Tintoretto in un autoritratto del 1548 circa, all'età di trent'anni
Foto: Victoria and Albert Museum
Jacopo Robusti nacque nel 1518 nella casa di un tintore veneziano che lavorava la seta, un bene di lusso molto richiesto. Come figlio maggiore di una prole numerosa gli sarebbe toccato occuparsi dell'impresa di famiglia, ma così non fu. Pur non avendolo intrapreso, il lavoro del padre gli rimase come soprannome, secondo un'usanza diffusa tra i pittori dell'epoca: Tintoretto, il giovane tintore.
Secondo un aneddoto di gioventù riportato dallo scrittore Carlo Ridolfi, da piccolo Jacopo usava le tinte di suo padre per dipingere le pareti: l'uomo aveva dunque fatto ricorso alle sue conoscenze per farlo accettare come apprendista dal grande Tiziano. Apprendistato che non durò a lungo, perché secondo Ridolfi all'esperto pittore bastò guardare i disegni del ragazzo per rendersi conto del suo talento: rifiutò dunque d'insegnargli per paura di allevare un pericoloso rivale.
All'ingresso della bottega di Tintoretto un cartello annunciava, con una certa magniloquenza: «Il tratto di Michelangelo e il colore di Tiziano»
Questo è più o meno tutto quanto si sa sull'infanzia di Tintoretto, anche se si può immaginare che abbia trovato un altro maestro più disposto ad accettarlo e che molto presto abbia avuto successo: lo si può dedurre da un documento del 1539 – il pittore aveva circa vent'anni – nel quale veniva definito «maestro pittore di Campo san Cassiano», un titolo che spettava solo a chi fosse a capo di una bottega propria. All'ingresso del locale un cartello annunciava, con una certa magniloquenza: «Il tratto di Michelangelo e il colore di Tiziano».
È possibile che avesse studiato o che per lo meno fosse entrato in contatto con i pittori della scuola toscana, il cui stile emerge in modo piuttosto evidente all'inizio della sua carriera. Le occasioni non dovettero mancargli, dato che dopo il sacco di Roma del 1527 da parte delle truppe imperiali di Carlo V molti artisti, specie toscani e bolognesi, emigrarono nella prospera Venezia, trasformandola in un luogo d'incontro tra le grandi correnti del tardo Rinascimento.
Casa di Tintoretto nella Fondamenta dei Mori, sestiere di Cannaregio, Venezia
Foto: © Didier Descouens - Opera propria, CC BY-SA 4.0, shorturl.at/bcpwE
Nuove correnti nella laguna
Quando Tintoretto cominciò a ricevere commissioni lo stile in voga era il Manierismo, che anticipava alcuni dei tratti del Barocco: si caratterizzava per una drammaticità esasperata, con un forte uso del chiaroscuro e figure umane in pose forzate. Questo stile era perfettamente coerente con il tipo di opere da lui realizzate, principalmente a tema religioso e talora storico, come una tela di grandi dimensioni, andata perduta in un incendio, che rappresentava la battaglia di Lepanto. A volte mescolava entrambe le tematiche rappresentando episodi chiave della storia della città, come il furto e il trasferimento del corpo di san Marco da Alessandria a Venezia.
Anche se erano i lavori minori, e in particolare i ritratti, a sostenere economicamente la sua bottega, l'obiettivo di Tintoretto fu sempre quello di ottenere grandi commissioni, più per i benefici pratici che ne derivavano che per la retribuzione in sé. La sua più grande ambizione era diventare artista ufficiale di una delle sei Scuole Grandi di Venezia. Si trattava di confraternite laiche che patrocinavano le arti e i mestieri; oltre al grande prestigio, offrivano ai propri membri notevoli vantaggi, come assistenza in caso di malattia, doti per le figlie ‒ Tintoretto ne aveva cinque ‒ e un tetto per le vedove dei confratelli.
