Menfi è una città antichissima che, secondo la tradizione, venne fondata nel 3000 a.C. da un re di nome Menes. Secondo le liste reali egizie, il sovrano unificò sotto il suo dominio il Paese, che prima era diviso in due regni: uno al nord ed uno al sud. Menes divenne così il primo faraone della storia millenaria dell’Egitto e tutti i suoi successori portarono il titolo di "Signore delle due Terre", in ricordo di questa antica divisione.
Menfi fu scelta come capitale d'Egitto per la sua posizione strategica: si trovava infatti nel punto in cui il Nilo si apre a ventaglio per gettarsi nel Mediterraneo, quindi al confine tra il sud dell'Egitto (Alto Egitto) e il nord (Basso Egitto). Per questo motivo la città era nota con l'appellativo di "Bilancia delle due Terre". Doveva avere un’estensione enorme e, nella seconda metà del II millennio a. C., era divenuta addirittura una città cosmopolita abitata da gente di origine e di culture diverse. Fu il più importante centro amministrativo e militare del paese per tutta la durata della storia egizia, anche quando la capitale fu spostata altrove.
Purtroppo, archeologicamente parlando, rimane molto poco di questa città: una sfinge con il volto di Amenhotep II e una statua di Ramesse II. Eppure doveva essere stata una città bellissima se si da ascolto ad alcuni testi in cui si parla di lei con struggente nostalgia. Qui si trovava il palazzo del faraone e un tempio dedicato a Ptah, il dio della città e il patrono degli artisti e degli artigiani. La struttura doveva essere maestosa e senza dubbio rivestì un'enorme importanza per la religiosità egizia. Basti pensare che la parola "Egitto" sembra derivare dal nome egizio Hut-Ka-Ptah, ovvero il "palazzo dello spirito di Ptah". Successivamente i greci iniziarono a chiamare questa terra Aigyptos, e il riferimento a Ptah non apparve più così chiaramente. Ma all'interno delle mura del tempio dedicato al dio ebbe origine uno dei tanti miti egizi sulla creazione del mondo.
Statua in legno dorato di Ptah esposta durante la mostra 'Tutankhamun, Treasures of the Golden Pharaoh' del British Museum (Londra) nel 2019
Foto: © Nils Jorgensen/i-Images via ZUMA Press / Cordon Press
Ptah, il dio creatore
Probabilmente in origine era solo un dio degli artigiani, e infatti gli viene attribuita l'invenzione delle arti. Ma già dall'Antico Regno (2575-2125 a.C.) Ptah si trasformò in un dio creatore. Era rappresentato sempre in forma umana, avvolto in un mantello aderente da cui fuoriuscivano le mani che stringevano uno scettro che combinava tre segni: il was (simbolo del potere regale), il djet (simbolo di stabilità) e l'ankh (simbolo della vita) . La testa era coperta da una calotta e indossava una barba posticcia. Il suo nome potrebbe significare “colui che forgia”, “il modellatore” oppure “lo scultore”, e infatti nell'immaginario egizio lui è l’artigiano che diede origine all'universo.
Ma quando nasce Ptah? Come tutti i demiurghi – gli dei creatori dell’universo – la sua nascita coincide con quella del mondo. Era sposo della dea leonessa Sekhmet e loro figlio era il dio Nefertum, rappresentato in forma umana con un fiore di loto sul capo. Ptah, Sekhemt e Nefertum formavano la triade divina menfita.
Ptah, il creatore del mondo. Affresco proveniente dalla tomba di Nefertari. XIII secolo a.C. Valle delle Regine, Egitto
Foto: Rue des Archives / Cordon Press
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La magia della parola
Secondo il mito nato tra le mura del tempio di Ptah a Menfi, questo dio creò il mondo e tutto ciò che esiste attraverso la parola: il dio pensò alle cose che voleva creare e ne pronunciò il nome. Grazie al potere della parola tutto ciò che venne nominato dal dio iniziò ad esistere. Nel testo che ci racconta questo mito, chiamato "testo della teologia menfita", si legge:
“E’ la lingua che ripete ciò che ha pensato il cuore”.
In questo contesto la lingua è la parola e il cuore rappresenta il pensiero. Gli egizi infatti ritenevano che il cuore fosse la sede del pensiero, delle emozioni e dei sentimenti. Il testo continua:
“Così nacquero tutti dei. Ogni parola del dio si manifestò secondo ciò che il cuore aveva pensato e che la lingua aveva ordinato….Così è stato creato ogni lavoro ed ogni arte, l’attività delle mani, il camminare dei piedi, il moto di tutte le membra, secondo il Comando pensato dal cuore ed espresso dalla lingua”.
E infine:
“ …così Ptah fu soddisfatto dopo che ebbe creato ogni cosa, ogni parola divina”.
L’opera di Ptah però non si conclude con la creazione del mondo, ma continua nel tempo attraverso il lavoro e le opere degli architetti, degli scultori e dei pittori su cui egli esercita la sua protezione divina.
Ptah, sulla destra, e sua moglie Sekhmet, la dea con la testa di leone, a sinistra. In mezzo, il faraone Tutamkhamon. Pettorale
Foto: World History Archive / Cordon Press
Di solito ogni versione della creazione del mondo secondo gli egizi parte da un materiale o un elemento preesistente. In questo senso, nel mito di Heliopolis il dio Atum creò la prima coppia divina con una parte di sé: a seconda delle versioni lo fece attraverso lo sperma, uno sputo oppure uno sternuto. In altri miti della creazione si parla di un uovo o di un fiore di Loto da cui nacque il dio creatore, o ancora si racconta di quattro coppie di rane e di serpenti da cui ebbe inizio tutto ciò che esiste. La creazione di Menfi, invece, non è materiale, è più intellettualistica e ricorda da vicino il vangelo di Giovanni :
“In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio: tutto è venuto in esistenza ad opera sua”.
Un rotolo roso dai vermi
Conosciamo il testo che ci racconta questo mito grazie ad una stele di pietra nera che risale al 700 a.C. e che ora si trova al British Museum di Londra. Questa stele viene dal tempio di Ptah a Menfi ed ha la superficie molto rovinata poiché è stata riutilizzata come macina di un mulino. All’inizio della stele si racconta di come il re Shabaka (XXV dinastia) fece incidere questo testo facendolo copiare da un papiro molto rovinato che era custodito nella biblioteca del tempio di Ptah a Menfi. Era un papiro dal contenuto religioso molto importante e il pio faraone facendolo trascrivere su pietra lo salvò dalle ingiurie del tempo preservandolo fino a noi. Nel testo si dice addirittura che il papiro era roso dai vermi.
Stele di Shabaka. XXV dinastia, 710 a.C. Nell'immagine si intravede un testo inciso con caratteri geroglifici attorno al foro in cui venne incastrato un supporto. La pietra fu utilizzata come macina di un mulino
Foto: World History Archive / Cordon Press
Nella parte iniziale è scritto :
“Sua Maestà trascrisse di nuovo questo libro …Sua Maestà lo aveva trovato in un’ opera dei suoi antenati, divorato dai vermi: non lo si conosceva dall’inizio alla fine e Sua Maestà lo trascrisse di nuovo sicché è più bello di prima”.
Il mito della creazione del mondo da parte di Ptah è la testimonianza di come, per gli antichi egizi, la parola fosse potente e magica e avesse un potere creativo poiché, come in una sorta di alchimia, trasforma il pensiero in qualcosa di tangibile e reale.
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