Raffaello, il genio del Rinascimento

Nei suoi 37 anni di vita Raffaello Sanzio riuscì a plasmare l’ideale di bellezza classica del Rinascimento

Qualche tempo dopo essere stato eletto papa, Giulio II decise di non voler abitare negli appartamenti che furono del suo odiato predecessore, Alessandro VI. Così, dopo aver scelto alcuni ambienti al secondo piano del palazzo apostolico, chiamò i più importanti artisti del momento per farli sistemare e decorare. Nel 1508 convocò tra questi anche un venticinquenne di nome Raffaello Sanzio, incaricandolo di lavorare nella cosiddetta “stanza della Segnatura”, che prende il nome dal tribunale papale che vi trovava luogo in precedenza, la Segnatura di grazia e giustizia.

Dopo le prime prove del giovane, il papa si convinse della sua grandezza, ordinò di distruggere le pitture già realizzate dagli altri artisti e gli affidò tutti i lavori da eseguire nelle diverse stanze.

Si ritiene che questo autoritratto sia stato dipinto da Raffaello tra il 1504 e il 1506. Galleria degli Uffizi, Firenze

Si ritiene che questo autoritratto sia stato dipinto da Raffaello tra il 1504 e il 1506. Galleria degli Uffizi, Firenze

Foto: Scala, Firenze

 

 

Un enfant prodige

Raffaello Sanzio era nato a Urbino nel 1483 da Màgia Ciarla e da un pittore di nome Giovanni Santi. Dalla forma latinizzata Santius derivò poi il cognome Sanzio. La data di nascita è incerta: probabilmente si tratta del 28 marzo, ma secondo alcuni nacque il 6 aprile, stesso giorno in cui morì trentasette anni dopo. Raffaello apprese i primi rudimenti artistici dal padre, rivelando ben presto eccezionali capacità. Secondo la tradizione, Giovanni lo mandò a studiare da Pietro Vannucci detto “il Perugino”, uno degli artisti più in voga in quel periodo. È invece certo che, ancora adolescente, era già in grado di eseguire con fermezza dipinti sempre più complessi, tanto che a soli diciassette anni firmò, insieme al collega Evangelista da Pian di Meleto, un contratto come “maestro” per una pala d’altare in una chiesa di Città di Castello. In poco tempo venne considerato un astro nascente dell’arte della penisola e iniziò a ricevere incarichi in varie zone dell’Italia centrale. Nel 1504 si trasferì a Firenze grazie all’interessamento della duchessa Giovanna da Montefeltro, sorella del duca di Urbino, che lo raccomandò al gonfaloniere Pier Soderini descrivendo il giovane come un artista oramai affermato e degno d’incarichi di prestigio.

In effetti, Raffaello divenne protagonista della scena artistica fiorentina accettando committenze per le élite cittadine, come le famiglie Doni e Dei. Stava lavorando proprio per quest’ultima quando fu chiamato a Roma da papa Giulio II per un incarico in Vaticano. Mentre era impegnato con le camere papali, Raffaello non rinunciava alle altre commissioni che si moltiplicavano rapidamente. Ben presto ebbe bisogno di aiuto e organizzò una équipe di giovani artisti, tra cui Perin del Vaga e, dal 1516 circa, anche Giulio Romano, uno dei collaboratori più capaci e fidati. E furono proprio i suoi aiutanti a completare, dopo la sua morte, gli affreschi dell’ultima stanza, la sala di Costantino, basandosi sui suoi disegni.

Vista dei Musei Vaticani dalla terrazza dell’emiciclo con la cupola della basilica di San Pietro sullo sfondo

Vista dei Musei Vaticani dalla terrazza dell’emiciclo con la cupola della basilica di San Pietro sullo sfondo

Foto: Guido Cozzi / Fototeca 9x12

 

 

Il 4 ottobre 1509 il papa gli offrì anche un secondo lavoro: doveva redigere le brevi apostoliche, una sorta di lettere di piccolo formato. Del resto, sembra che Raffaello fosse abile anche nella scrittura: infatti gli sono stati attribuiti sei sonetti amorosi, ritrovati insieme ad alcuni disegni preparatori per gli affreschi delle stanze.

