Il dieci settembre 1827, nel sobborgo londinese di Turnham Green, si spense in povertà, e assistito solo dalla figlia Floriana – frutto di una fugace avventura in Francia con l’inglese Fanny Emerytt Hamilton – quello «spirto guerrier» che un così grande ruolo ricoprì e avrebbe ricoperto nelle arti nostrane. Grazie all’ardente romanzo Ultime lettere di Jacopo Ortis (1802), il primo nella letteratura italiana moderna, e alle numerose poesie dallo stile neoclassico e dal contenuto romantico, nonché al temperamento impetuoso, Foscolo incarnò l’ideale del poeta trasgressivo ed eroico, e seppe coniugare un’incredibile cura formale a passioni travolgenti, dall’amorosa alla patriottica. Apolide e poi esule, professò un amore incondizionato per le sorti dell’Italia, divenendo per i romantici il poeta per elezione, il vate militante. Non solo: alcune sue liriche, come Alla sera, A Zacinto, Dei Sepolcri, sarebbero rimaste impresse nell’animo di generazioni e generazioni di lettori.
'Ugo Foscolo', di Andrea Appiani, 1801-1802. Pinacoteca di Brera, Milano
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Gli entusiasmi giovanili e le speranze
Niccolò Foscolo – il nome Ugo fu una scelta matura dell’autore – era giunto a Londra dopo quella che lui stesso aveva definito «mia vita raminga»: un’esistenza di spostamenti, battaglie, scontri ideologici, militari e letterari, avventure amorose, entusiasmi e delusioni. Nato nell’isola greca di Zacinto (o Zante) il 6 febbraio 1778 da padre di origini veneziane e madre greca, ben presto, a sei anni, si stabilì a Venezia con la madre e i fratelli, pur mantenendo forte il legame con la terra e la cultura natali, a cui avrebbe fatto risalire l’ispirazione classicistica della sua produzione. Si formò quindi nella Venezia culturalmente eclettica di quegli anni, frequentando intellettuali e salotti come quello d’Isabella Teotochi Albrizzi, la prima di una lunga serie d’amanti e muse, tra cui Teresa Pikler, moglie del poeta e traduttore Vincenzo Monti, Antonietta Fagnani Arese e Quirina Mocenni Magiotti.
Ben presto prese parte anche alle convulse vicende che segnarono l’Italia e l’Europa a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo, periodo in cui campeggiava la figura di un ambiguo Napoleone. La vita politica di Foscolo si sarebbe spesso intrecciata con quella del generale corso, verso il quale il poeta nutrì forti speranze, salvo poi ricredersi e, ciononostante, continuare a militare nel suo esercito o nelle milizie della Repubblica cisalpina, dipendente dalla francese.
'Il generale Napoleone nella prima campagna d’Italia', olio di Édouard Detaille, 1907
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Nel maggio 1797, a Bologna, compose l’ode A Bonaparte liberatore, in cui esaltava la figura di Napoleone – allora impegnato nella prima campagna d’Italia – quale affrancatore di popoli e protettore del nuovo assetto geopolitico degli stati autodeterminatisi. E quando, sulla scia dei fervori e degli entusiasmi libertari, Venezia si proclamò una repubblica democratica, un giovane Foscolo chiese di giocarvi un ruolo attivo, divenendo così segretario della Società d’istruzione pubblica.
Foscolo e la delusione di Napoleone
La prima delusione nei confronti del suo idolo sarebbe giunta di lì a poco, nell’ottobre dello stesso anno, con la ratifica del trattato di Campoformio tra l’Austria e la Prima repubblica francese:Napoleone prendeva accordi con i nemici austriaci e gli cedeva Venezia. Per parecchi intellettuali, tra cui il giacobino Foscolo, rappresentò quello un trauma storico e la caduta di molte speranze. Napoleone iniziava a mostrarsi nelle sue vere vesti: non un liberatore, né tantomeno un difensore contro i regimi assolutistici quale l’austriaco, bensì un condottiero ambizioso, un conquistatore senza scrupoli e, più tardi, un imperatore.
Una delle otto copie del Trattato di Campoformio (1797), conservata presso l’Archivio nazionale francese
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La delusione di Foscolo trapelò in una delle sue opere più famose, il romanzo epistolare Ultime lettere di Jacopo Ortis, in cui il giovane protagonista, repubblicano ormai disilluso e ostacolato nel sentimento per Teresa, sceglie il suicidio quale unica via d’uscita a un’esistenza senza patria e senza amore. Malgrado il pessimismo di fondo, Foscolo inserisce nella corrispondenza di Jacopo un indizio dei suoi principi esistenziali e consolatori, le «illusioni», passioni umane e civili che dovrebbero guidare ogni essere umano: patria, bellezza, amore, arte, gloria e affetti familiari. Afferma Jacopo: «Illusioni! grida il filosofo. Or non è tutto illusione? tutto! [...] Illusioni! Ma intanto senza di esse io non sentirei la vita che nel dolore».´
Guidato da quelle stesse illusioni, alla notizia del trattato di Campoformio Foscolo lasciò Venezia alla volta di Milano dove, per il suo comportamento tumultuoso e la militanza giacobina, si attirò non poche inimicizie. Da lì molti saranno i suoi spostamenti in giro per l’Italia e per la Francia, collaborando a giornali militanti, invischiandosi in polemiche di varia natura, frequentando nuovi salotti, innamorandosi di parecchie dame e impugnando le armi, sempre fedele alla speranza di un miglioramento politico seppur consapevole della sua inattuabilità. Una simile posizione lo spinse, per esempio, a ristampare l’ode in onore di Napoleone, nel 1799, alla quale premise una dedica ardita: esortava Bonaparte a rifuggire la tirannide, perché altrimenti «avrà il nostro secolo un Tacito [Foscolo stesso], il quale commetterà la tua sentenza alla severa posterità».
