Poeta, traduttore, professore, premio Nobel: non è semplice racchiudere in una sola definizione le tante anime di Salvatore Quasimodo. A 120 anni dalla nascita, l’autore – tra i principali esponenti dell’Ermetismo – rimane tra gli intellettuali più rappresentativi del XX secolo, sebbene non sempre compreso e apprezzato per via della propria complessità. Oltre ai manuali di letteratura, parlano di lui le testimonianze di critici e uomini di cultura incontrati nel corso della propria vita, animata dalla passione per le liriche antiche e l’intento di definire un nuovo ruolo della poesia. In un’epoca di cambiamenti e incertezze si rivolge all’uomo “del suo tempo”, che troppo spesso dimentica e raramente partecipa alla ricostruzione del presente per evitare gli errori passati. La sensibilità d’animo che lo contraddistingue lo porta spesso a rifugiarsi in sé stesso e nei luoghi più cari, dalla sua Sicilia - terra natia - ai navigli di Milano, che negli scritti e nella vita ricorrono come metafora interiore.

Salvatore Quasimodo, vincitore del Premio Nobel per la letteratura nel 1959
Foto: World History Archive / Cordon Press
“Tra fili spezzati e macerie”
Salvatore Quasimodo nasce a Modica il 20 agosto 1901. E’ il primo anno del nuovo secolo, caratterizzato dall’entusiasmo delle avanguardie artistico-letterarie e dall’ottimismo di una modernità figlia del progresso tecnologico, ancora lontana dal dramma dei conflitti mondiali che sarebbero scoppiati di lì a poco. Il padre Gaetano è capostazione e per lavoro è costretto a trasferirsi con la famiglia in diverse città dell’isola. Gela, Palermo, Sferro, Agrigento, Acquaviva, Platani, Licata. L’infanzia di Totò (così lo chiamavano i fratelli) è scandita dal «grigio scalo dei treni lenti» pendolare di una vita in movimento.
Pochi giorni dopo il disastroso terremoto che colpisce Messina il 28 dicembre 1908, il padre di Salvatore viene trasferito sullo Stretto per partecipare ai lavori di ripristino della rete ferroviaria. La scarsità di alloggi in sicurezza e lo shock per il disastro convincono la famiglia a scegliere come dimora improvvisata un vagone di treno, collocato lungo un binario morto. Salvatore ha solo sette anni e in questa città cresce, «tra fili spezzati e macerie». Nel 1919 si diploma all’istituto tecnico e si trasferisce a Roma, dove s’iscrive alla facoltà di Agraria senza però completare il percorso di laurea. In parallelo studia greco e latino mantenendosi con lavori distanti dalle proprie passioni letterarie, come disegnatore tecnico, commesso o impiegato. Negli stessi anni pubblica le prime poesie su alcune riviste letterarie locali.

Duomo di San Giorgio a Modica, la città natale di Salvatore Quasimodo. Esempio del barocco siciliano, fu ricostruita in base a un disegno di Rosario Gagliardi nel XVIII secolo, dopo il terremoto che la danneggiò nel 1693
Foto: Peter Thompson / Heritage Images
Il doppio binario
Fin dalla gioventù la vita di Quasimodo è percorsa da questo doppio binario: da un lato l’amore per i classici greci e le liriche, dall’altro la necessità di sbarcare il lunario, allontanandosi dalla propria inclinazione letteraria, almeno nella prima parte della propria vita. Si trasferisce a Reggio Calabria nel 1926 dove è nominato geometra straordinario del genio civile, poi si sposta a Imperia, Milano e Sondrio. Si dimette nel 1938 e inizia a lavorare come segretario di Cesare Zavattini, all’epoca direttore dei periodici Mondadori. Le collaborazioni su riviste e pubblicazioni letterarie si moltiplicano: a Firenze scrive per Solaria e Letteratura, pubblicazione ufficiale dell’Ermetismo, cui il poeta consacra le prime raccolte di versi.
L’attività letteraria e la passione per i lirici greci – che traduce in un’antologia – aprono la strada all’insegnamento: nel 1941 Quasimodo ottiene la cattedra di letteratura italiana presso il Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano, dove insegna fino al 1968. Questo dualismo irrequieto si riflette nella sfera privata, caratterizzata dalla difficoltà di vivere l’amore in modo stabile e sereno. Durante il soggiorno a Roma convive con Bice Donetti, che sposa nel 1926. Lei morirà vent’anni più tardi, ma per il poeta non sarà l’unica relazione: il lavoro di geometra lo costringe a ripetuti trasferimenti, spesso allietati da incontri extraconiugali. A Imperia conosce Amelia Spezialetti, che nel 1935 darà alla luce la figlia Orietta. L’anno successivo inizia a frequentare la danzatrice Maria Clementina Cumani, da cui nel 1939 ha un figlio, Alessandro. La sposa nel 1948, due anni dopo la morte della prima moglie Bice, cui dedicherà il celebre Epitaffio.
Con gli occhi alla pioggia e agli elfi della notte,
è là, nel campo quindici a Musocco,
la donna emiliana da me amata
nel tempo triste della giovinezza.
Da poco fu giocata dalla morte
mentre guardava quieta il vento dell’autunno
scrollare i rami dei platani e le foglie
dalla grigia casa di periferia.
Il suo volto è ancora vivo di sorpresa,
come fu certo nell’infanzia, fulminato
per il mangiatore di fuoco alto sul carro.
O tu che passi, spinto da altri morti,
davanti alla fossa undici sessanta,
fermati un minuto a salutare
quella che non si dolse mai dell’uomo
che qui rimane, odiato, coi suoi versi,
uno come tanti, operaio di sogni.
- Epitaffio, Salvatore Quasimodo

