Schiavi di Sparta: sottomissione e ribellioni

I cittadini di Sparta potevano dedicarsi interamente alla guerra poiché i loro schiavi, gli iloti, ai quali riservavano un trattamento crudele, li liberavano da qualsiasi preoccupazione materiale

Nelle civiltà antiche la schiavitù era considerata una condizione normale, addirittura naturale («lo schiavo è un oggetto di proprietà animato», diceva Aristotele nella Politica). Non faceva eccezione Sparta, tanto che Crizia, uno dei Trenta tiranni di Atene, alla fine del V secolo a.C. disse che in nessun altro luogo gli uomini liberi erano più liberi e gli schiavi più schiavi. Per spiegare questa affermazione dobbiamo risalire al X secolo a.C., quando la stirpe greca dei dori invase il Peloponneso e occupò le fertili terre della valle dell’Eurota – la regione della Laconia – e ridusse in schiavitù tutti i suoi abitanti. I dori strapparono loro le terre e li costrinsero a lavorarle per i nuovi padroni. A questi schiavi venne dato il nome di iloti, parola di origine incerta che deriva forse dal termine “catturare”, vista la loro condizione di prigionieri di guerra.

Ricostruzione immaginaria del centro monumentale della città di Sparta. Acquerello di Joseph M. Gandy (XIX secolo)

Ricostruzione immaginaria del centro monumentale della città di Sparta. Acquerello di Joseph M. Gandy (XIX secolo)

Foto: Bridgeman / Aci

In seguito, nell’VIII secolo a.C. gli spartani, forse a causa del sovrappopolamento, si lanciarono alla conquista della vicina regione della Messenia. Al termine di una guerra lunga e sanguinosa ne presero il controllo e resero schiavi i suoi abitanti. I messeni schiavizzati divennero dunque iloti; nel V secolo a.C. lo storico Tucidide scriveva che la maggior parte degli iloti era costituita «dai discendenti degli antichi messeni ridotti in schiavitù».

Come gli altri iloti, i messeni continuarono a lavorare le loro terre pagando un oneroso tributo ai nuovi padroni. Ecco come dà loro voce il poeta Tirteo, spartano d’adozione: «Come asini da pesanti some gravati, ai padroni, pel triste bisogno, d’ogni frutto, di quanto la terra produce, metà portiamo». Il particolare stile di vita dei cittadini di Sparta, dediti alla guerra, fu reso possibile solo da questa infinità di schiavi che lavorava la terra per il loro sostentamento. Gli schiavi dovevano anche essere sottoposti a stretta sorveglianza per evitare insurrezioni. Si creò così quella Sparta che gli autori dell’antichità paragonano a un accampamento militare perenne.

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Una vita di sottomissione

Gli iloti appartenevano allo stato e non potevano essere venduti al di fuori di Sparta né liberati dai cittadini privati. Avevano la testa rasata (in stridente contrasto con le lunghe chiome che sfoggiavano gli spartani adulti), vestivano con un rozzo indumento di cuoio e si coprivano il capo con un berretto di pelle di cane (kynê), che era il loro elemento distintivo. Se si toglievano questi indumenti venivano puniti con la morte, e i loro padroni multati. Indubbiamente, poter distinguere con facilità gli iloti grazie al loro aspetto esteriore rendeva più semplice tenerli sotto controllo.

Un uomo ara con due buoi. Terracotta beotica. Gli iloti vivevano nei campi e dovevano consegnare parte del raccolto. VI secolo a.C., Louvre

Un uomo ara con due buoi. Terracotta beotica. Gli iloti vivevano nei campi e dovevano consegnare parte del raccolto. VI secolo a.C., Louvre

Foto: E. Lessing / Album

Gli iloti vivevano soprattutto nei campi, dove formavano delle comunità e potevano fare vita familiare. Erano legati a un lotto di terra che dovevano coltivare per offrire una parte del raccolto al padrone; il resto della produzione rimaneva nelle loro mani. Il padrone era obbligato a prestare i propri schiavi ad altri concittadini che ne avessero necessità, come si faceva con i cani e con i cavalli. Alcuni iloti, soprattutto le donne, venivano impiegati per il servizio domestico personale. Il concubinato con uomini spartani doveva essere piuttosto diffuso, giacché esisteva una categoria sociale chiamata móthakes, vale a dire “figliastri”.

