A lungo i fossili hanno suscitato tanta curiosità quanto stupore. Cosa pensare, infatti, di conchiglie marine ritrovate sulla cima di una montagna? O di enormi ossa rinvenute sotto terra? Oggi sappiamo che i fossili sono i resti o i calchi naturali di organismi che vissero milioni di anni fa e che, dopo un processo di interramento o infiltrazione, si sono conservati nei sedimenti geologici. Tuttavia, in mancanza delle conoscenze della paleontologia moderna, in passato si elaborarono le teorie più disparate per spiegare la natura e l’origine di questi esseri “pietrificati”.
Nel 1982 sul monte San Giorgio, nelle Alpi svizzere, venne scoperto il fossile di questo piccolo rettile che visse durante il periodo Triassico, più di duecento milioni di anni fa. Istituto di Paleontologia, Zurigo
I riferimenti più antichi si trovano negli scritti di autori greci e romani. Generalmente si tratta di accenni alla presenza di conchiglie e di altri organismi marini sulla terraferma – in alcuni casi di loro impronte o di calchi, in altri della loro presenza pietrificati o conservati all’interno della roccia –, però non mancano i riferimenti alle ossa fossili, il più delle volte di grandi dimensioni. Aristotele propose una spiegazione che ebbe grande successo. Secondo la sua teoria, i fossili si erano formati grazie all’azione di un fluido terrestre che pietrificava tutto quello con cui entrava in contatto, oppure di qualche vis plastica, una forza plasmatrice sconosciuta.
La tesi aristotelica si mantenne per tutto il Medioevo. Si credeva che certi tipi di fossili avessero avuto origine dai resti di animali acquatici trasformati in pietra a causa delle esalazioni vaporose di una “forza mineralizzante”. Altri autori medievali sostenevano invece che i vegetali fossili potessero essere il prodotto dell’influenza degli astri. Contemporaneamente si diffuse anche un’interpretazione basata sulla Bibbia secondo la quale le conchiglie marine, trovate sulle cime delle montagne, si erano depositate lì dopo il ritiro delle acque del Diluvio universale. Nel Rinascimento cominciò a crescere l’interesse per gli oggetti singolari e curiosi, tra i quali i fossili. Negli edifici religiosi e civili come chiese, monasteri e comuni, venivano esposte ossa fossili di grandi dimensioni, a volte attribuite a giganti oppure a draghi. Gli eruditi, inoltre, li raccoglievano per le camere delle meraviglie, precorritrici dei moderni musei. Nelle camere e nei musei esistevano addirittura istruzioni su come raccogliere e collocare in ordine le collezioni di elementi pietrificati, minerali, animali impagliati, mostruosità... In un libro pubblicato nel 1551 il naturalista tedesco Johann Conrad Gessner realizzò una serie di illustrazioni di fossili, tra i quali rientravano non solo i resti di piante e animali, ma anche quelli di asce di selce, minerali, cristalli e addirittura oggetti archeologici come braccialetti e anelli.
Dalla Bibbia alla scienza
Gli studiosi continuavano a spiegare l’origine dei fossili a partire dalla tradizione greco-romana e a credere che fossero il risultato di movimenti tumultuosi dovuti a esalazioni terrestri, come i terremoti. Si speculò anche su una loro possibile origine dai germi o dai semi che, provenienti dai vapori umidi esalati dal mare, venivano poi sparsi attraverso le piogge e si depositavano a terra formando i fossili. Altri consideravano i fossili come “scherzi della natura”, che riproducevano casualmente forme somiglianti a conchiglie o ad altri esseri viventi.
Tuttavia dalla fine del XVII e per tutto il XVIII secolo a prevalere fu senza dubbio l’interpretazione derivata dalla Bibbia. Numerosi eruditi cercarono di dimostrare che le irregolarità della crosta terrestre e la presenza di fossili marini lontani dal mare e sulla cima delle montagne – tanto di molluschi quanto di mammiferi giganti – fossero conseguenza del Diluvio universale descritto nella Genesi. All’inizio del XVIII secolo il medico svizzero J. J. Scheuchzer presentò un insieme di fossili come i resti di una vittima umana del Diluvio, anche se in realtà appartenevano a un anfibio fossile.
«Il nostro immortale naturalista ha ricostruito interi mondi con qualche osso sbianchito» scrisse Balzac su Cuvier, rappresentato in questa pittura a olio di T. Chartran. La Sorbonne, Parigi. 1886-89
La teoria del Diluvio si basava sul presupposto che Dio avesse creato tutte le specie animali in un periodo di sei giorni e che queste fossero rimaste immutate nel corso del tempo (sebbene si potesse supporre che si fossero salvate grazie all’arca di Noè). Tuttavia questa teoria presentava il problema che numerosi fossili, tanto di molluschi quanto di mammiferi giganti, non potevano essere messi in relazione con specie viventi. Finalmente, durante l’Illuminismo, alcuni scienziati iniziarono a pensare che i fossili corrispondessero a specie estinte. A confermare quest’ipotesi contribuí in modo decisivo la scoperta dello scheletro di un animale preistorico rinvenuto vicino a Buenos Aires e inviato a Madrid nel 1788. Una volta ricostruito, si scoprì che si trattava di una specie di bradipo gigante completamente sconosciuta, che venne chiamata Megatherium americanum. Cuvier, un erudito francese, condusse uno studio anatomico del megaterio e di altri fossili simili comparandoli con specie viventi di elefanti e nel 1796 pubblicò le Mémoires sur les espèces d’éléphants vivants et fossiles. Cuvier sosteneva che nel tempo si erano succeduti grandi cataclismi geologici che avevano sterminato la fauna vivente e che i fossili erano tutto ciò che ne rimaneva. La sua filosofia “catastrofista” era ancora distante dalla teoria dell’evoluzione che sarebbe stata poi sviluppata da Darwin, ma certamente lo studioso francese pose le basi della paleontologia, lo studio scientifico dei fossili.