Repubblica, Assemblea costituente, voto alle donne: le tante ricorrenze del 2 giugno

Il 2 giugno 1946 per la prima volta tutti gli italiani, uomini e donne, vennero chiamati alle urne per decidere quale forma di stato – monarchia o repubblica – dare al Paese. Oggi in quella data si celebra la Festa della Repubblica italiana

Sono passati settantacinque anni esatti dal giorno in cui le donne italiane poterono recarsi alle urne per la prima volta: «senza rossetto», si raccomandava, per evitare che le votanti, umettando la scheda con le labbra per chiuderla, rendessero nullo il proprio voto. Il 2 giugno 1946 fu una data storica per l'Italia, per più di un motivo: fu il giorno del referendum in cui il popolo italiano venne chiamato a decidere tra monarchia e repubblica, quello delle elezioni per l'Assemblea costituente, quello delle prime elezioni libere dopo un ventennio di dittatura fascista e delle prime elezioni politiche a suffragio universale maschile e femminile. Come ci si arrivò?

Le premesse al voto

Il percorso di emancipazione del Paese e delle sue cittadine andò di pari passo. Gli anni precedenti al voto, che avevano portato alla dittatura fascista e alla Seconda guerra mondiale, avevano messo a dura prova il popolo italiano e le sue istituzioni, ma avevano anche fornito le premesse necessarie per un cambiamento radicale nella gestione politica dell'Italia.

Il primo momento di discontinuità si ebbe l'8 settembre 1943, con l'armistizio con gli Alleati e la fuga del re Vittorio Emanuele II e del suo governo da Roma a Brindisi. Fu allora che il potere monarchico subì la prima vera scossa. Il nord e il centro Italia, inclusa la capitale, furono posti sotto il controllo della Repubblica sociale di Mussolini e della Germania, mentre al sud le condizioni dell'armistizio privarono il re di molte delle sue prerogative, restituendo il potere ai partiti, riuniti nel Comitato di Liberazione Nazionale (CNL). Inoltre, la scelta del re di fuggire della capitale, lasciando l'esercito italiano allo sbando e il Paese in balia di potenze straniere, non aveva certo rafforzato il consenso popolare nei suoi riguardi. Lo stesso ruolo rivestito dal monarca nell'ascesa al potere del fascismo lo rendeva ormai un personaggio dalla condotta decisamente discutibile.

Una donna esercita il suo diritto di voto

Una donna esercita il suo diritto di voto

Foto: Pubblico dominio

Tuttavia la priorità del CNL era la liberazione del territorio italiano dalle truppe occupanti, e per fare fronte comune alla causa i partiti rimandarono la questione del regime istituzionale a dopo la fine della guerra. Non appena, il 4 giugno 1944, Roma fu liberata dalle truppe alleate, il CNL e la Corona formalizzarono un decreto legge luogotenenziale in cui si stabiliva che alla fine della guerra sarebbe stata convocata un'Assemblea costituente per dare una nuova costituzione allo stato e stabilire il tipo di regime che l'Italia sarebbe diventata.

Mentre nel sud Italia i partiti politici ponevano le premesse per un cambio istituzionale, al centro e al nord furono le donne della Resistenza a elaborare una riflessione sul tipo di Paese per il quale stavano combattendo. Numerose organizzazioni femminili nate in quel periodo, quali l’UDI, il CIF, i Gruppi di difesa della donna, si proponevano esplicitamente «non solo di appoggiare ed assistere moralmente e materialmente i partigiani, ma anche di dare alle donne il mezzo per elevarsi nella società e portarsi all’altezza dell’uomo e pretenderne gli stessi diritti». Il 25 ottobre 1944 si costituì un Comitato pro-voto, composto da UDI e dai Centri femminili dei vari partiti, che rivolse un appello alla presidenza del consiglio dei ministri per l’estensione dei diritti elettorali alle donne. Il 1° febbraio 1945 il presidente Bonomi firmò un decreto che garantiva a tutte le donne (eccetto le prostitute “clandestine”, cioè coloro che operavano fuori dalle “case chiuse”) il diritto di voto, ma non quello di eleggibilità; quest'ultimo fu ottenuto solo il 10 marzo, a seguito delle proteste del Comitato.