Raffaello era un uomo di bell’aspetto e dai modi affabili. Anche per questo aveva gran successo con le donne: nelle ViteGiorgio Vasari racconta che era «persona molto amorosa e affezionata alle donne» e amante dei «diletti carnali». Diverse furono le relazioni vere o presunte che gli furono attribuite, come quelle con Beatrice Ferrarese e Imperia Cognati, due famose cortigiane.

Non perderti nessun articolo! Iscriviti alla newsletter settimanale di Storica!

Il grande amore

Ciononostante, secondo la tradizione, il grande amore di Raffaello fu una popolana di nome Margherita Luti, detta “la Fornarina” perché il padre faceva il fornaio. Secondo una versione romantica della storia, Raffaello vide per la prima volta Margherita mentre era affacciata a una finestra: i due s’innamorarono all’istante e rimasero insieme fino alla prematura morte del pittore. Successivamente, la donna entrò in convento e se ne persero le tracce. Probabilmente Raffaello la ritrasse in un dipinto conosciuto, appunto, come La Fornarina. Un recente restauro ha evidenziato che in una prima versione la donna ritratta portava un anello, poi cancellato, per cui, secondo alcuni, i due si sarebbero sposati in gran segreto. In realtà, Raffaello era fidanzato ufficialmente con Maria, giovanissima nipote del potente cardinale Bernardo Dovizi da Bibbiena. Si trattava però di un rapporto di convenienza e il pittore cercò a lungo di rimandare le nozze, nonostante le sempre maggiori insistenze del cardinale. Alla fine comunque il matrimonio non fu più celebrato a causa dell’improvvisa morte della ragazza.

'La fornarina'. Olio su tavola (1518-1519). 87x63 cm. Palazzo Barberini, Roma

'La fornarina'. Olio su tavola (1518-1519). 87x63 cm. Palazzo Barberini, Roma

Foto: Akg / Album

Nel frattempo, nel 1513 morì Giulio II e gli successe Leone X. Questi non solo confermò l’incarico delle stanze a Raffaello, ma lo nominò anche conservatore dei marmi antichi con le iscrizioni epigrafiche e gli affidò la direzione dei lavori della nuova basilica di San Pietro. Nella città eterna l’artista si circondò di prestigiose amicizie e conoscenze, come per esempio il banchiere Agostino Chigi, che gli affidò alcuni lavori nella sua villa, il letterato Baldassarre Castiglione, con cui realizzò una lettera a quattro mani (indirizzata al pontefice a proposito dei marmi antichi) e il cardinale Giulio de’ Medici, che gli affidò il progetto di villa Madama.

Il “divino Raffaello”

Nel 1517 l'artista acquistò palazzo Caprini a Roma, dove rimase fino alla morte, sopraggiunta tre anni dopo. Il 6 aprile del 1520, il giorno di Venerdì Santo, alle tre di notte morì improvvisamente. L’intellettuale Giorgio Vasari attribuì la morte ai suoi “eccessi amorosi”, alludendo forse a qualche malattia venerea. In verità, sappiamo unicamente che fu colpito da una forte febbre e si spense dopo alcuni giorni di agonia. Dal canto suo, l’intellettuale e collezionista d’arte Marcantonio Michiel, presente all’evento, descrisse in una lettera la disperazione di tutti, a partire da quella del papa. Michiel raccontò anche di alcuni strani fenomeni che avvennero quel giorno, come l’apertura di una crepa nel palazzo Vaticano e l’oscurarsi del cielo. Avvenimenti che, uniti al fatto che il giorno della morte dell’artista coincideva con quella di Cristo, aumentarono l’idea di “divino” che si era nel frattempo diffusa tra i suoi contemporanei grazie alla bellezza delle sue opere.

Un esempio dell’eccezionalità che la figura di Raffaello aveva raggiunto è l’epitaffio che il letterato Pietro Bembo gli dedicò: «La natura, finché visse, temette di essere vinta, e quando morì, temette di morire con lui».

