Pompeo Magno sconfigge i pirati dell’Asia Minore

Nel 67 a.C. le autorità di Roma concessero al militare e uomo politico la carica proconsolare e pieni poteri per dare la caccia ai banditi che imperversavano in tutto il Mediterraneo

Affinché fosse possibile creare un grande e fiorente stato nel Mediterraneo, una delle maggiori sfide affrontate da Roma fu quella di fronteggiare i pirati, che minacciavano senza sosta le rotte commerciali e le città costiere. Il fenomeno della pirateria, di origini antichissime, era diventato agli inizi del I secolo a.C. un’autentica piaga. I pirati più temuti scelsero come quartier generale il territorio della Cilicia Trachea, nel sudest dell’Anatolia (l’attuale Turchia): tale regione risultava geograficamente congeniale sia per i rifugi naturali offerti dai rilievi montuosi, sia per le coste rocciose a picco sul mare, che non avevano punti di facile attracco.

Pirati cilici assaltano imbarcazioni in mare aperto. I secolo d.C. Affresco della casa dei Vettii, Pompei

Pirati cilici assaltano imbarcazioni in mare aperto. I secolo d.C. Affresco della casa dei Vettii, Pompei

Foto: Bridgeman / Index

Nella Vita di Pompeo appartenente alle Vite parallele, Plutarco riferisce come i pirati cilici possedessero basi operative dislocate lungo tutto il litorale anatolico, fortificate con torri e mura, e disponessero di oltre un migliaio di navi, ben equipaggiate e governate da abili marinai: «Le prue dorate, i tappeti di porpora e i remi d’argento davano l’impressione che le loro malefatte li riempissero di orgoglio e di soddisfazione». Essi erano noti per la musica e i canti; sembra inoltre che i loro riti religiosi includessero anche alcune pratiche misteriche come l’adorazione del dio iraniano Mitra: secondo Plutarco, sarebbero addirittura stati loro a introdurre tale culto nel mondo romano.

Le scorrerie attuate dai pirati cilici avevano come obiettivi principali il saccheggio di città costiere e la cattura di prigionieri, che venivano poi venduti come schiavi nei mercati di Sicilia, Rodi, Alessandria e dell’Asia Minore. Celebre è l’episodio che coinvolse nel 74 a.C. il giovane Gaio Giulio Cesare, catturato dai pirati a Farmacusa (l’attuale Farmaco) mentre era in viaggio per Rodi. Stando a quanto riferisce Plutarco nella Vita di Cesare, di fronte alla richiesta di riscatto avanzata e fissata a venti talenti (circa cinquecento chili d’argento), Cesare avrebbe dichiarato sprezzante che era una cifra troppo bassa: la sua libertà non ne valeva meno di cinquanta.

Nella Vita di Pompeo si legge che i pirati cilici s’impadronirono di oltre quattrocento città, scelte in modo particolare tra quelle sprovviste di fortificazioni: solo dietro il pagamento di un ingente riscatto essi accettavano di andarsene. Dalle loro scorrerie non si salvarono né i templi – tradizionalmente considerati asili inviolabili – né alcune località dell’entroterra né le imbarcazioni mercantili, che solcavano i mari cariche di pietre e metalli preziosi, sale, spezie, tessuti, tinture, vino, olio, legname e altre ricche merci.

La città di Anemurio (l’attuale Anamur) fu una delle più prospere della Cilicia: la sua costa offrì per secoli rifugio ai pirati

La città di Anemurio (l’attuale Anamur) fu una delle più prospere della Cilicia: la sua costa offrì per secoli rifugio ai pirati

Foto: Martin Siepmann / Age Fotostock

Qualora fossero stati catturati, i pirati non dovevano ovviamente aspettarsi molta clemenza: tutt’al più potevano sperare in un’esecuzione sommaria o in una vendita come schiavi. Ancora Plutarco – nellaVita di Cesare – racconta per esempio come Cesare, una volta pagati i cinquanta talenti di riscatto, diede la caccia ai suoi sequestratori: «Li catturò quasi tutti, saccheggiò i frutti delle loro razzie, fece rinchiudere gli uomini nella prigione di Pergamo e si recò immediatamente dal governatore d��Asia, l’unico che in qualità di pretore aveva il compito di punire i prigionieri. Costui però, messi gli occhi sul bottino [...], disse che si sarebbe occupato a suo tempo dei prigionieri. Allora Cesare, mandatolo al diavolo, tornò a Pergamo e, tratti fuori dal carcere i pirati, li fece impalare tutti quanti».

