All’epoca degli imperatori Giulio-Claudii Roma era una città immensa, con oltre un milione di abitanti, che assorbiva la produzione di tutte le regioni dell’impero. Ogni anno giungevano nell’Urbe migliaia di tonnellate di grano, olio e vino per il consumo quotidiano dei residenti, tessuti e metalli per le manifatture, animali esotici per gli spettacoli circensi… Tutto ciò comportava un lavoro di approvvigionamento enorme, da svolgere via terra e, soprattutto, via mare. Compito ancora più arduo dato che, per gestire questo commercio, la città disponeva solo di un porto fluviale alla foce del Tevere, nei pressi dell’antica colonia di Ostia; un porto di piccole dimensioni che, a causa della strettezza e della scarsa profondità del fiume, non poteva accogliere navi di grande pescaggio. Questo obbligava a trasferire la merce su piccole navi ausiliarie in alto mare, operazione che causava spesso naufragi. Le navi scaricavano poi a Ostia o risalivano i trentacinque chilometri che separavano Roma dalla costa. L’alternativa era sbarcare a Puteoli (odierna Pozzuoli) e continuare il trasporto via terra, per 250 chilometri.
L’ormeggio di una nave presso il molo del porto di Claudio nel rilievo Torlonia, ritrovato nel 1863. 200 d.C. circa. Museo Torlonia, Roma
Foto: Bridgeman
La situazione cambiò nel 42 d.C. quando l’imperatore Claudio fece costruire, a quasi quattro chilometri a nord della colonia, due moli semicircolari in cui poterono attraccare per la prima volta le grandi navi mercantili; un grande faro aiutava anche l’orientamento dei piloti. Il porto di Claudio, inaugurato poi durante il regno di Nerone e chiamato Portus Augusti Ostiensis, non bastò però per mettere fine ai naufragi. Nel 62 d.C. una tempesta affondò duecento imbarcazioni cariche di grano all’interno del porto. Per tali limiti, nel 113, in età traianea, fu inaugurato un secondo bacino, di forma esagonale, più distante dalla costa, unito al precedente e al Tevere dalla fossa Traianea, l’attuale canale di Fiumicino.
Il nuovo porto costruito da Claudio non mise fine ai naufragi: nel 62 d.C. una tempesta fece affondare duecento navi
La costruzione dei due porti provocò una trasformazione radicale dell’antica colonia. La popolazione aumentò rapidamente e la sua conformazione urbana si adattò alle necessità legate alle funzioni portuali. Ostia divenne una città chiassosa, abitata da una massa di lavoratori impiegati nel porto, nell’edilizia o dediti alla vendita e alla lavorazione dei prodotti che arrivavano da oltremare. Per dar loro ospitalità, le antiche case unifamiliari a un solo piano, di tradizione repubblicana, furono sostituite da centri residenziali di mattoni che raggiungevano anche cinque piani di altezza (insulae), dove la gente umile poteva prendere in affitto abitazioni minuscole. Oggi si possono osservare, conservati in ottimo stato dopo quasi due millenni, i primi piani delle insulae ostiensi e le oltre ottocento tabernae o botteghe identificate finora, disposte regolarmente lungo le vie principali. Si tratta, senza dubbio, di uno dei paesaggi urbani più spettacolari del mondo romano.
Le corporazioni di operai
A Ostia lavorava un gran numero di artigiani che si riunivano in corporazioni incaricate di difendere gli interessi dei loro appartenenti davanti ai funzionari pubblici. Alcune erano molto numerose; per esempio, quella dei carpentieri alla fine del II secolo d.C. contava oltre 350 membri. C’erano anche fabbricanti e venditori di stoppa e di corde e armatori di navi (fabri navales). Ogni gruppo svolgeva la sua attività in un’area propria, in cui si trovavano impianti industriali, magazzini, uffici e punti di vendita, così come abitazioni, mense comuni e anche altari dove rendere culto alle proprie divinità protettrici. Indipendentemente dai luoghi di lavoro, le associazioni professionali avevano sedi, denominate scholae, presso le quali si svolgevano banchetti e riunioni periodiche.
Di questa insula è conservato il piano inferiore, in cui si trovavano alcuni negozi e da cui partivano le scale d’accesso ai tre o quattro piani superiori
Foto: Manuel Cohen / Art Archive
Nel II secolo d.C., durante il governo degli imperatori Adriano, Antonino Pio e Commodo, nell’area settentrionale della città sorsero depositi giganteschi per immagazzinare il grano e il resto della merce destinata a essere trasportata nell’Urbe. Chiamati in latino horrea, consistevano in un insieme di stretti magazzini a pianta rettangolare, disposti intorno a un cortile porticato. Erano forniti di robuste pareti di pietra rafforzate con contrafforti e pavimenti eretti su pilastri di mattone, che garantivano la conservazione dei prodotti immagazzinati.
