Tracce d'arsenico nella chioma di Napoleone

L’analisi delle ciocche di capelli dell’imperatore ha fatto nascere il sospetto di un avvelenamento subìto durante l’esilio a Sant’Elena

L’esilio di Napoleone sull’isola di Sant’Elena, a 1.800 chilometri dalle coste africane, iniziò il 15 ottobre 1815. L’illustre prigioniero era relativamente giovane – aveva 46 anni – e ci si attendeva quindi che il suo soggiorno durasse a lungo. Invece morì meno di sei anni dopo.

Napoleone risiedeva a Longwood House, un luogo freddo, umido e avvolto da una nebbiolina costante, che vide la sua salute peggiorare costantemente e dove non si sentì mai a sua agio. Il medico britannico che lo aveva in cura, Barry O’Meara, si lamentava con tale insistenza delle condizioni di vita del suo paziente che il governatore dell’isola, Hudson Lowe, finì per esonerarlo dal suo incarico nel 1818.

La morte di Napoleone. Montholon, il presunto avvelenatore, è uno dei personaggi sullo sfondo. Olio di Charles de Steuben

La morte di Napoleone. Montholon, il presunto avvelenatore, è uno dei personaggi sullo sfondo. Olio di Charles de Steuben

Foto: AKG / Album

 

 

A partire dal settembre del 1820 la salute di Napoleone si deteriorò in maniera drammatica. Le cure somministrategli dal nuovo medico Francesco Antommarchi, un còrso inviato dalla sua famiglia, si rivelarono inutili. L’imperatore esiliato morì il 5 maggio 1821.

«Muoio assassinato»

Anche se all’inizio del XIX secolo morire a 51 anni di età non era così insolito come sarebbe oggi in Occidente, nel suo testamento l’imperatore scrisse: «Muoio prematuramente, ucciso dall’oligarchia inglese e dal suo sicario», cioè Lowe. L’autopsia, eseguita da Antommarchi con la collaborazione di diversi medici britannici, rilevò la presenza di un’ulcera gastrica che sia il dottore còrso sia alcuni collaboratori inglesi considerarono cancerogena. Questo bastò per attribuire la morte di Napoleone a un cancro allo stomaco, lo stesso male che aveva provocato la scomparsa di suo padre tempo prima.

Negli anni cinquanta del novecento un dentista svedese di nome Sten Forshufvud, appassionato di tossicologia e di studi napoleonici, mise in dubbio questa versione dei fatti ritenendo che la causa dei sintomi descritti nelle memorie di Louis Marchand, cameriere di Napoleone, potesse essere l’arsenico. Dato che questo veleno tende ad accumularsi nei capelli, tale sospetto poteva essere verificato analizzando un campione di chioma la cui appartenenza all’imperatore fosse documentata in modo affidabile. Esistevano d’altronde varie ciocche di capelli di Bonaparte, che spesso le regalava in segno di affetto.

Si sono conservate diverse ciocche di capelli attribuite a Napoleone Bonaparte. Alcune, prelevate subito dopo il decesso, presenterebbero tracce di un possibile avvelenamento

Si sono conservate diverse ciocche di capelli attribuite a Napoleone Bonaparte. Alcune, prelevate subito dopo il decesso, presenterebbero tracce di un possibile avvelenamento

Foto: Alfred de Montesquiou / Getty Images

In questo modo Forshufvud scoprì che i capelli di Napoleone non solo mostravano concentrazioni di arsenico molto più alte del normale, ma che queste erano discontinue: molto arsenico in determinati periodi, poco o nulla in altri. Allora l’esperto svedese elaborò una dettagliata cronologia dello stato di salute del prigioniero esaminando la documentazione medica relativa ai suoi ultimi mesi di vita: sintomi fisici, variazioni dell’umore, trattamenti ricevuti, e – essendo nota la velocità di crescita dei capelli umani – comparò questi dati con l’evoluzione dei tassi di arsenico. La correlazione apparve evidente: l’aumento del tasso di arsenico coincideva con un peggiore stato di salute di Napoleone e viceversa.