Margherita Luti, detta "la Fornarina" perché il padre faceva il fornaio, fu una delle modelle di Raffaello. Il dipinto a olio di Gerolamo Induno (1825-1890) ne ricostruisce un incontro

Margherita Luti, detta "la Fornarina" perché il padre faceva il fornaio, fu una delle modelle di Raffaello. Il dipinto a olio di Gerolamo Induno (1825-1890) ne ricostruisce un incontro

Foto: Fine Art / Album
1 / 7
Un genio precoce

1 / 7

Un genio precoce

Secondo Vasari, quando Raffaello era ancora un bambino fu mandato da suo padre Giovanni a studiare nella bottega di Pietro Vannucci, detto
“il Perugino”. Nonostante questa testimonianza, non è realmente certo che Raffaello sia stato allievo diretto del Vannucci. Sicuramente, però, lo stile del Perugino ha influenzato quello di Raffaello, anche dal punto di vista iconografico. Per esempio, il dipinto Sposalizio della Vergine del 1504 riprende due importanti opere del maestro: la Consegna delle chiavi dipinta sulle pareti della cappella Sistina (1481) e la pala, anch’essa rappresentante lo sposalizio, che in quello stesso periodo stava realizzando per il duomo di Perugia, e attualmente esposta al Museo di belle arti di Caen. L’opera di Raffaello fu realizzata per la cappella della famiglia Albizzini, dedicata a san Giuseppe, che si trovava nella chiesa di San Francesco al Prato a Città di Castello. 

Nell'immagine, Sposalizio della vergine (1504). Olio su tavola, 170x118 cm. Pinacoteca di Brera, Milano

La scena si svolge in una vastissima piazza sul cui sfondo predomina un edificio a pianta centrale. In primo piano si sta svolgendo il rito matrimoniale: alla presenza del sacerdote, san Giuseppe (rappresentato più giovane rispetto alla sua consueta iconografia) sta infilando l’anello nuziale al dito della Madonna. Alle spalle dello sposo vi sono gli altri pretendenti di Maria: hanno tutti in mano dei rami secchi e uno di loro sta spezzando il proprio con la gamba. Secondo la leggenda, infatti, quando Maria raggiunse l’età da marito fu dato a tutti i pretendenti un ramoscello. La ragazza avrebbe sposato colui a cui sarebbe fiorito, segno della volontà divina alle nozze. Fiorì solo il ramo di Giuseppe e, infatti, nel dipinto ha sulla punta tre piccoli fiori. Curiosamente Raffaello ha rappresentato nella scena un presunto caso di esadattilia: il piede sinistro di Giuseppe (l’unico a non indossare calzature) sembra avere sei dita. 

 

Foto: Scala, Firenze

Sulle orme di Da Vinci e Buonarroti

2 / 7

Sulle orme di Da Vinci e Buonarroti

Come si legge nella lettera di Giovanna da Montefeltro indirizzata a Pier Soderini, Raffaello desiderava recarsi a Firenze «per imparare». In quella città, infatti, si trovavano molte opere di Leonardo da Vinci e Michelangelo Buonarroti e il giovane Raffaello era molto interessato ai rivoluzionari esperimenti che stavano compiendo i due artisti. Per esempio, ebbe modo di ammirare la Battaglia di Anghiari di Leonardo che riprodusse su alcuni fogli oggi conservati a Oxford. Nel periodo fiorentino, Raffaello realizzò per lo più ritratti e quadri di Madonne. 

Nell'immagine, Deposizione (1507). Olio su tavola, 174,5x178,5 cm. Galleria Borghese, Roma.

Non smise però di curare i rapporti con Perugia. La nobildonna perugina Atalanta Baglioni lo incaricò di realizzare una pala in memoria di suo figlio Federico, detto Grifonetto, che aveva perso la vita durante una congiura nel 1500. L’opera, completata probabilmente verso la fine del 1507, era destinata alla cappella di famiglia in San Francesco al Prato. La scena rappresenta il trasporto di Cristo al sepolcro. A destra, la Madonna sviene per il dolore (la figura allude alla sofferenza di Atalanta e di Zenobia, la moglie di Grifonetto). Una delle donne che la sostiene compie un particolare movimento con il dorso, molto simile a quello fatto dalla Vergine nel Tondo Doni di Michelangelo Buonarroti. Raffaello eseguì due ritratti per i coniugi Doni, pertanto probabilmente ebbe modo di studiare da vicino l’opera michelangiolesca. Grifonetto è rappresentato nel giovane trasportatore sulla destra. In poco tempo la pala divenne molto famosa e nel 1608 fu portata segretamente a Roma per arricchire la collezione del cardinale Scipione Borghese.  