L’intenso traffico di navi e merci provenienti da tutto il Mediterraneo faceva confluire a Ostia un gran numero di operai che venivano impiegati nel porto. Si contavano centinaia di stivatori – chiamati saccarii con riferimento al loro lavoro di carico e scarico di sacchi nel porto – così come banditori per la vendita all’ingrosso o sommozzatori professionisti chiamati urinatores (“nuotatori sott’acqua”) esperti nelle attività di dragaggio dei fondali e nel recupero di carichi caduti durante le operazioni di trasporto delle merci o sommersi nel corso di un naufragio.
Il porto disponeva anche di funzionari. Alcuni, della classe equestre, erano incaricati di contrattare l’importazione delle merci con i mercanti e i proprietari di navi (navicularii). C’era un responsabile dell’approvvigionamento del grano, chiamato procurator annonae, nel cui ufficio lavoravano diversi segretari incaricati di registrare le merci e i pagamenti effettuati su tavole incerate (da qui il loro nome, tabularii). Altri funzionari erano incaricati dell’approvvigionamento di olio (procuratores ad oleum) e dell’importazione di animali per i giochi dell’anfiteatro, come elefanti e cammelli (chiamati rispettivamente procuratores ad elephantos e praepositi camellorum). I mensores avevano il compito di controllare il peso e la qualità dei prodotti. Un reparto di vigili del fuoco, i vigiles, svolgeva al contempo il ruolo di polizia urbana.
Negli horrea o magazzini di Ostia si calcola che fosse conservato grano in quantità sufficiente per nutrire 15.000 persone per un intero anno
Foto: Angelo Giampiccolo / Fototeca 9X12
I bassifondi di Ostia
Come in tutti i porti, anche a Ostia c’erano molti stranieri e cittadini di passaggio in attesa di una nave su cui salpare o di un carro che li portasse nella vicina Roma. Erano alloggiati in pensioni o cauponae e frequentavano osterie chiamate popinae, dove si riuniva la gente della peggior specie della città, come descrive Giovenale nella sua Satira VIII: «Mandalo ad Ostia, ad Ostia, Cesare; ma il tuo legato cercalo in saloni d’osterie: lo troverai sdraiato con qualche sicario, in mezzo a marinai, ladri e schiavi fuggiaschi, fra carnefici, becchini e tamburi abbandonati di qualche Gallo con la pancia all’aria». Si pensa che in questi locali ci fossero anche prostitute, poiché in città non è stato individuato alcun edificio identificabile come bordello.
Ostia metteva a disposizione taverne, osterie e pensioni ai numerosi stranieri di passaggio in città
Nei momenti di svago gli abitanti di Ostia potevano godere degli spettacoli tenuti nel teatro che Agrippa, genero di Augusto, aveva ordinato di costruire alla fine del I secolo a.C. e che l’imperatore Commodo fece ricostruire e ampliare fino a conferirgli una capienza di 4000 spettatori. È probabile che in esso si svolgessero anche lotte di gladiatori e battute di caccia, oltre a mimi e pantomime.
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Piaceri e devozione
Alla fine del II secolo d.C. Ostia disponeva di tre stabilimenti termali. Il più antico, costruito da Traiano, era nei pressi di porta Marina; le terme di Nettuno, di epoca adrianea, erano situate nel quartiere orientale; il complesso termale più recente e lussuoso, voluto dal prefetto del pretorio di Antonino Pio, fu eretto nel centro, nei pressi del Foro. Da segnalare anche il gran numero di templi che si ergevano in città, consacrati tanto alle divinità tradizionali romane quanto a dei stranieri. Nel Foro, la piazza principale di Ostia, Adriano ordinò di erigere il capitolium, un imponente tempio di venti metri di altezza dove si venerava la Triade Capitolina, formata da Giove, Giunone e Minerva.
Due fanciulli trascinano su un carro una barca, forse per i preparativi di una cerimonia religiosa. Museo della civiltà romana, Roma
Foto: De Agostini / Scala
Ma dalla fine del III secolo Ostia si avviò verso un declino inarrestabile. Mentre l’attività portuaria si concentrava nella vicina città di Portus (odierna Fiumicino), il braccio del Tevere che passava per Ostia s'insabbiò e divenne impraticabile. In poco tempo la popolazione diminuì e le attività cessarono. Nel Medioevo Ostia fu abbandonata e nel Rinascimento le sue rovine furono saccheggiate alla ricerca di materiali da costruzione. Solo alla fine del XVIII secolo gli archeologi riscoprirono questa città dimenticata, i cui edifici e le cui strade evocano, come quelli di Pompei, la vita quotidiana degli antichi romani.
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Per saperne di più
La vita quotidiana a Ostia. Carlo Pavolini. Laterza, Bari, 2018
Vita romana. Ugo Enrico Paoli. Mondadori, Milano, 2017
Le strutture dei porti e degli approdi antichi. Rita Turchetti. Rubbettino Editore, Soveria Mannelli, 2005