La Torino del XVIII secolo era una città in pieno fermento: dal punto di vista architettonico stava vivendo un'epoca di espansione e ridefinizione degli spazi urbani; da quello culturale, sin dall'inizio del settecento era diventata una tappa obbligata per i viaggiatori che si accingevano al Grand Tour, il viaggio di formazione intrapreso dalla gioventù aristocratica europea influenzata dalla sete di sapere illuminista. Questi viaggiatori si riunivano nei salotti degli intellettuali torinesi e nei locali da caffè, punti di ritrovo dell'intellighenzia locale e internazionale. Qui filosofi e politici, artisti e letterati, scienziati e musicisti s'incontravano per discorrere dei più vari argomenti legati all'arte, alle scienze, alla politica o all'attualità, sempre inclini a recepire le nuove mode e tendenze in ogni campo. Dal canto suo, la cittadinanza stava assumendo un'identità sempre più italiana: un processo che rimase frustrato quando nel 1798 le truppe napoleoniche conquistarono la città e la occuparono per sedici anni.

L'Antico Caffè Carpano. Museo nazionale del Risorgimento italiano di Torino
Foto: Pubblico dominio
Il capostipite dei Carpano
Antonio Benedetto Carpano nacque il 24 novembre del 1751 a Bioglio, vicino a Biella, in seno a una famiglia della borghesia locale. Poco sappiamo in realtà di lui. Appassionato di letteratura tedesca e grande ammiratore di Johann Wolfgang Goethe, concentrò però i suoi studi in campo erboristico e agronomico, aggiornandosi costantemente sulle novità del settore. In gioventù raggiunse Torino e qui cominciò a collaborare con Luigi Marendazzo, gestore della distilleria Bottega Marendazzo, situata in posizione strategica sotto i portici di piazza Castello, nei pressi del palazzo reale.
Forse fu grazie alla sua passione per la cultura germanica che Carpano conobbe il Wermouth, vino in infusione di erbe (fra le quali l'assenzio) amato da Goethe e usato in circostanze private, mai prima d'allora commercializzato. E forse proprio per realizzarne una propria versione prese a sperimentare ponendo in infusione in vino moscato bianco piemontese della zona di Canelli zucchero e più di trenta fra radici, spezie ed erbe, fra le quali l'assenzio, la maggiorana, il timo, il rabarbaro, l'issopo, il cardamomo, la china, la vaniglia e tante altre.
A onor di cronaca, va detto che la prima menzione di un prodotto analogo viene registrata nel 1773 nel testo Oenologia toscana di Giovanni Cosimo Villifranchi, letterato e medico nativo di Volterra vissuto a Firenze nella seconda metà del XVII secolo. In ogni caso, il vermouth di Carpano piacque, registrando grandi consensi sia fra gli uomini sia fra il pubblico femminile. Tale successo lo incoraggiò a farne omaggio al re Vittorio Amedeo III, che lo apprezzò a tal punto da introdurlo nel ménage della famiglia reale. Era il 1786, e col vermouth nasceva anche la moda dell'aperitivo.

Vittorio Amedeo III in un ritratto di Maria Giovanna Clementi
Foto: Pubblico dominio
Il primo aperitivo
Complice l'apprezzamento del re, il vermouth divenne la bevanda dell'aristocrazia e delle classi agiate che s'identificavano con la monarchia sabauda. La Bottega Marendazzo, a due passi dal palazzo reale, divenne il punto di ritrovo del bel mondo e della gente alla moda che amava incontrarsi e che cominciò a prendere l'abitudine di bere qualcosa prima di cena (o di pranzo). Fino a quel momento, infatti, non si usava bere a stomaco vuoto, ma soltanto a tavola. Se da un lato è vero che diversi testi medievali suggerivano l'assunzione di bevande aperitive (dal latino aperitivus, che apre le vie per l'eliminazione, cioè la digestione) per curare l'inappetenza, è anche vero che tale pratica era stata relegata per lungo tempo alle questioni mediche.
Fu il vermouth di Carpano a inaugurare dunque l'usanza di bere prima dei pasti per stimolare l'appetito, godendo di un ambiente alla moda e di una vivace compagnia. Il successo fu tale che il distillatore, ormai socio di Marendazzo, ebbe l'idea di venderlo non più solo sfuso, ma anche in bottiglie da un litro. Il continuo afflusso di avventori portò i due imprenditori a tenere la bottega aperta ventiquattr'ore su ventiquattro.
Non perderti nessun articolo! Iscriviti alla newsletter settimanale di Storica!
Passaggio di testimone
Antonio Benedetto Carpano morì nella sua città natale il 3 febbraio del 1821. A succedergli fu il nipote, Giuseppe Bernardino, che già da un paio d'anni era entrato nella ditta e aveva trasformato la ragione giuridica in “Fabbrica di Liquori e Vermouth Giuseppe Carpano, già ditta Marendazzo e Com.ia, sotto i Portici di Piazza Castello al n° 21”. Con questo atto, Giuseppe Bernardino aveva preso le mosse dalla fabbrica originaria, estromettendo al contempo il nome del Marendazzo da quella che ormai era divenuta la ditta di famiglia.

Due bicchieri di vermouth con la tipica fetta d'arancia
Foto: Pubblico dominio
I decenni successivi sancirono definitivamente il vermouth come bevanda della crème della società piemontese. Dopo gli anni dell'occupazione napoleonica e il Congresso di Vienna erano si era diffuso in tutta la penisola un sentimento patriottico, che anelava a un'Italia unita. I grandi protagonisti di quello che venne poi chiamato Risorgimento erano seguiti con molta attenzione dagli ambienti colti, e il fatto che personaggi del calibro del patriota e politico Massimo D'Azeglio, del ministro Camillo Benso, conte di Cavour, e perfino del re Vittorio Emanuele II apprezzassero il vermouth gli conferì quell'aura patriottica che ne consacrò definitivamente il successo.
Se vuoi ricevere la nostra newsletter settimanale, iscriviti subito!