
Lo stile bizantino influenzò sensibilmente quello veneziano, sia nell’arte musiva sia nell’oreficeria
Gli ordini mendicanti
Un elemento rivoluzionario nella struttura urbanistica veneziana non meno che in quella di altri centri urbani fu l’arrivo e l’impianto, a partire da circa il secondo terzo del XIII secolo, dei conventi dei nuovi Ordini mendicanti che preferivano in genere occupare strategicamente le periferie, dove si addensavano, in quel secolo di rapido incremento diocesano, gli insediamenti dei ceti subalterni.

Reliquiario proveniente da Costantinopoli. Tesoro della basilica di San Marco
Foto: Oronoz / Album
Nel 1231 i frati minori ebbero in dono un’area paludosa nella quale avrebbero fondato la basilica di Santa Maria Gloriosa, detta appunto “dei Frari”. I minori s’insediarono presto anche nell’area nella quale sarebbe più tardi sorto San Francesco alla Vigna, nel sestiere di Castello, mentre risalirebbe a una donazione di Jacopo Michiel, nel 1233, la fondazione di San Francesco del Deserto su un’appunto deserta isola della laguna. Fu invece il doge Jacopo Tiepolo (1229-1249) a donare un anno più tardi, nel 1234, ai domenicani un appezzamento di terreno sul quale essi costruirono la chiesa dedicata ai Santi Giovanni e Paolo (“San Zanipolo”): la chiesa che oggi ammiriamo è più recente, ma sembra seguire l’impianto di quella originale.
I Frari e San Zanipolo, entrambe originariamente lontane dai luoghi nevralgici del potere cittadino, significativamente distanti e “opposte”, erano destinate a giocare un ruolo culturale e se si vuole addirittura politico fondamentale, attirando non solo la devozione popolare, ma anche quella delle grandi famiglie aristocratiche, le quali avrebbero scelto le due chiese come sepolcro, arricchendole di opere d’arte. La ristrutturazione sia dei Frari sia di San Zanipolo risale agli anni trenta del XIV secolo: essa comportò anche importanti modifiche strutturali, perfino nell’orientamento degli edifici. Le due chiese sarebbero servite anche come luogo d’inumazione dei dogi, non appena non fu più possibile seppellirli in San Marco.
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Un'estetica che riflette la politica
Verso la metà del XIV secolo un importante ruolo nell’impulso dell’arte veneziana si dovette al doge Andrea Dandolo, che resse il dogado tra 1343 e 1354 e fu giurista, storico, letterato: egli intervenne sovente nella manutenzione e nel rinnovamento continuo della basilica, nonché nelle modifiche del suo tesoro più prezioso, la Pala d’oro. Agli interessi e ai gusti del Dandolo si attribuisce lo sviluppo specifico del gotico veneziano, con i suoi elementi di sintesi fra la tradizione eurosettentrionale e il ricorso a elementi tanto strutturali quanto ornamentali di tipo orientale.

San Marco, particolare della Pala d'oro. Tesoro della basilica di San Marco. 1105
Foto: Scala, Firenze
A metà del XIV secolo il doge Dandolo promosse il rinnovamento di San Marco e della Pala d’oro
Fu durante il suo dogado che si avviò la vera e propria decisa ristrutturazione del nuovo palazzo ducale con l’apertura dell’immensa sala del Maggior Consiglio, che doveva essere in grado di accogliere i consiglieri, il numero dei quali era andato crescendo da trecento a mille. In tal modo la dinamica politica e costituzionale della città influiva decisamente non solo sull’aspetto propriamente estetico, bensì sulle vere e proprie strutture architettoniche. Doveva avere un carattere simbolico-politico l’affresco del Paradiso che ornava quella medesima sala e al quale avrebbe contribuito il pittore Guariento di Arpo: ce ne resta purtroppo solo un piccolo frammento.
Quanto all’architettura propriamente civile e privata, ai secoli XII-XIII appartengono le dimore in stile cosiddetto veneto-bizantino, con portico centrale e loggia superiore: come esempi si possono citare palazzo Falier, Ca’ Businello, Ca’ Lion, Ca’ Da Mosto; allo sviluppo propriamente gotico di questa tipologia appartengono la Ca’ d’oro e le case dei Foscari e dei Pisani.
Venezia tra Umanesimo e Rinascimento
La particolare struttura urbana di Venezia impedì che i vuoti lasciati dalla “peste nera” del 1347-50 e dalle successive ondate epidemiche le quali si susseguirono fino all’altra grande pandemia del 1630 si traducessero in una vera e propria restrizione del centro urbano, come accadde altrove: tuttavia, anche a Venezia come altrove, il diradamento delle case adibite a residenza per i ceti subalterni lasciò spazio per la costruzione di nuovi edifici pubblici religiosi e civili e per l’ampliamento di quelli che già c’erano, nonché per l’impianto di orti e giardini.

La tela 'Miracolo della croce' di Gentile Bellini ritrae il canale di San Lorenzo. XV secolo. Gallerie dell’Accademia
Foto: E. Lessing / Album
Tra il XIV e il XV secolo si procedette alla definitiva ristrutturazione dello stesso palazzo ducale, con una contaminazione di elementi gotici e orientali; un ampio loggiato s’impostò sopra i portici ad archi acuti su basse robuste colonne. In sostituzione degli affreschi di Guariento, nella sala del Maggior Consiglio, si commissionarono nel 1474 i teleri a Gentile Bellini; la pittura monumentale su tela continuò a venir praticata fra XV e XVI secolo con Giovanni Bellini, Carpaccio, Tiziano, Pordenone, Veronese, Tintoretto, anche se l’incendio del 1577 distrusse molte tele. La tela divenne un supporto consueto anche per la pittura a olio, come si vede nei capolavori del Carpaccio. Accanto ai Vivarini e a Cima da Conegliano, Giovanni Bellini fu la figura dominante tra la seconda metà del XV e l’inizio del XVI secolo. Fondamentale per lo sviluppo della pittura è inoltre la presenza nella città di Antonello da Messina (1475-1476).
Il Rinascimento in architettura si affermò secondo la consueta tipologia empirica, attraverso compromessi con la precedente tradizione e ora caute, ora più audaci innovazioni: lo si vede nel portale di San Zanipolo, del 1458, e nell’ arco Foscari del palazzo ducale attribuito ad Antonio Rizzo. Al 1460 circa appartiene la porta dell’Arsenale, primo vero e proprio attestato di un ormai raggiunto sicuro e caratteristico linguaggio architettonico umanistico.
I due episodi che a Venezia segnano il passaggio dal linguaggio “umanistico” successivo al “rinascimento veneziano” del duecento e problematicamente collegato alle influenze “gotiche” e “orientali” e il Rinascimento vero e proprio possono essere considerati la risistemazione della piazza San Marco, a ovest della basilica, a opera di Jacopo Sansovino, e l’opera composita ed eclettica di Mauro Codussi, al quale si deve sullo scorcio del secolo il palazzo Vendramin Calergi.
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Per saperne di più
Storia di Venezia. Frederic C. Lane. Torino, Einaudi, Milano, 2015
Bisanzio e Venezia. Giorgio Ravegnani. Il Mulino, Bologna, 2020