La più grande ambizione di Tintoretto era diventare artista ufficiale di una delle Scuole Grandi di Venezia, che patrocinavano le arti e i mestieri e offrivano notevoli vantaggi ai propri membri
Dal 1549 l'artista lavorò per le due Scuole più importanti della città, la Scuola Grande di san Rocco e quella di san Marco. All'interno della prima dovette competere con Tiziano, che non era disposto a permettere che quel giovane promettente prendesse il suo posto. Ma il vecchio pittore, che aveva trascorso molti anni lontano dalla città, non era più in sintonia con lo stile manieristico che regnava nella laguna e non poté evitare che una nuova generazione di artisti come Tintoretto o Paolo Veronese s'imponesse.
Dal 1566 Tintoretto ricevette incarichi anche dal governo veneziano per la decorazione del Palazzo Ducale, sede del potere della repubblica. Fu la sua occasione per lavorare a opere di grande formato: la suddetta tela della battaglia di Lepanto e un'altra, pure perduta, che aveva per tema il Giudizio universale e che, secondo Ridolfi, era tanto impressionate da «causare terrore al solo vederla». Fu l'inizio di una lunga e fruttuosa collaborazione che durò fino al 1592, due anni prima della morte del pittore, ormai vicino ai settant'anni.
Tomba di Tintoretto nella chiesa di Madonna dell'Orto a Canareggio
Foto: CC Didier Descouens
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Un uomo di fede
A parte i ritratti, la maggior parte della produzione di Tintoretto comprendeva pitture a tema sacro. Non solo ce n'era una grande domanda, ma lui stesso era un uomo molto religioso, specialmente da quando una grande epidemia di peste aveva colpito Venezia tra il 1575 e il 1576. In quell'occasione il pittore si era raccomandato a san Rocco, uno dei patroni della città e protettore degli appestati, perché tenesse la sua famiglia al riparo dalla malattia, e così era avvenuto. Come ringraziamento dipinse gratuitamente un quadro per la Scuola Grande di san Rocco, per la quale aveva già lavorato. Per ironia della sorte fu proprio questa epidemia a uccidere Tiziano, il maestro che lo aveva rifiutato.
Non fu l'unica volta che Tintoretto lavorò gratis: per procurarsi nuovi clienti realizzava spesso dei lavoretti semplici facendosi pagare soltanto il prezzo dei materiali. Anche questa scelta era una prova del suo successo, perché artisti meno popolari di lui non potevano permettersi un lusso del genere e al massimo delegavano le opere minori agli apprendisti. La sua bottega poteva concederselo occasionalmente grazie ai ritratti che, se pure non compaiono tra le sue opere più famose, costituivano una delle maggiori fonti di guadagno per ogni artista dell'epoca, ed erano fondamentali per ampliare la rete dei contatti: Tintoretto conobbe così personaggi di spicco come il doge Girolamo Priuli, capo di stato della repubblica di Venezia, la famosa cortigiana Veronica Franco e perfino il re di Francia Enrico III.
Nel lavoro ritrattistico era aiutato da due dei suoi figli: la primogenita Marietta, figlia illegittima, e il suo erede Domenico, avuto dalla moglie. Dei tre figli e delle cinque figlie che ebbe Tintoretto, Marietta era la più talentuosa, e malgrado non l'avesse mai riconosciuta fu il suo più grande sostegno: fin da piccola lo aiutò a bottega ed ebbe anche una fugace e promettente carriera ‒ arrivò a essere nominata pittrice di corte del re Filippo II di Spagna e dell'imperatore Massimiliano II del Sacro Romano Impero ‒, ma morì nel 1590, a poco più di trent'anni. Quattro anni dopo il padre la seguì nella tomba e Domenico ereditò la bottega, pur non potendone mantenere il successo. Domenico fu anche la principale fonte d'informazioni dalla quale attinse Carlo Ridolfi per scrivere la biografia del pittore, che non aveva conosciuto di persona.
Il grande artista morì il 31 maggio 1594, dopo due settimane di febbre. Secondo quanto riferito da uno dei suoi clienti, per sua espressa volontà testamentaria il suo corpo rimase steso a terra per quaranta ore, poiché a quanto pare sperava di poter risuscitare. Il suo cliente scrisse: «il Tentoretto Dominica se ne morì et d'ordine di suo testamento è stato tenuto 40 hore sopra terra, mà no' è ressussitato».
Queste sono alcune delle opere più significative rimasteci del grande pittore: