La torre di Babele: come si costruiva una ziggurat

La mitica torre di Babele di cui parla il libro della Genesi corrispondeva alla ziggurat di Babilonia, la più famosa della Mesopotamia. Qui gli abili costruttori mesopotamici eressero oltre una dozzina di queste imponenti montagne sacre in terra

La ziggurat è il monumento più celebre della Mesopotamia e quello che meglio caratterizza le civiltà che abitarono questa regione del Vicino Oriente. Tuttavia, soltanto le città mesopotamiche di un certo peso politico, culturale o religioso potevano vantarsi di avere nel loro tessuto urbano queste torri a gradoni.

La costruzione della torre di Babele. Marten van Valckenborch (1535-1612). Towneley Hall Art Gallery and Museum, Burlington

La costruzione della torre di Babele. Marten van Valckenborch (1535-1612). Towneley Hall Art Gallery and Museum, Burlington

Foto: Bridgeman / Aci

I primi studi sull’architettura della Mesopotamia identificarono una trentina di ziggurat nel territorio irrigato dal Tigri e dall’Eufrate. Attualmente sappiamo che questo numero non è corretto, giacché vennero interpretati come torri a gradoni monumenti che in realtà non appartenevano a questa tipologia. In molti casi si trattava di templi costruiti su alte terrazze, un tipo di monumento vicino nel concetto alla ziggurat, ma la cui origine è molto più antica. Nel corso della sua storia, il territorio mesopotamico molto probabilmente ospitò poco più di una dozzina di ziggurat: da quella di Ur, che è la più antica che si conosca (2100 a.C.), a quella di Babilonia, l’ultima a essere costruita (590 a.C.).

La ziggurat rappresentava un monumento con funzioni religiose; aveva una struttura a gradoni, formata da terrazze sovrapposte la cui dimensione diminuiva man mano che aumentava l’altezza. La costruzione era coronata da un tempio, al quale si poteva accedere tramite rampe o scalinate. Sfortunatamente, non si conosce alcuna ziggurat che si sia conservata in modo più o meno completo. Lo stato di conservazione di questi monumenti è molto precario, poiché il vento e l’acqua erodono con grande facilità gli adobe (i mattoni di argilla seccata) utilizzati dai costruttori mesopotamici.

Le vestigia localizzate e alcuni testi antichi ci permettono di ricostruire l’aspetto delle ziggurat. Erano edifici massicci di adobe e mattoni, a pianta quadrata o rettangolare, composti da un numero di terrazze che poteva variare da tre (come nel caso di Ur) a sei (come quella di Babilonia). Sulla cima era collocato il cosiddetto "tempio alto", al quale si accedeva attraverso scalinate monumentali situate generalmente sulla facciata principale, anche se non si può escludere che vi fossero accessi a spirale che si snodavano lungo le diverse terrazze.

Sigillo babilonese con il suo calco, che raffigura una ziggurat a cinque terrazze. XIII secolo a.C. Museo del Vicino Oriente Antico, Berlino

Sigillo babilonese con il suo calco, che raffigura una ziggurat a cinque terrazze. XIII secolo a.C. Museo del Vicino Oriente Antico, Berlino

Foto: Bpk / Scala, Firenze

La leggendaria torre di Babilonia

Torre di Babele, ziggurat di Babilonia o Etemenanki (termine sumero che significa “casa delle fondamenta del cielo e della terra”) sono nomi diversi dello stesso monumento, che per la sua presenza nella Bibbia divenne un simbolo universale. Dal Medioevo ai giorni nostri l’uomo ha tentato di riprodurre – in genere con una buona dose d'immaginazione – l’aspetto di questa costruzione. Il risultato ottenuto è sempre stato lo stesso: torri colossali, che rendono onore al mito biblico. «Venite, costruiamoci una città e una torre la cui cima giunga fino al cielo», si legge nel libro della Genesi. Dietro al mito, però, vi fu una precisa realtà storica.

Ai giorni nostri la ziggurat di Babilonia è un monumento in rovina, distrutto e saccheggiato. Tutto ciò che si conserva al centro dell’antica città mesopotamica, situata novanta chilometri a sud di Baghdad, non è altro che la sua impronta nel terreno. Ciò ha alimentato, sin dalla sua scoperta da parte di archeologi tedeschi nel 1913, il dibattito sull’altezza totale del monumento, sul sistema d’accesso, sul tempio posto sulla sommità, naturalmente, su come fu costruito.

A partire dalla fine del XIX secolo sono state formulate diverse ipotesi di ricostruzione. In gran parte queste proponevano un’altezza di novanta metri, il che rappresenta un’anomalia nella tradizione architettonica mesopotamica. È importante sottolineare che un monumento di tali dimensioni sfida le leggi della statica e la resistenza dei materiali. Pertanto, possiamo concludere che un edificio di quelle dimensioni non esistette mai, poiché non sarebbe stato possibile costruirlo con le tecniche e i materiali (adobe e mattoni) dell’epoca.

I resti della ziggurat di Babilonia. Per la sua forma, gli arabi la chiamarono "la padella"

I resti della ziggurat di Babilonia. Per la sua forma, gli arabi la chiamarono "la padella"

Foto: Georg Gerster / Age Fotostock

Il monumento

Partendo da queste premesse, è possibile ipotizzare una “torre di Babele” alta al massimo sessanta metri. Si sarebbe trattato comunque di una costruzione impressionante, realizzata con circa 400mila tonnellate di terra e più o meno 25 milioni di pezzi di adobe e mattoni. Tali cifre, se vere, renderebbero onore alla grandezza di Babilonia e dei suoi costruttori.

