Contrariamente a ciò che probabilmente farebbe la maggior parte di noi, pare che il pittore Tiziano Vecellio, universalmente conosciuto come Tiziano, fosse solito aumentarsi gli anni, fingendosi quindi più anziano di quanto non fosse. Forse lo faceva per vanità, compiacendosi di chi rimaneva sbalordito del vigore che ancora mostrava nonostante l’età, o forse per intenerire i committenti che tardavano nel pagarlo.
È anche per questa ragione che la sua data di nascita è a tutt’oggi incerta. Lui in una lettera dichiarò indirettamente di essere nato nel 1477, ma oggi questa ipotesi è generalmente scartata per i motivi sopradetti. Secondo alcune ipotesi sarebbe nato tra il 1488 e il 1490, mentre secondo altre più recenti tra il 1480 e il 1485. Di sicuro nacque a Pieve di Cadore, non lontano da Belluno, da Lucia – che morì quando Tiziano era molto piccolo – e da Gregorio Vecellio, un militare appartenente a una delle più note e benestanti famiglie della zona. Secondo una curiosa diceria avrebbe mostrato il suo talento fin da bambino, quando dipinse una Madonna su un muro di casa senza neppure usare i colori, ma con il succo di alcune piante.
Autoritratto di Tiziano Vecellio. 1562 circa
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Comunque sia andata, dovette effettivamente aver manifestato un certo interesse per l’arte, giacché quando aveva circa dieci anni, fu mandato dalla famiglia a Venezia. Nei primi decenni del XVI secolo la città lagunare viveva un periodo di grande floridità economica, vivacità culturale e sperimentazione artistica. Gli artisti della cosiddetta “scuola veneziana” erano famosi per i loro studi sul colore, che ritenevano più importante del disegno nella rappresentazione della realtà. Tramite un parente, Tiziano entrò in contatto con Giovanni Bellini, uno dei più importanti pittori del tempo. Poi, intorno al 1504, conobbe un altro grande esponente della pittura veneta: Giorgio da Castelfranco, detto Giorgione. La collaborazione con quest'ultimo nelle decorazioni del Fondaco dei Tedeschi, oggi quasi del tutto perdute, fu fondamentale per la formazione di Tiziano, che di Giorgione assimilò la sensibilità artistica e l’importanza data al paesaggio – fino allora ritenuto un elemento secondario –, tanto che ancora oggi ci sono dubbi di attribuzione di alcune opere all’uno o all’altro.
Un successo travolgente
A Venezia, Tiziano mise in mostra doti artistiche precoci ed eccezionali. Si racconta che Giorgione disse che secondo lui Vecellio fin da quando era «nel ventre di sua madre era [un] pittore». Dopo un inizio abbastanza lento, quando morirono Giorgione e Bellini, la fama di Tiziano esplose. Uomo dal temperamento dinamico ed estroverso, conscio delle sue abilità, a meno di trent’anni ebbe una bottega tutta sua e le commissioni si moltiplicarono rapidamente spaziando tra ritratti, pale d’altare e immagini profane. Nel corso della sua carriera, durata più di sessant’anni, dipinse oltre cinquecento opere, alle quali la critica ne aggiunge almeno un altro centinaio tra quelle incerte e quelle citate solo nelle fonti perché perdute. Dal 1517 divenne pittore ufficiale della Serenissima. L’incarico gli concesse una cospicua entrata che investì nel commercio di legnami nel paese di origine. Negli anni venti del XVI secolo gli giunsero richieste dalle più importanti corti italiane, come Ferrara, Mantova e Urbino. Un contributo nella pubblicità veniva dallo scrittore Pietro Aretino, suo amico. Il letterato, infatti “sponsorizzò” spesso le opere di Tiziano nelle varie corti.
'Violante'. Tiziano Vecellio. 1515 circa. Kunsthistorisches Museum, Vienna
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Nobili, cortigiani, il papa: tutti volevano possedere almeno una sua opera, celebrandolo come uno degli artisti più famosi d’Europa. Giorgio Vasari, nelle Vite, scrisse che: «non è stato quasi alcun signore di gran nome, né principe, né gran donna che non sia stata ritratta da Tiziano». Raggiunse l’apice del successo quando nel 1533 Carlo V – imperatore del Sacro romano impero germanico – lo volle come suo pittore ufficiale e gli offrì due prestigiosi titoli: Conte Palatino e Cavaliere dello Speron d'oro. Tiziano però non amava allontanarsi troppo da Venezia, per cui solitamente realizzava le opere in bottega e le spediva puntualmente a Carlo V. Solo nel 1548 si decise a raggiungere per un certo periodo il sovrano ad Augusta. Poco tempo dopo a Carlo successe il figlio Filippo II, anch’egli grandissimo estimatore delle opere di Tiziano.