In cerca dell’assassino

Ormai convinto dalla sua ipotesi, Forshufvud cercò di risalire all’identità dell’avvelenatore, che doveva necessariamente essere stato un ospite di Longwood House e aver frequentato con regolarità Napoleone durante il suo esilio. Ciò ridusse la lista dei sospetti a cinque nomi. Ma l’intendente della cucina Pierron e i valletti Saint-Denis e Noverraz non avevano contatti con il cibo dell’imperatore. L’unico cameriere che serviva regolarmente i pasti a Napoleone era Marchand, suo ardente sostenitore. Rimaneva un unico candidato: il conte di Montholon.

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Montholon era un politico opportunista che aveva combattuto nell’esercito napoleonico ma aveva anche subito alcuni sgarbi personali dall’imperatore. Nel 1814 aveva sostenuto la restaurazione borbonica ed era riuscito a raggiungere il grado di generale; poi però era improvvisamente tornato bonapartista e aveva deciso di accompagnare Napoleone a Sant’Elena con la famiglia. La moglie, che si vociferava essere l’amante di Bonaparte, rientrò in Francia qualche anno dopo. Il marito invece decise di restare. Controllava personalmente le cantine dell’imperatore, cui serviva con regolarità un certo vino di provenienza sudafricana.

Hudson Lowe in un'incisione a colori del 1875

Hudson Lowe in un'incisione a colori del 1875

Foto: AKG / album. Colore: José Luis Rodríguez

 

 

La teoria di Forshufvud ebbe poco credito tra gli storici ma fu rilanciata qualche anno dopo dall’imprenditore canadese Ben Weider, che pubblicò diversi libri sull’argomento. Negli anni novanta toccò allo scrittore francese René Maury portare avanti la tesi della responsabilità di Montholon, basandosi su alcuni documenti avuti da un discendente del generale.

In realtà, non c’è nessuna prova certa del fatto che Montholon avesse organizzato l’assassinio dell’imperatore, come alla fine ha riconosciuto lo stesso Weider. Nonostante ciò, diversi autori hanno continuato a speculare sulla presenza di arsenico nei ciuffi di capelli conservatisi fino ai giorni nostri. Ben Weider ne ha fatto analizzare uno in un laboratorio dell’FBI e i risultati hanno confermato quelli ottenuti da Forshufvud. Nel 2001 tre tossicologi di un ospedale parigino hanno esaminato altre ciocche, rilevando di nuovo un tasso di arsenico al di sopra della norma.Ciò porta a chiedersi quale potrebbe essere allora l’origine della contaminazione. Gli studiosi hanno suggerito una serie d’ipotesi: la carta da parati di Longwood House, dei medicinali contenenti la sostanza, qualche alimento oppure i cosmetici usati per la conservazione del cadavere. Ma Pascal Kintz, uno dei tossicologi che ha partecipato allo studio del 2001 e ha successivamente effettuato nuove analisi, ha respinto queste possibilità. Secondo lui, il veleno in questione è di origine inorganica e dovuto ad avvelenamento. D’altro canto qualcuno ha fatto notare che nell’autopsia non sono stati osservati i segni caratteristici dell’avvelenamento da arsenico.

Il corpo di Napoleone fu esumato nel 1840 per essere trasferito nella tomba di Parigi

Il corpo di Napoleone fu esumato nel 1840 per essere trasferito nella tomba di Parigi

Foto: Fine Art / Album

Un veleno diffuso

Nel 2008 alcuni ricercatori delle università di Pavia e Milano hanno analizzato i campioni della chioma di Napoleone e di altre persone vissute nello stesso periodo, tra cui alcuni suoi parenti. In tutti i casi le concentrazioni di arsenico erano cento volte superiori a quelle attuali. E anche se il tasso era leggermente più elevato nelle ciocche che appartenevano all’imperatore, questo non giustifica affatto i sospetti di omicidio.

I medici e i biochimici che hanno studiato la questione sostengono che i sintomi di Napoleone sono compatibili con un cancro allo stomaco. Anche Robert Genta, professore di patologia presso la University of Texas Southwestern Medical Center, è giunto alla stessa conclusione nel 2007: Bonaparte morì per un’emorragia gastrointestinale causata da un tumore in fase avanzata.

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