Foto: Joseph Martin / Album

Affreschi delle stanze Vaticane

3 / 7

Affreschi delle stanze Vaticane

Le stanze Vaticane sono quattro ambienti che prendono il nome degli affreschi che vi sono presenti. S’incontrano così: la stanza dell’Incendio, della Segnatura, di Eliodoro e quella di Costantino. L’esecuzione degli affreschi si protrasse dal 1508-1509 fino al 1520 e oltre. Per la stanza dell’Incendio Raffaello si servì anche dell’aiuto dei suoi allievi, mentre la stanza di Costantino fu in gran parte realizzata dopo la morte dell’artista, basandosi sui progetti realizzati dal maestro intorno al 1517.

Nella foto, l’affresco della Disputa del Sacramento (1509). 500x770cm, Musei Vaticani, Città del Vaticano. 

L'affresco si trova nella stanza della Segnatura ed è diviso in due registri. Nella parte superiore è raffigurata la Chiesa trionfante, in quella inferiore la militante. La Chiesa trionfante è rappresentata dalla Trinità, con Gesù al centro di una luminosa aureola, seduto tra la Madonna e Giovanni Battista. Subito sotto di loro, su scranni di nuvole, vi è una schiera di santi e profeti. Immediatamente sotto Cristo si trova la colomba dello Spirito Santo, affiancata dagli angeli che reggono i Vangeli. Sotto ancora, nella parte inferiore dell’affresco, invece, l’Eucarestia al centro dell’altare. A fianco, diversi personaggi che compongono la Chiesa militante: teologi, papi e devoti. Tra questi, sulla destra, Raffaello ha effigiato anche lo scrittore Dante Alighieri (con la tipica corona di alloro), mentre a sinistra, vicino l’altare, Giulio II (con la tiara sul capo). 

Foto: Scala, Firenze

Gli arazzi per la cappella Sistina

4 / 7

Gli arazzi per la cappella Sistina

Raffaello realizzò anche i disegni per dieci arazzi sulle vite dei santi Pietro e Paolo per la cappella Sistina, che furono successivamente intessuti presso la bottega di Pieter van Aelst a Bruxelles e venivano esposti in occasioni speciali. Per commemorare il quinto centenario della morte dell’artista urbinate, nel 2020, le tele sono state collocate nel luogo originale per alcuni giorni, quando è stata scattata questa immagine.

Foto: Eric Vandeville / EFE

Il ritrattista della nobiltà romana

5 / 7

Il ritrattista della nobiltà romana

Molti dei ritratti realizzati da Raffaello Sanzio derivavano da commissioni prestigiose, come quello del banchiere Bindo Altoviti e dei papi Giulio II e Leone X – nell'immagine, il primo ritratto a sinistra – rappresentato insieme a due cardinali. Ma si può supporre che ne fece qualcuno anche solo come semplice testimonianza di amicizia, come nel caso del quadro raffigurante Baldassarre Castiglione (al centro). I due si conoscevano almeno dal 1504 e condividevano l’interesse per le antichità classiche. Dopo la scomparsa del pittore, Castiglione gli dedicò un’opera dal titolo De morte Raphaelis pictoris, in cui veniva esaltato l’impegno dell’amico nella salvaguardia delle antiche rovine di Roma. Realizzato tra il 1514 e il 1515, il dipinto mostra Castiglione a mezzo busto, riccamente abbigliato e voltato di tre quarti, con lo sguardo in direzione dello spettatore. Quando Castiglione fece ritorno a Mantova, sua terra d’origine, portò con sé il dipinto che, dopo diversi passaggi, entrò a far parte delle collezioni del Louvre. 

 

Vi sono anche dei ritratti in cui il soggetto non è stato ancora identificato, come La Velata. Per alcuni si tratterebbe ancora di Margherita Luti, ipotesi avvalorata dalla somiglianza dell’opera La Velata con alcune immagini femminili ricorrenti nella produzione di Raffaello. Ciononostante, il ricco abito della donna – una veste di seta marezzata chiara impreziosita da rifiniture in oro sotto cui vi è una camicia bianca – e i gioielli fanno invece supporre che si tratti di una nobildonna. Il titolo deriva dal velo che le scende sulle spalle e che lascia intravedere un cercine dorato (una specie di panno che si portava sulla testa e al quale si attaccavano poi gli ornamenti) a cui è appuntato un pendente terminante con una perla. 