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Il canto e la gloria del sepolcro
Una nuova delusione lo colse all’emanazione dell’editto napoleonico di Saint-Cloud, nel 1804, poi esteso al Regno italico nel 1806: tutte le sepolture sarebbero avvenute fuori dalle mura urbane, senza lapidi e distinzioni di sorta. La risposta di Foscolo fu il potente carme Dei Sepolcri (1806), in cui il poeta depreca l’anonimato della morte e considera le tombe quali vincolo di affetti familiari e amicali («Sol chi non lascia eredità d’affetti / Poca gioia ha dell’urna»). Nell’intenso componimento Foscolo sottolinea inoltre la funzione civile e politica delle tombe «de’ forti», ovvero di coloro che hanno svolto un ruolo fondamentale per gli ideali dei popoli e che costituiscono una fonte di emulazione. Quasi presagendo la propria futura sorte, menziona la basilica di Santa Croce a Firenze, da lui visitata e già presente nello Jacopo Ortis, giacché qui vi riposano le spoglie delle glorie dell’Italia, «dei patrii Numi», tra cui Machiavelli, Michelangelo e Galileo Galilei.
Con il riferimento finale a Omero, cantore di quel mondo greco in lui sempre vivo, Foscolo si spinge infine a individuare cosa può opporsi allo scorrere del tempo, al disfacimento dei sepolcri stessi e al nulla eterno: la poesia e l’arte. Sono loro a concedere la vera immortalità, a stagliarsi sopra ogni altra visione della vita e ogni altra illusione. E anche nell’esilio inglese, seguito all’ingresso degli austriaci a Milano dopo la sconfitta napoleonica – per rabbonirlo, tra l’altro, gli austriaci gli offrirono di dirigere una rivista e Foscolo accettò, salvo poi lasciare la città pur di non giurare fedeltà al regime –, il poeta continuò a dedicarsi alla letteratura, in veste d’autore e di critico, pure nella miseria e nelle privazioni.
Frontespizio della prima edizione di 'Dei Sepolcri', 1809
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La bizzarra sorte del sepolcro di Foscolo
Poté entrare nel pantheon dei «grandi» solo molti anni dopo, all’indomani del Risorgimento e dell’Unità d’Italia. Sebbene anche la Grecia si fosse mossa per rivendicare le spoglie del poeta, senza troppa animosità, fu l’Italia a ottenere la traslazione della salma. Le difficoltà non mancarono, giacché ci volle tempo per raccogliere i fondi necessari e per trovare l’umile tomba nel cimitero periferico di Chiswick. Finalmente, però, i resti di Ugo Foscolo giunsero a Firenze nel giugno 1871.
E come la sua vita fu turbolenta e appassionata, scandita dalla politica e dalla storia, la stessa sorte colpì pure la sua ultima dimora. La sistemazione definitiva del sepolcro venne decisa solo nel 1910, e la creazione del monumento venne affidata, dietro concorso, a un giovane scultore, Zulimo Rossellini. Questi compose un’opera in stile neoclassico, coerente con lo stile foscoliano, ma destinata a non porre mai piede in Santa Croce: ultimata cent’anni dopo la morte di Foscolo, nel 1927 e sotto il fascismo, finì in un deposito perché Rossellini non aveva voluto prendere la tessera del partito. L’omaggio al poeta che cantava la libertà degli ideali venne invece assegnato ad Antonio Berti, che nel volto del suo Foscolo incise un’espressione marziale, più consona ai tempi mussoliniani.
Monumento funebre di Ugo Foscolo realizzato da Antonio Berti in Santa Croce a Firenze (1939)
Foto: © GiadaE - Opera propria: shorturl.at/hkFT5
Dove finì l’altro sepolcro, di un artista pure lui insofferente ai regimi? Riscoperto più di cinquant’anni dopo, proprio come la salma del vate, riposa oggi in un cortile storico dell’ateneo di Pavia grazie all’intervento del critico, poeta e scrittore Franco Fortini. A Pavia, nel gennaio 1809, Foscolo tenne cinque lezioni di eloquenza. Desideroso di mettersi alle spalle le lotte politiche e di dedicarsi in tranquillità alla docenza, fu costretto a rinunciarvi per la soppressione del corso. La sua esistenza nomade dovette riprendere, e presto la miseria avrebbe prostrato le sue forze, ma a eterna memoria di quest’indomita e affascinante figura d’intellettuale giace ora la tomba, «finchè il Sole / risplenderà su le sciagure umane».
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