Salvatore Quasimodo balla con l'attrice Gina Lollobrigida a Roma, nel 1968
Foto: Keystone Archives / Heritage Image / Cordon Press
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“Come un fico d’India”
In un’intervista pubblicata sul periodico Libero Pensiero, Alessandro Quasimodo paragona il padre a un fico d’india: «Se qualcuno incautamente lo avvicinava gli restavano le spine nelle mani, ma se riusciva a entrare dentro al frutto era dolce». L’immagine incarna la natura del poeta di Modica, primo esponente dell’Ermetismo, movimento letterario caratterizzato inizialmente da una presa di distanza dalla società e dall’impegno civile, a favore dell’interiorità . Questo atteggiamento traspare dalla fase più intensa dell’opera di Salvatore Quasimodo, in raccolte come Acque e terre (1930), Oboe sommerso (1932), Ed è subito sera (1942), dove il senso d’inadeguatezza alla civiltà contemporanea si traduce in una fuga tra i ricordi dell’infanzia, nei luoghi della sua Sicilia.
Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera.
Ed è subito sera, Salvatore Quasimodo
Lo scoppio della Seconda guerra mondiale cambia radicalmente l’approccio degli autori ermetici: gli orrori del conflitto richiamano gli intellettuali al proprio ruolo di ricostruttori della società. Proprio Quasimodo afferma che «La nascita di un poeta è sempre un atto di disordine», concetto ribadito nelle raccolte successive a Giorno dopo giorno (1947), che l’hanno consacrato al premio Nobel per la letteratura nel 1959. Non è più tempo per il silenzio: Quasimodo ora si rivolge all’uomo del proprio tempo, che è «ancora quello della pietra e della fionda», denuncia la lotta fratricida che si ripete senza sosta da tempo immemore e lancia un appello alle nuove generazioni. A loro il compito di superare dolore e violenza, “dimenticare”, per porre le basi di una nuova società, consapevole, in grado di non ripetere gli stessi errori.

I poeti Ezra Pound e Salvatore Quasimodo immortalati a Milano il 21 marzo 1961
Foto: TopFoto / Cordon Press
Un Nobel discusso
La notizia del Nobel a Salvatore Quasimodo coglie molti di sorpresa, ma non l’autore. Le prime voci circolano sulla stampa nazionale già qualche settimana prima del fatidico 22 ottobre 1959 data di assegnazione del premio. «Questo riconoscimento – afferma in un’intervista – mi dà una fiducia nelle sorti della civiltà, del mondo contemporaneo. E’ un premio che va al di là del valore letterario». Come si legge nella motivazione espressa dall'Accademia svedese, «la sua poesia lirica esprime con fuoco classico l’esperienza tragica nella vita dei nostri tempi». Con Grazia Deledda, Luigi Pirandello e Giosuè Carducci, Quasimodo è il quarto autore italiano ad aggiudicarsi il riconoscimento internazionale.
Tuttavia in Italia il giudizio non viene accolto con favore dagli intellettuali contemporanei. Le critiche avanzate all’opera del poeta siciliano e al suo linguaggio “ermetico” – termine utilizzato in senso dispregiativo – segnano profondamente il periodo successivo al riconoscimento internazionale e conducono Quasimodo ad un’ulteriore amara diffidenza e chiusura verso il mondo. La sua figura scivola così sull’orlo dell’oblio letterario, cui seguirà una rivalutazione solo negli ultimi anni del secolo. Il poeta di Modica si spegne il 14 giugno1968, colpito da un ictus mentre si trova in costiera amalfitana, dove si è recato per presiedere la giuria di un premio letterario. Muore a Napoli, a metà strada tra la sua Sicilia e la Milano che l’ha accolto, dove ancora insegnava lettere; se ne va in punta di piedi, come «quel ragazzo che fuggì di notte con un mantello corto e alcuni versi in tasca».
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