Lo splendore delle ville romane

Tra il III e il IV secolo d.C. una minoranza opulenta costruì residenze sfarzose nei possedimenti agricoli dell’Impero

Generalmente si considerano gli ultimi duecento anni dell’Impero romano come un’epoca di crisi e di decadenza. Eppure, durante questo periodo (che gli storici chiamano Basso Impero) l’aristocrazia romana raggiunse livelli di lusso e di benessere spettacolari, come risulta evidente dalle sue favolose residenze rurali: le villae o ville. Alcune di queste, trasformate in piccoli palazzi privati, ci forniscono un quadro di sorprendente eleganza e raffinatezza.

Questo mosaico di una villa romana a Cartagine (Tunisia) illustra diversi aspetti della vita rurale

Questo mosaico di una villa romana a Cartagine (Tunisia) illustra diversi aspetti della vita rurale

Foto: Scala, Firenze

Questo tipo di costruzione rurale si era moltiplicato fin dai tempi di Augusto, il primo imperatore: se in città i magnati possedevano domus lussuose o abitazioni urbane, inizialmente le ville non erano altro che le loro residenze di campagna. Le due dimore rappresentavano le facce di uno stile di vita ispirato tanto al negotium (ovvero agli affari pubblici e privati che gravavano sull’economia della famiglia) quanto all’otium, il tempo libero, che si trascorreva lontano dal disordine cittadino e dalle sue responsabilità politiche e amministrative. Le ville erano il luogo ideale per ritirarsi da tutto ciò e dedicarsi alla vita privata e intellettuale.

Giorni di riposo

Plinio il Giovane, uno scrittore che visse un secolo dopo Augusto, esaltava in questo modo la sua villa Laurentina sul litorale romano: «Non vi ascolto nulla che mi penta di aver ascoltato, nessuno in mia presenza denigra niente con discorsi malevoli e, quando non riesco a scrivere bene, non rimprovero nessuno se non me stesso. Nessuna aspettativa, nessun timore mi angoscia e niente mi turba; parlo solo con me stesso e con i miei libri. O vita retta e sincera! O tempo libero dolce e nobile e più bello quasi di qualsiasi attività!».

Tuttavia quest’immagine bucolica della campagna non deve farci dimenticare che la terra e le ville erano un simbolo del rango sociale e, soprattutto, la base della ricchezza delle élite imperiali. Non a caso le ville erano distribuite in due settori chiaramente separati: la pars urbana, in cui risiedeva il proprietario, e la pars rustica o fructuaria, riservata invece alle attività agricole e destinata agli alloggi di contadini, schiavi e braccianti.

Il settore del signore

La pars urbana era costruita intorno a due cortili all’aria aperta: un vestibolo nella zona d’ingresso dava il benvenuto alla dimora, e un grande giardino porticato, o peristilio, era generalmente posto all’interno. Il resto delle stanze era distribuito intorno a questi due ambienti: esisteva una sala da pranzo invernale, o triclinio, situata di fronte al vestibolo, e una sala da pranzo estiva in direzione del peristilio. Queste sale da pranzo, riccamente decorate, svolgevano un importante ruolo sociale, dal momento che era proprio al loro interno che venivano celebrate le feste – generalmente cene – alle quali il dominus, o signore, invitava personaggi del suo rango, e nelle quali ostentava la sua ricchezza attraverso il cibo, sempre più esotico, e i regali che dispensava ai suoi ospiti. Di fronte all’ingresso si apriva anche un’altra stanza: il tablinum, uno studio in cui il padrone di casa riceveva visite. Intorno al peristilio si trovavano le camere da letto, o cubicula, sontuosamente decorate.

Nel 1900 si riportò alla luce a Boscoreale, nei pressi di Pompei, la villa di Publio Fannio Sinistore, costruita nel I secolo a.C. Nell'immagine vediamo uno dei cubicula questa casa decorato con magnifici affreschi

Nel 1900 si riportò alla luce a Boscoreale, nei pressi di Pompei, la villa di Publio Fannio Sinistore, costruita nel I secolo a.C. Nell'immagine vediamo uno dei cubicula questa casa decorato con magnifici affreschi

Foto: UIG / Album

 

 

Un elemento fondamentale della pars urbana che rimaneva nascosto agli ospiti era la zona della cucina, in cui la servitù preparava ogni sorta di pietanza e nei pressi della quale si trovava la dispensa. Generalmente vicino alla cucina si trovavano anche le latrine, che utilizzavano le stesse acque di scarico. Nel corso del I e del II secolo nelle ville si introdussero i bagni privati (balnea), che riproducevano su scala ridotta le terme delle città. Dato che la costruzione e la manutenzione di un bagno privato implicava una grande spesa (per il combustibile, la fornitura dell’acqua, il gabinetto), la sua esistenza confermava che la villa, in cui un tempo i proprietari trascorrevano solo brevi periodi, era diventata la loro residenza abituale. A partire dal III secolo i bagni assunsero sempre più rilevanza: poco a poco diventarono veri e propri recinti monumentali decorati in modo straordinariamente lussuoso. I fregi più in voga erano spesso mosaici sui muri e sul pavimento, mentre sculture di marmo o fontane ornamentali venivano distribuite in ogni angolo; ciò dimostra che la loro funzione non era solo termale, ma voleva anche mettere in evidenza la ricchezza e l’opulenza dei proprietari della villa.