Reclamare i propri diritti
Tiziano fu un grande lavoratore e non si risparmiò nell’accettare le commissioni. Divenne ricchissimo, cosa abbastanza inconsueta per un artista. Ciò dipendeva dal fatto che oltre all’abilità con tavolozza e pennelli, era anche molto accorto dal punto di vista finanziario. Non aveva remore nel sollecitare – anche molto insistentemente – i committenti affinché lo pagassero per i lavori svolti, arrivando a tentare il recupero crediti perfino con l’imperatore. Nel 1541, per esempio, Carlo V gli aveva promesso una pensione di cento scudi annui. Poiché questo denaro non gli giunse, gli scrisse più volte per ricordargli l’impegno. In maniera simile andò con Filippo II. Per ottenere le somme dovute con i suoi dipinti, in qualche lettera cercava di ingolosirlo promettendogli altre opere, in altre cercava di muoverlo a pietà, definendosi povero e vecchio. Una volta addirittura scrisse: «Io non so come trovar modo di vivere in questa mia ultima età». Quando in un’occasione Filippo II lo pagò, Tiziano vide il denaro e subito si mise a scrivergli di nuovo: gli aveva fatto avere ducati e non oro, come richiesto, con l’ammanco di una cospicua somma che non intendeva certo perdere. Vasari l’accusò di avidità e avarizia, ma era semplicemente un artista consapevole del valore del proprio lavoro e del proprio ruolo sociale.
'Ritratto di Carlo V a cavallo'. Tiziano Vecellio. Olio su tela. 1548. Museo del Prado, Madrid
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Nella sua bottega gravitavano moltissimi collaboratori, alcuni appartenenti alla sua famiglia, come il fratello Francesco, che si occupava dei conti, o il figlio Orazio, anch’egli pittore. Tiziano aveva anche un secondo figlio, Pomponio, noto per aver dilapidato una grossa fetta delle ricchezze paterne. La loro madre era Cecilia Soldano, una donna originaria di Feltre. Tiziano e Cecilia convissero a lungo prima di sposarsi nel 1525. Purtroppo le nozze durarono pochi anni, perché la donna morì dando alla luce una bambina di nome Lavinia. Tiziano rimase affranto e per qualche tempo smise di dipingere. Non si risposò mai più e, tranne rari e vaghi accenni, non si trova menzione di nessun’altra donna nella sua vita.
Il maestro del colore
Il cromatismo è la cifra stilistica che maggiormente caratterizza la personalità artistica di Tiziano, che approfondì la ricerca di Bellini e Giorgione sugli effetti della luce e sul colore per rappresentare le forme, unendola con la cura dei dettagli, di derivazione fiamminga. Riuscì a conferire così ai corpi sensualità, morbidezza e realismo. Nel ritratto poi riusciva come pochi – un altro in tal senso fu Raffaello – a cogliere con estrema facilità il carattere e le emozioni dei suoi soggetti. E anche se gli capitava di rappresentare lo stesso personaggio più volte, ognuno era certamente diverso dal precedente. Per esempio intorno al 1545 ritrasse l’amico Pietro Aretino, immortalandone il carattere irruente, l’intelligenza e la fierezza. Tiziano sperimentò per tutta la sua vita: nelle opere tarde le pennellate divennero pastose, nervose e dense, quasi una fusione tra colore e supporto. Nelle ultime arrivò addirittura ad abbandonare i pennelli, stendendo il colore con le dita. I volumi divennero meno solidi, come per sottolineare la fragilità umana. Nel 1576 in città imperversava la peste e Tiziano aveva circa novant'anni. Decise quindi di dipingere una Pietà per la propria tomba nella basilica dei Frari a Venezia, dove però non fu mai collocato a seguito di alcune incomprensioni con i monaci. È la sua ultima opera conosciuta e massima espressione dell’ultima fase della sua pittura: i colori appaiono cupi, le pennellate sono date con rapidità e tensione, conferendo ai personaggi e all’atmosfera una connotazione angosciosa. Non fece in tempo a finirla: la morte lo colse il 27 agosto, preceduto dal figlio Orazio, scomparso poco prima a causa delle peste.
Per saperne di più:
Tiziano, Augusto Gentili, 2016, Giunti, Bologna
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