Da schiavi a soldati

Gli iloti seguivano il padrone nelle campagne militari: sappiamo che ogni oplita spartano era accompagnato da un ilota per il suo servizio esclusivo. Inizialmente gli iloti furono usati solo per il trasporto dei bagagli e delle armi pesanti del padrone, ma ben presto venne loro permesso di combattere come truppe con armamento leggero. Con il tempo il loro ruolo si fece più importante, poiché il numero di spartani puri iniziò a diminuire; sappiamo che il generale spartano Brasida portò con sé settecento iloti per combattere contro gli ateniesi nel nord dell’Egeo in piena guerra del Peloponneso, e all’inizio del IV secolo a.C. tremila iloti presero parte alla campagna del re Agesilao contro i persiani.

Questa politica d'inserire gli iloti nell’esercito era un modo per allontanare dalla città un gran numero di schiavi che potevano essere pericolosi in caso di rivolta. Per questo motivo venivano destinati a guerre che si combattevano molto lontano da Sparta: il nord dell’Egeo, l’Asia Minore e la Sicilia. Gli iloti che dimostravano una buona disposizione alla battaglia potevano ottenere l’agognata libertà, come accadde a quelli che seguirono Brasida. Nel 425 a.C. venne offerta la libertà agli iloti che avessero avuto il coraggio di portare i viveri ai soldati spartani circondati dagli ateniesi sull’isola di Sfacteria.

Guerriero spartano, forse Leonida. V secolo a.C. Museo di Sparta

Guerriero spartano, forse Leonida. V secolo a.C. Museo di Sparta

Foto: Dea / Album

La crescente importanza militare degli iloti portò alla creazione, alla fine del V secolo a.C., di una categoria sociale nota come neodamodeis, “nuovi membri del demos” (il popolo), formata da iloti liberati e addestrati come opliti, che furono impiegati come truppe d’assalto in diverse campagne militari nel periodo fra il 421 e il 371 a.C.; nonostante il loro nome, però, non godevano dei pieni diritti come i cittadini veri e propri, gli spartiati.

Una repressione crudele

Se è impossibile conoscere l’esatta proporzione fra cittadini e schiavi nell’antica Sparta, possiamo invece essere certi che il numero di iloti cresceva mentre quello degli spartiati diminuiva costantemente a causa delle continue guerre e di una severa politica in fatto di diritto di cittadinanza, che prevedeva persino l’abbandono di bambini nati con difetti fisici.

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Di fronte a questa situazione, lo stato dovette prendere delle misure atte a controllare gli iloti. In primo luogo, gli efori (i cinque magistrati che detenevano il potere supremo), al momento di entrare in carica all’inizio dell’anno, dichiaravano ufficialmente guerra agli iloti affinché ucciderli non fosse un sacrilegio; nel pensiero della Grecia classica, infatti, qualunque crimine ingiustificato provocava una macchia religiosa che ricadeva su tutta la città.

Illustrazione del XX secolo che ritrae uno spartano intento a frustare i suoi schiavi mentre spingono un aratro

Illustrazione del XX secolo che ritrae uno spartano intento a frustare i suoi schiavi mentre spingono un aratro

Foto: Bridgeman / Aci

Il principale strumento di repressione, tuttavia, fu la krypteia. Questo termine è legato al verbo “nascondere”, e ciò spiega in che cosa consistesse la prova: nascondersi nelle campagne per tendere agguati agli iloti. Lo storico Plutarco la descrive in dettaglio: «Coloro che hanno autorità sui giovani di tanto in tanto inviano i più accorti tra loro in piena campagna, in una strada a caso; questi hanno con sé un pugnale, il necessario per mangiare e nient’altro. Finché è giorno, essi si disperdono nei luoghi più nascosti, senza fare nulla, ma non appena scende la notte raggiungono le strade percorse dagli iloti; se ne sorprendono uno, lo sgozzano. O ancora, intrufolandosi nei campi, ammazzano i più robusti e valenti».

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Inizialmente, la krypteia fu una prova di coraggio e addestramento alla vita militare per la gioventù spartana, ma ben presto divenne un modo per incutere terrore e ridurre il rischio di ribellioni degli iloti: queste ronde nei campi permettevano di controllare gli schiavi, stroncare sul nascere la resistenza organizzata e prevenire il banditismo.

