Circa sessanta chilometri a sud di Aleppo, in Siria, si trova una collina, o meglio un tell, come viene chiamata un’altura di detriti: Tell Mardikh. Il sito rimase a lungo ignorato dagli archeologi, finché alla fine degli anni cinquanta alcuni contadini non vi scoprirono per caso un monumentale e quasi intatto bacino di basalto scolpito. La Direzione delle antichità siriane accordò allora la concessione di scavo a Sabatino Moscati, professore all’università La Sapienza di Roma, cui va il merito di aver promosso l’archeologia orientale in Italia. Moscati inviò sul posto il giovane ricercatore Paolo Matthiae (oggi tra gli esperti di Storica National Geographic), che avrebbe compiuto una delle più importanti scoperte archeologiche del secolo.
Il sito di Ebla, l’odierna Tell Mardikh, nella Siria settentrionale. Tra il 2500 e il 1600 a.C. fu una delle più potenti città-stato della Siria
Foto: Georg Gerster / Age Fotostock
Nel primo decennio di scavi, tra il 1964 e il 1973, riaffiorarono i monumenti del periodo paleosiriano (2000-1600 a.C. circa), tra cui una porta urbica che si apriva nelle mura di difesa della città, diversi templi, case private e vari palazzi. Tell Mardikh si qualificava così come un importante centro economico e religioso e la stessa Siria, prima considerata un mero luogo di passaggio tra le due principali civiltà dell’antico Oriente, quelle dell’Egitto faraonico e della Mesopotamia, appariva ora come una grande potenza, a queste ultime accostabile.
Una svolta nelle indagini archeologiche si ebbe nel 1968, con la scoperta di un busto acefalo basaltico recante un’iscrizione cuneiforme in accadico, decifrata dall’epigrafista Giovanni Pettinato.
La città dimenticata
Tale iscrizione, dedicata a «Ibbit Lim, figlio di Igrish-Hepa, re della stirpe eblaita», permise l’identificazione di Tell Mardikh con l’antica Ebla, città la cui esistenza era nota fin dalla fine del XIX secolo. In quegli anni infatti Ernest de Sarzec, console di Francia a Bassora, aveva rinvenuto a Tello (la città sumera di Lagash, nell’odierno Iraq) un’iscrizione nella quale Ebla veniva citata come luogo di provenienza del legname pregiato impiegato per erigere l’Eninnu, il tempio del dio poliade di Lagash, Ningirsu. Tuttavia, parte della comunità scientifica nutriva ancora qualche dubbio sull’effettiva presenza di una grande cultura urbana nella Siria del III millennio a.C.
Negli anni cinquanta la scoperta di un bacino basaltico a due vasche da parte di alcuni contadini destò l’interesse degli studiosi per Tell Mardikh
Foto: Erich Lessing / Album
A fugare ogni perplessità al riguardo sopraggiunse nel 1975 un nuovo sensazionale ritrovamento compiuto dalla missione degli archeologi dell’università di Roma.
La grande scoperta
Tra le stanze del cosiddetto palazzo Reale G, risalente al 2400-2300 a.C. circa, Paolo Matthiae e la sua squadra riportarono alla luce quarantadue tavolette di argilla incise con caratteri cuneiformi. Utilizzando i segni cuneiformi della lingua sumerica, infatti, gli scribi di Ebla scrivevano in una lingua loro propria (oggi chiamata eblaita). Le ricerche successive avrebbero inoltre rivelato che quelle quarantadue tavolette costituivano in realtà solo una parte di uno dei più grandi archivi mai ritrovati nel Vicino Oriente.
Nel giro di due anni gli studiosi videro riaffiorare una biblioteca composta da oltre 20mila tavolette ben conservate, che attestavano senza ombra di dubbio lo sviluppo culturale dell’antica città. La gran parte delle tavolette di Ebla è di contenuto economico o amministrativo, ma vi sono anche numerose lettere, testi di trattati commerciali, resoconti di campagne militari e vocabolari bilingui, oltre a scritti di carattere rituale e mitologico.
Tra le migliaia di tavolette ritrovate a Ebla, circa una ventina includevano lessici bilingui sumero-eblaiti, simili ai moderni vocabolari
Foto: AKG Album
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L’archivio dei re
Lo studio della documentazione archeologica ed epigrafica ha rivelato la realtà di un grande centro urbano che, nella prima fase di sviluppo, tra il 2500 e il 2300 a.C. era stato in contatto con grandi città del Sumer come Kish e Ur, da un lato, e con l’Egitto dei faraoni, dall’altro. Testimonianze monumentali, reperti artistici, evidenze materiali scandiscono, lungo un millennio, l’itinerario storico di un antichissimo centro urbano, tre volte distrutto e due volte risorto, tra circa il 2500 a.C. e gli anni attorno al 1600 a.C.
La scoperta di tali eccezionali reperti ha rimesso in discussione la vecchia concezione del mondo orientale antico, ponendo le città della Siria sullo stesso piano dei grandi centri della Mesopotamia e dell’Egitto.
Gli archeologi ritrovarono le tavolette ammassate le une sulle altre su ripiani lignei bruciati, probabilmente in seguito all’incendio della città da parte dell’esercito accadico, guidato dal grande Sargon di Akkad, il fondatore della dinastia, che conquistò Ebla intorno al 2300 a.C. Ciò nonostante, i ricercatori sono riusciti a ricostruire in dettaglio l’originario sistema di archiviazione. Le tavolette erano disposte sugli scaffali in posizione frontale, con la loro faccia posteriore, cioè il verso, rivolta verso l’osservatore, poiché lì si trovava una sorta di colophon, che permetteva di identificarne i testi. Del resto, gli scribi si rendevano conto del contenuto di alcune tavolette già osservandone la forma: su quelle rotonde erano registrate le entrate, mentre su quelle quadrate le uscite.
Alcune tavolette enumeravano luoghi della Siria e della Mesopotamia settentrionale che intessevano relazioni commerciali con Ebla o le versavano tributi
Foto: AKG / Album
Da allora, lo studio delle migliaia di tavolette eblaite ha illuminato molti aspetti della storia del Vicino Oriente, rivelando l’esistenza di una civiltà ricca e tecnicamente sviluppata già verso la metà del III millennio a.C.
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Per saperne di più
Ebla, un impero ritrovato. Paolo Matthiae, Einaudi, Torino, 1995.