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Il referendum

L'Italia arrivò all'aprile 1945 – e con esso alla fine della guerra – da Paese sconfitto, occupato da truppe straniere, guidato da un governo che era stato definito cobelligerante e lacerato da una guerra civile. Era giunto il momento di ripensare il modello politico-istituzionale che aveva portato a questo sfacelo. Tutti i partiti, a eccezione di quello liberale e del Fronte dell'uomo qualunque, di posizione agnostica, si schierarono in favore della repubblica. Il tentativo del re, che il 9 maggio abdicò in favore del figlio Umberto per distanziare il giudizio sulla propria persona dalla questione referendaria, fu tardivo e inadeguato.

Tra il 2 giugno e la mattina del 3 quasi 25 milioni di italiani, pari all'89,08% degli aventi diritto di voto, si recarono alle urne; di questi, 12.718.641 (il 54,27%) si espressero a favore della repubblica, contro i 10.718.502 (il 45,73%) a favore della monarchia. Quasi 13 milioni dei votanti erano donne. Come scrisse Tina Anselmi, che nel 1976 divenne la prima ministra donna d'Italia, «le italiane, fin dalle prime elezioni, parteciparono in numero maggiore degli uomini, spazzando via le tante paure di chi temeva che fosse rischioso dare a noi il diritto di voto perché non eravamo sufficientemente emancipate. Non eravamo pronte».

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L'Italia spaccata

Il risultato del voto fu nettamente diviso per aree geografiche. In tutte le province a nord di Roma, tranne Padova e Cuneo, vinse la repubblica con il 66,2% dei consensi. In tutte le province del centro e del sud, tranne Latina e Trapani, vinse la monarchia con il 63,8% (a Napoli raggiunse addirittura il 79%). Non tutti gli italiani ebbero la possibilità di votare: rimasero esclusi i prigionieri di guerra che ancora non erano riusciti a tornare dai campi alleati e tedeschi, le città di Pola, Fiume e Zara, assegnate alla Jugoslavia, e Trieste, al centro di un complicato contenzioso diplomatico che si sarebbe risolto soltanto nel 1954, con il ritorno della città all’Italia.

Il grafico con i risultati del referendum circoscrizione per circoscrizione mostra la spaccatura interna del Paese

Il grafico con i risultati del referendum circoscrizione per circoscrizione mostra la spaccatura interna del Paese

Foto: Mai-Sachme, CC BY-SA 3.0, shorturl.at/hiuP1

Il grafico con i risultati del referendum circoscrizione per circoscrizione mostra la spaccatura interna del Paese


 

Il conteggio dei voti avvenne a Roma, nella sala della Lupa di Montecitorio, in presenza della Corte di cassazione, degli ufficiali angloamericani della Commissione alleata e dei giornalisti. Se già dal 6 giugno i giornali avevano preannunciato la vittoria della repubblica, i risultati ufficiali furono proclamati dalla Corte di cassazione solo il 10 giugno. Tuttavia la formula scelta fu ambigua, rimandando al 18 giugno il «giudizio definitivo» sulle contestazioni presentate dai monarchici. La più importante di queste sosteneva che la repubblica avrebbe potuto proclamarsi vincitrice soltanto in caso di conquista della maggioranza assoluta dei voti, incluse le schede bianche e nulle, che ancora non erano state conteggiate.