Foto 1: Album / Foto 2 e 3: Scala, Firenze

Il trionfo dell'amore

6 / 7

Il trionfo dell'amore

Il banchiere e mecenate Agostino Chigi coinvolse Raffaello nelle decorazioni della sua villa suburbana, oggi nota come Farnesina, permettendogli di misurarsi con un complesso soggetto mitologico: il Trionfo di Galatea. Secondo il mito, il ciclope Polifemo si era innamorato della ninfa Galatea ma era stato respinto. Il tema fu ripreso durante il Rinascimento nelle Stanze per la Giostra di Poliziano dove si descrive il passaggio trionfale di Galatea davanti a Polifemo come simbolo del trionfo dell’amore platonico su quello carnale. Raffaello s’ispirò a quest’opera per rappresentare la giovane su una conchiglia trainata da delfini (simboli di castità), tra divinità marine e putti intenti a scagliare frecce. Vicino all’affresco di Raffaello, il pittore Sebastiano dal Piombo raffigurò invece Polifemo seduto su una roccia mentre guarda il mare. È possibile che la donna che posò come modella di Galatea fosse la Fornarina. A tal proposito, Vasari racconta che Raffaello minacciò Chigi di lasciare incompiuto l’affresco se questi non gli avesse permesso di portare con sé la donna amata. La data di esecuzione è incerta, ma molto probabilmente va collocata entro il 1512 perché in quell’anno l’umanista Blosio Palladio scrisse di aver visto una figura femminile su una conchiglia dipinta nella villa di Chigi. 

Trionfo di Galatea (1511 circa). Affresco, 295 x 224 cm. Villa Farnesina, Roma

 

Foto: Scala, Firenze

Il capolavoro

7 / 7

Il capolavoro

La Trasfigurazione è l’ultima grande pala d’altare realizzata da Raffaello. Fu composta negli ultimi due anni di vita, anche se è probabile che i primi schizzi risalgano già al 1516, quando ne ricevette la commissione da parte del cardinale Giulio de’Medici, il futuro papa Clemente VII, che intendeva inviarla alla cattedrale di Narbona  in Francia. Nella parte superiore è rappresentata la trasfigurazione di Cristo sul monte Tabor così com’è descritta nei Vangeli. In un angolo a sinistra Raffaello inserì due figure in preghiera, forse i santi Giusto e Pastore, patroni della cattedrale. Nella parte inferiore, rappresentò la scena evangelica della guarigione del fanciullo indemoniato. Precisamente, l’urbinate dipinse il momento precedente, in cui i discepoli non riuscivano ad aiutare il fanciullo perché la loro fede non era abbastanza forte. Il ragazzo fu guarito poi da Cristo dopo essere sceso dal monte. In quest’opera per la prima volta i due episodi sono stati accomunati in una pala d’altare. La Trasfigurazione fu posta a capo del letto di morte di Raffaello e Vasari affermò: «Si fa giudizio comune degli artefici che quest’opera tra tante, quant’egli ne fece, sia la più celebrata». Non appena si rese conto della bellezza della pala, il cardinale decise di non inviarla più in Francia e la fece collocare nella chiesa di San Pietro in Montorio, dove rimase fino al 1797, quando fu trasferita a Parigi. Fu restituita nel 1815 ed entrò nelle collezioni del Vaticano. Nel XIX secolo quest’opera era considerata un vero e proprio capolavoro. Fu studiata da Goethe e ispirò a Nietzsche riflessioni sulla condizione dell’uomo, sul dolore e sulle benedizioni divine. 

Trasfigurazione (1516-1520). Tempera su tavola, 410x279 cm. Musei Vaticani, Città del Vaticano

Foto: Scala, Firenze

Raffaello, il genio del Rinascimento

Se vuoi ricevere la nostra newsletter settimanale, iscriviti subito!

Condividi

¿Deseas dejar de recibir las noticias más destacadas de Storica National Geographic?