Per realizzare la ziggurat utilizzarono materie prime abbondanti in Mesopotamia: la terra (trasformata in mattoni crudi e cotti), la canna, l’asfalto o bitume e la palma. I mattoni crudi (ossia in adobe) e quelli cotti venivano fabbricati con terra setacciata e paglia triturata mescolate con acqua. Alla pasta così ottenuta si dava forma con semplici stampi di legno, che nel caso della ziggurat di Babilonia avevano un formato quadrangolare, di trentatré per trentatré centimetri. La miscela si lasciava asciugare al sole per ottenere i mattoni in adobe oppure si faceva cuocere in forni per fabbricare i mattoni propriamente detti. I primi erano riservati al nucleo e alla costruzione delle terrazze, mentre i secondi si usavano per rivestire il monumento perché resistevano meglio all’erosione e all’umidità. Si calcola che un operaio poteva produrre dagli ottanta ai centoventi mattoni al giorno.

Con le canne e i tronchi di palma si creava una struttura o armatura vegetale che aveva la funzione di dare maggior coesione al nucleo di adobe. Nella ziggurat di Dur Kurigalzu, a nord di Babilonia, si può riconoscere molto chiaramente la tecnica costruttiva basata sull’alternanza di strati di canne intrecciate e file di mattoni, che contribuiva a una migliore suddivisione dei pesi e delle spinte dell’opera. Nella ziggurat di Uruk si usarono corde con questa stessa funzione.

Modellino della ziggurat di Babilonia di Robert Koldewey, che nel 1913 identificò i resti della ziggurat. Museo del Vicino Oriente Antico, Berlino

Modellino della ziggurat di Babilonia di Robert Koldewey, che nel 1913 identificò i resti della ziggurat. Museo del Vicino Oriente Antico, Berlino

Foto: Bpk / Scala, Firenze

Per finire, si usava bitume caldo per riempire le giunture tra i mattoni e per impermeabilizzare i materiali vegetali utilizzati nel nucleo. Mentre si fabbricavano i mattoni, i babilonesi costruirono le fondamenta della torre di Babele per creare una base stabile e proteggere il monumento dal livello freatico del fiume Eufrate (cioè, dal livello al quale si trovava). Secondo i dati archeologici, la torre aveva una base quadrata di novantun metri di lato.

Un’opera di tale importanza dovette essere oggetto di una rigida amministrazione da parte degli scribi della città. Tuttavia, non si ha menzione alcuna riguardo la sua gestione: salari, numero di operai, contabilità delle spese e altri aspetti amministrativi. A questo proposito possiamo soltanto formulare alcune ipotesi. Ciò che invece sappiamo è che il re controllava direttamente l’esecuzione di questi progetti monumentali, sempre per mandato divino.

In un’iscrizione del monarca babilonese Nabopolassar possiamo leggere: «Marduk, il signore, mi ordinò di porre le fondamenta dell’Etemenanki, la ziggurat di Babilonia che prima del mio governo minacciava di finire in rovina in seno agli inferi, e di far sì che la sua cima rivaleggiasse con il cielo […]. Fabbricai e feci fabbricare mattoni crudi, ordinai di cuocere innumerevoli mattoni, come pioggia dal cielo. Attraverso il fiume Eufrate feci portare una grande quantità di malta e asfalto […]. Dinanzi a Marduk, il mio signore, chinai il capo […] mattoni e fango portai sulla testa […] e a Nabucodonosor, il mio primogenito, il figlio del mio cuore, ordinai di portare fango, vino, olio ed erbe aromatiche assieme alla mia gente».

Ziggurat di Dur Kurigalzu, in Iraq. Sono ben visibili le file di mattoni disposti in trati separati da stuoie di canne

Ziggurat di Dur Kurigalzu, in Iraq. Sono ben visibili le file di mattoni disposti in trati separati da stuoie di canne

Foto: Dea / Age Fotostock

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Duecentomila alberi

L’origine della ziggurat di Babilonia è incerta: la biblica torre di Babele corrisponderebbe alla costruzione promossa dal re Nabucodonosor II verso il 590 a.C. Il monarca partì da una ziggurat arcaica preesistente e il cui volume raggiungeva forse i dieci milioni di mattoni. Si stima che gli architetti del re abbiano avuto necessità di fabbricare altri quindici milioni di mattoni, per la cui cottura sarebbero stati usati 750mila metri cubi di legno, l’equivalente di 200mila alberi.

Secondo un recente studio del Politecnico di Valencia, un gruppo di trecento operai impiegò probabilmente 2650 giorni per fabbricare, cuocere e mettere in posa tutti i materiali della torre babilonese, il che corrisponde a poco più di sette anni di lavoro. Con un maggior numero di lavoratori l’opera sarebbe stata completata in meno tempo, ma vi erano delle limitazioni in tal senso: di certo si potevano impiegare più operai nel processo di fabbricazione dei mattoni, ma non nelle altre fasi della costruzione. Nella ziggurat di Babilonia non potevano lavorare simultaneamente troppi di operai per la mancanza di spazio su ogni terrazza dell’edificio, poiché si sarebbero intralciati a vicenda.

La costruzione del favoloso Etemenanki, come quella di tutte le ziggurat, è un altro esempio della capacità organizzativa, tecnologica ed economica delle civiltà mesopotamiche. Le enormi montagne artificiali costruite con la terra in onore delle sue divinità sono una prova della loro grandezza.

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Per saperne di più

I babilonesi. Michael Jursa. Il Mulino, Bologna, 2007

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