All’inizio del XIX secolo si sapeva ancora molto poco della Valle dei Re, la grande necropoli che i faraoni del Nuovo regno egizio avevano costruito nelle vicinanze della capitale, Tebe. All’epoca erano visibili solamente le entrate di 16 tombe. La situazione cambiò radicalmente con l’arrivo in Egitto del celebre esploratore Giovanni Battista Belzoni. Nel 1816 il console generale britannico Henry Salt lo assunse al suo servizio nella speranza che gli procurasse nuovi pezzi per la sua collezione di antichità egizie. Belzoni esaminò la zona di Luxor e poi raggiunse Abu Simbel risalendo il Nilo, mentre raccoglieva un gran numero di sculture e papiri. Ma fu al ritorno a Luxor che fece le grandi scoperte che gli avrebbero assicurato un posto di rilievo nella storia dell’archeologia. Belzoni incentrò il suo interesse sulla Valle dei Re. Aveva letto gli storici Diodoro Siculo e Strabone, secondo i quali nella zona c’erano più di quaranta tombe reali, cioè molte di più di quelle trovate fino ad allora, ed era convinto che si potevano raggiungere grandi risultati. L’esploratore studiò attentamente la topografia della valle e in particolare il comportamento del deflusso di acqua piovana sul terreno, in quanto poteva rivelare delle aperture nascoste. Nel giro di pochi mesi trovò otto tombe, anche se solo tre di esse appartenevano a faraoni: quelle di Ay (il successore di Tutankhamon), di Ramses I e di Seti I. La più grande scoperta di Belzoni fu senza dubbio quest’ultima.
Parte superiore della camera funeraria di Seti I. Sul pilastro è ritratto il dio Iunmutef con una pelle di leopardo
Foto: Araldo De Luca
La sepoltura del faraone
Il 10 ottobre 1817 gli uomini di Belzoni trovarono la tomba di Ramses I, la KV16. Si trattava di un sepolcro di dimensioni ridotte, lungo appena 29 metri, le cui decorazioni murali erano state gravemente danneggiate da infiltrazioni e allagamenti, ma al cui interno furono rinvenuti un sarcofago e alcuni frammenti del corredo funebre. Belzoni osservò che a pochi metri dall’ingresso del sepolcro c’era un piccolo avvallamento in cui l’acqua piovana penetrava con facilità. Il 17 ottobre ordinò di procedere allo scavo del sito. Prima della fine della giornata fu rinvenuto un blocco di pietra che sembrava indicare la presenza di una tomba. Il giorno seguente gli operai riuscirono a raggiungere l’entrata dell’ipogeo, situata a quasi sei metri di profondità e ostruita dai detriti. Dopo diverse ore di lavoro apparve una splendida decorazione che prefigurava la magnificenza della tomba. Belzoni definì quello uno dei giorni più fortunati della sua vita: «Possono figurarsi la gioia, ond’io fui preso penetrando per il primo fra tutti [...] in un monumento ch’era stato perduto per gli uomini, e che da me veniva allora ritrovato così ben conservato, che si sarebbe potuto credere venisse finito poco prima della nostra entrata». Per quanto non lo sapesse ancora, aveva appena scoperto la tomba di Seti I, la prima nella Valle dei Re a essere decorata integralmente, dal corridoio iniziale fino alla camera sepolcrale.
L’esploratore avanzò una cinquantina di metri all’interno dell’ipogeo, fino a raggiungere un pozzo profondo che gli impedì di proseguire. Al di là del pozzo vi era una parete sulla quale era stato praticato un foro e da cui pendeva una corda, lasciata probabilmente dai ladri migliaia di anni prima. Dopo aver acquistato assi di legno e funi, il giorno successivo Belzoni fece ritorno alla tomba in compagnia del segretario di Salt, William Beechey. Superato il pozzo e attraversata la breccia sul muro, i due arrivarono a una stanza con quattro pilastri e riccamente adornata di dipinti parietali. Sulla sinistra c’era una grande scala che portava a un corridoio, oltre il quale la tomba sembrava proseguire: «Di mano in mano che ci inoltravamo riconoscemmo che tali pitture diventavano più perfette». Alla fine raggiunsero la camera sepolcrale, dove poterono ammirare il magnifico soffitto astronomico (una rappresentazione del firmamento). La sala era circondata da varie stanze laterali, in alcune delle quali c’erano statue di legno con un foro circolare sul dorso, «certamente per riporvi papiri», anche se questi erano scomparsi ormai da secoli. Nella camera funeraria li attendeva il famoso sarcofago in calcite del faraone: «L’Europa non ricevette mai dall’Egitto un pezzo antico della stessa magnificenza», scriveva entusiasta Belzoni. Il sarcofago era vuoto e privo del coperchio, di cui Belzoni non ritrovò che pochi frammenti. Era ricoperto di geroglifici e disegni ed era talmente sottile che «ponendo il lume dietro una parete di esso appariva trasparente». Al di sotto del sarcofago c’era una scala che dalla camera sepolcrale conduceva a un lungo e misterioso corridoio sotterraneo. Gli uomini ne percorsero un centinaio di metri, ma il rischio di possibili frane li fece desistere dall’impresa prima che riuscissero a capire dove portasse.
La tomba di Seti I, nota come la Cappella Sistina d'Egitto, è un monumento unico nel suo genere
Illustrazione: White Star
Lo studio della tomba di Seti I
Un anno dopo la scoperta di Belzoni una grave inondazione danneggiò la tomba, ormai priva della protezione dei detriti che in precedenza ne ostruivano l’entrata. Per risolvere il problema, nel 1825 James Burton portò a termine la costruzione dei muretti che era stata iniziata dallo stesso Belzoni. Tra il 1828 e il 1829 la spedizione franco-toscana di Champollion e Rosellini copiò i testi e le immagini dalla tomba, e tra il 1902 e il 1903 Howard Carter eseguì al suo interno dei lavori di consolidamento, imitato da Barsanti dieci anni più tardi. Negli anni venti Harry Burton fotografò l’intera decorazione dell’ipogeo, e le sue immagini hanno in seguito costituito la base del lavoro di Erik Hornung, che nel 1991 ne ha trascritto tutti i testi funebri.
Dal 1978 il Theban Mapping Project sta portando avanti una sistematica attività di mappatura nella Valle dei Re; la topografia della tomba di Seti I è stata eseguita con grande precisione nel 1979 e poi ripetuta tra il 1996 e il 2000. Da parte sua, l’American Research Center in Egitto ha effettuato dei lavori di conservazione e restauro che hanno permesso di riportare alla luce i vivaci colori originali dei bassorilievi dipinti. L’ultimo intervento archeologico sulla tomba è stato realizzato dal famoso egittologo Zahi Hawass tra il 2007 e il 2010, ed è servito a esplorare tutti i 174 metri del tunnel che partono dalla camera sepolcrale di Seti I per interrompersi poi bruscamente.
Mummia di Seti I. Fu scoperta nel 1881 nel nascondiglio di Deir el-Bahari, in buone condizioni. Oggi è conservata al Museo egizio del Cairo
Foto: Araldo De Luca
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