L'interpretazione non aveva né una base giuridica valida (se né monarchia né repubblica avessero ottenuto la maggioranza assoluta dei voti, infatti, si sarebbe assistito a un'impasse legislativa), né un fondamento numerico (anche una volta contate le schede bianche e nulle, la repubblica risultò vincitrice), ma fornì il gancio alle proteste monarchiche che esplosero in quei giorni nel sud Italia. La più grave fu la strage di via Medina, l'11 giugno, in cui un corteo monarchico che tentava di rimuovere una bandiera tricolore dalla sede locale del PCI fu fermato dalle raffiche di mitra della polizia, che uccisero nove manifestanti e ne ferirono 150.

Prima pagina del 'Corriere della sera' del 6 giugno 1946

Prima pagina del 'Corriere della sera' del 6 giugno 1946

Foto: Pubblico dominio

Il 13 giugno il consiglio dei ministri, preoccupato dalle contestazioni di piazza e dalla posizione di Umberto II, che appoggiava le proteste dei monarchici, stabilì che la proclamazione dei risultati fatta dalla Corte di cassazione il 10 giugno avesse validità e li autorizzasse a trasferire le funzioni di capo dello stato dal re al presidente del consiglio De Gasperi. Umberto reagì diramando un proclama nel quale denunciò la presunta illegalità commessa dal governo, ma il giorno stesso partì in esilio volontario per il Portogallo, temendo una possibile guerra civile tra monarchici e repubblicani e preoccupato dalla propria precaria posizione. Anche dopo l'ufficializzazione definitiva dei risultati l'ex re non riconobbe la validità del referendum e ne rifiutò l'esito. Non abdicò mai, ma tale evenienza non era prevista nel decreto legislativo luogotenenziale e non costituì dunque un problema: il 18 giugno, dopo ottantacinque anni di regno, la Corte di cassazione sancì la nascita della repubblica italiana.

 13 giugno 1946, Umberto di Savoia sale sull'aeroplano che lo condurrà da Ciampino in Portogallo

13 giugno 1946, Umberto di Savoia sale sull'aeroplano che lo condurrà da Ciampino in Portogallo

Foto: Pubblico dominio

I padri e le madri dell'Assemblea costituente

Fortunatamente, i risultati delle elezioni per l'Assemblea costituente furono decisamente più chiari di quelli del referendum. La Democrazia Cristiana ottenne la maggioranza relativa del 35% dei seggi, mentre al secondo posto arrivarono i socialisti e al terzo i comunisti. Insomma, i partiti che si erano espressi per la scelta repubblicana ottennero complessivamente una percentuale di voti di poco più dell'80%, molto superiore di quella espressa in favore della repubblica nella consultazione referendaria. Su 556 parlamentari eletti, 21 furono donne, le cosiddette “madri costituenti”. Cinque di loro sarebbero entrate nella Commissione dei 75, incaricata di scrivere la Carta costituzionale: Maria Federici, Angela Gotelli, Tina Merlin, Teresa Noce e Nilde Jotti, che trent’anni più tardi sarebbe stata la prima donna a ricoprire, dal 1979 al 1992, la carica di presidente della camera dei deputati, una delle cinque più alte cariche dello stato.

Approvazione della Costituzione italiana: in primo piano Alcide De Gasperi, sullo sfondo Teresa Mattei, segretaria nell'Ufficio di presidenza dell'assemblea

Approvazione della Costituzione italiana: in primo piano Alcide De Gasperi, sullo sfondo Teresa Mattei, segretaria nell'Ufficio di presidenza dell'assemblea

Foto: dati.camera.it, CC BY 4.0 shorturl.at/mBFKL

Approvazione della Costituzione italiana: in primo piano Alcide De Gasperi, sullo sfondo Teresa Mattei, segretaria nell'Ufficio di presidenza dell'assemblea


 

In osservanza della preferenza espressa da italiani e italiane il 2 giugno 1946, la nuova costituzione, approvata dall'Assemblea costituente ed entrata in vigore il 1º gennaio 1948, statuisce, all'art. 1: «L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro».

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