Tuttavia i bagni non furono l’unica cosa a subire delle trasformazioni. A partire dal III secolo, e soprattutto nel corso del IV e del V secolo, la pars urbana di tutte le residenze assunse le sembianze di un vero e proprio palazzo. I grandi proprietari costruirono splendidi triclini ed enormi sale decorate con mosaici incantevoli e ricevevano i loro ospiti immersi in una scenografia che enfatizzava il loro potere sociale ed economico. Questo è il caso della straordinaria villa del Casale, in Sicilia, o della villa di La Olmeda, nella provincia spagnola di Palencia. La trasformazione delle ville coincise con la profonda polarizzazione in atto all’interno della società romana. I proprietari terrieri iniziano a essere chiamati honestiores o potentiores, termini che indicavano che la loro capacità politica e giuridica era diventata di gran lunga superiore a quella della plebe, formata dai cosiddetti humiliores.

L’enorme ricchezza di questi potentati andava di pari passo con il controllo di vaste proprietà, i cosiddetti latifondi – che si differenziavano dal modello precedente, fatto di piccole e medie proprietà. Il poeta bordolese Ausonio, per esempio, ereditò verso la fine del IV secolo un terreno in Gallia di oltre 350 ettari; lo descrisse come una «minuscola eredità», il che dà l’idea dell’entità dei suoi possedimenti. La ricchissima Melania la Giovane, che morì nel 439 come devota cristiana, e il suo non meno abbiente marito Piniano, entrambi discendenti da gloriose famiglie senatoriali, possedevano terreni in Spagna, Gallia, Italia, Sicilia, nord Africa... Nel 410 i due arrivarono a Tagaste, nell’attuale Algeria, in fuga dai visigoti che avevano saccheggiato Roma, e donarono alla chiesa della città un immenso terreno, più grande dell’intera superficie municipale. Soltanto vicino a Roma possedevano 62 villaggi, ciascuno dei quali aveva circa 400 schiavi. Queste proprietà gli garantivano entrate esorbitanti: nella sua Vita di Melania il vescovo Geronzio spiega che lei e suo marito «inviarono 45mila libbre d’oro per il servizio dei poveri e dei santi».

A Noheda, una cittadina della provincia spagnola di Cuenca, venne scoperta una villa romana con una fastosa decorazione a mosaico

A Noheda, una cittadina della provincia spagnola di Cuenca, venne scoperta una villa romana con una fastosa decorazione a mosaico

Foto: ASF / Album

La vita dei poveri

La trasformazione delle ville a partire dal III secolo rispecchiava la crisi delle città in tutto l’Impero e la ruralizzazione delle sue élite. Le classi medie urbane erano schiacciate da una pressione fiscale sempre maggiore da parte di uno stato le cui frontiere erano minacciate dai barbari. Messe di fronte alla crescente instabilità economica e sociale, optarono per mettersi sotto la protezione delle nobiltà regionali e locali. Altrettanto fecero i piccoli proprietari e i coloni (gli inquilini dei terreni), che cercarono il sostegno di questi magnati. La vita degli abitanti del Basso Impero all’interno di questi latifondi aveva poco a che vedere con i diritti e le garanzie di cui godeva un cittadino romano del I e del II secolo. Adesso il dominus o signore disponeva di un potere eccezionale sui membri della villa. E non solo perché era il signore delle terre e l’autorità più vicina ai loro abitanti. In realtà, lo stato aveva delegato a questi grandi proprietari parte della sua capacità giuridica: sia gli schiavi che gli uomini liberi (braccianti o coloni) rendevano conto al signore di tutti i loro doveri e dei loro obblighi. Il risultato fu che la situazione degli uomini liberi peggiorò e sfociò in nuove forme di dipendenza: alcuni testi addirittura chiamavano i coloni servi terrae, ovvero «schiavi della terra».

Ecco perché nelle ville del Basso Impero un lusso architettonico travolgente e un consumo elevatissimo di prodotti esotici come vino, profumi o spezie orientali (o le ostriche che si servivano nelle ville dell’Europa centrale) convivevano con l’estrema povertà di persone per le quali il confine tra libertà e schiavitù si assottigliava di giorno in giorno.

Le prove di questo cambiamento delle condizioni sociali di coloro che erano sottoposti al potere del dominus risultano evidenti nelle piccole necropoli rurali che raffigurano personaggi anonimi malnutriti, affetti da numerose patologie causate dalla ripetizione di mansioni pesanti, e nelle quali addirittura compaiono cadaveri incatenati e sepolti o semplicemente gettati in discariche al pari dei rifiuti domestici. Le persone povere e umili subivano forme di schiavitù sempre più opprimenti mentre i loro signori si dedicavano ai piaceri della caccia, del cibo e della filosofia.

Nella località siciliana di Piazza Armerina si trova una delle più spettacolari residenze rurali del Basso Impero: la villa del Casale, costruita tra il I e il III secolo d.C.

Nella località siciliana di Piazza Armerina si trova una delle più spettacolari residenze rurali del Basso Impero: la villa del Casale, costruita tra il I e il III secolo d.C.

Illustrazione: Francesco Corni. Colore: Santi Pérez

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