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Ribellioni e liberazione

Secondo quanto racconta lo storico Senofonte, che mise la propria spada al servizio di Sparta, gli iloti passavano la vita attendendo che qualche avversità colpisse i padroni e guardandoli con il desiderio di «mangiarseli vivi». La paura di rivolte degli iloti condizionava pesantemente lo stile di vita e la politica di Sparta, poiché i cittadini, temendo che gli schiavi insorgessero in loro assenza, furono costretti a rinunciare alle lunghe campagne militari in luoghi lontani, limitando quindi la loro influenza politica e militare alla zona del Peloponneso.

Tempio di Hera a Selinunte. Gli iloti vennero mandati a combattere in Sicilia e in altri luoghi lontani perché non rivolgessero le armi contro i padroni

Tempio di Hera a Selinunte. Gli iloti vennero mandati a combattere in Sicilia e in altri luoghi lontani perché non rivolgessero le armi contro i padroni

Foto: Manuel Cohen / Art Archive

La ribellione più grande ebbe luogo nel 464 a.C., quando un terremoto colpì duramente la città di Sparta. Lo si attribuì a una punizione da parte di Poseidone, dopo che gli spartani avevano ucciso alcuni iloti che si erano rifugiati nel tempio a lui dedicato sul capo Tenaro. Il violento sisma uccise 20mila cittadini, e solo cinque case rimasero in piedi.

I sopravvissuti stavano raccogliendo i propri averi tra le macerie quando il re Archidamo II ordinò di dare il segnale di battaglia e tutti gli uomini accorsero al suo cospetto, armati. Fu la salvezza di Sparta, poiché gli iloti giungevano a frotte in città dalle campagne, pronti a finire gli spartani che si erano salvati dal sisma; trovandoli in assetto di battaglia, si ritirarono. Gli iloti messeni, però, approfittarono del terremoto e presero le armi. Molti si rifugiarono sul monte Itome, una fortezza naturale al centro della Messenia, dove resistettero addirittura per dieci anni, fino a quando un accordo con gli spartani non permise loro di lasciare il Paese insieme con le loro famiglie.

La liberazione definitiva degli iloti arrivò molto tempo dopo, nel 371 a.C., quando le truppe di Tebe guidate dal generale Epaminonda inflissero una dura sconfitta agli spartani nella battaglia di Leuttra. I tebani invasero Sparta e gli iloti messeni approfittarono della loro presenza per ribellarsi nuovamente. Epaminonda consegnò agli schiavi la loro antica patria liberata e rifondò la città di Messene, alle falde del monte Itome.

Odeon e assemblea di Messene, la città fondata da Epaminonda per gli iloti messeni ribelli

Odeon e assemblea di Messene, la città fondata da Epaminonda per gli iloti messeni ribelli

Foto: Alamy / Aci

Diverso fu il comportamento degli iloti della Laconia. Molti accettarono l’offerta di arruolarsi nell’esercito spartano per combattere gli invasori (mille, secondo lo storico Diodoro; seimila, secondo Senofonte). La sottomissione di questi schiavi era così grande che, quando alcuni iloti furono catturati dai tebani, esortati a cantare canzoni e poemi che i padroni avevano vietato loro di intonare, rifiutarono di farlo. Durante il periodo di decadenza di Sparta gli iloti ebbero maggiori possibilità di ottenere la libertà. Sappiamo per esempio che tra il 223 e il 222 a.C. seimila iloti riuscirono a pagare le cinque mine attiche che per la loro liberazione esigeva il re di Sparta Cleomene III; il denaro proveniva dalle eccedenze del raccolto che, secondo le leggi antiche, gli iloti potevano conservare.

Nabide, che regnò tra il 207 e il 192 a.C., concesse la libertà e la cittadinanza a un buon numero di iloti allo scopo di ingrossare le fila del suo esercito. Quando, a distanza di breve tempo, iniziò la dominazione romana sulla Grecia, questo peculiare sistema schiavista, in cui una classe di servi legata alla terra lavorava per mantenere una classe privilegiata dedita alle armi, finì per scomparire.

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Per saperne di più

Sparta. Ernst Baltrusch. Il Mulino, Bologna, 2002
Vite parallele (Licurgo e Numa). Plutarco. Rizzoli, Milano, 2012
Le storie. Tucidide. Utet, Torino, 2005

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