La minaccia cilicia

Intorno al 70 a.C. i pirati cilici erano diventati una minaccia per la sopravvivenza stessa di Roma: le loro scorrerie mettevano in pericolo la fornitura di grano all’Urbe e interferivano gravemente nei commerci sia marittimi sia terrestri. A poco servirono le spedizioni organizzate contro di loro dalla repubblica: le campagne di Marco Antonio Oratore nel 102 a.C., di Publio Servilio Vatia Isaurico nel 78 a.C. e di Marco Antonio Cretico nel 76 a.C. non portarono ad alcun risultato duraturo.

I continui insuccessi rendevano necessaria l’adozione di una nuova strategia: affidare la direzione di tutte le operazioni a una persona sola, dotata di poteri straordinari; tale progetto fu attuato mediante la Lex Gabinia, proposta nel 67 a.C. dal tribuno della plebe Aulo Gabinio: essa prevedeva l’elezione di un comandante supremo, cui sarebbero stati riconosciuti per tre anni la carica di proconsole e una libertà d’azione senza precedenti nella lotta contro i pirati. La scelta ricadde su Gneo Pompeo Magno, generale all’epoca molto popolare per le vittorie riportate contro Sertorio e Spartaco; egli ricevette un finanziamento di seimila talenti attici e il comando di un’armata impressionante: 120mila fanti (l’equivalente di venti legioni), quattromila cavalieri e 270 navi (di cui settanta hemiolie, cioè leggere).

Pompeo Magno come figlio di Nettuno su un denario coniato dal figlio Sesto. 44-43 a.C.

Pompeo Magno come figlio di Nettuno su un denario coniato dal figlio Sesto. 44-43 a.C.

Foto: Age Fotostock

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Pompeo lancia l’offensiva

Il primo obiettivo perseguito da Pompeo fu di carattere difensivo: proteggere sia i granai di Sicilia, Africa e Sardegna sia le rotte lungo le quali veniva trasportato il grano; una volta assicurata la fornitura del cereale all’Urbe, egli avrebbe intrapreso un’offensiva navale e terrestre contro le basi corsare. Per fare questo, divise l’area mediterranea in tredici distretti, ognuno dei quali fu presidiato da una flotta agli ordini di un comandante; Pompeo transitava con la propria flotta da un distretto all’altro, assicurandosi che i suoi luogotenenti eseguissero gli ordini. Stando a quanto si legge nella Vita di Pompeo, egli «suscitò ammirazione in tutto il mondo per la rapidità dei suoi movimenti, l’importanza dei suoi preparativi e la sua reputazione formidabile»; i pirati, che avevano pensato di affrontarlo e attaccarlo, «si spaventarono, cessarono gli attacchi contro le città che avevano assediato e si rifugiarono nelle cittadelle fortificate e nei porti abituali». In soli quaranta giorni Pompeo liberò dai pirati i mari Tirreno, Libico, di Sardegna, di Corsica e di Sicilia.

La maggior parte dei fuggitivi si trincerò nelle proprie basi nella Cilicia Trachea: fu contro di esse che Pompeo, al comando di sessanta delle sue migliori navi, guidò l’assalto finale. Di fronte alla schiacciante superiorità romana i pirati, presi dal panico, si arresero chiedendo clemenza agli avversari; i pochi riottosi si concentrarono a Coracesio (l’attuale Alanya), dove furono sbaragliati dall’attacco lanciato da Pompeo sia per terra sia per mare.

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La clemenza del generale

L’intera campagna di Pompeo contro i pirati cilici durò poco più di tre mesi. Secondo gli storici antichi, i corsari caduti superarono le 10mila unità, mentre il bottino conquistato fu di 20mila prigionieri, quattrocento navi e una grande quantità di armi, materie prime e prodotti artigianali. Nei confronti degli sconfitti, il comandante romano adottò un atteggiamento misericordioso: secondo la Vita di Pompeo, coloro che erano ancora liberi e che «chiesero perdono furono trattati con umanità, tanto che, dopo il sequestro delle loro navi e la consegna delle loro persone, non gli fu fatto alcun male; gli altri sperarono allora di essere perdonati: cercarono di scappare dai capi [pirati] e si recarono da Pompeo con mogli e figli, arrendendosi a lui. Questi furono risparmiati e, grazie al loro aiuto, furono rintracciati, catturati e puniti tutti coloro che erano ancora nascosti nei loro rifugi, perché consapevoli di aver commesso crimini imperdonabili». Molti pirati vennero inviati come coloni in diverse zone dell’Anatolia, a Taranto, nella Cirenaica e del nord della Grecia, così da togliere loro la tentazione di ulteriori scorrerie marittime e impiegarli “costruttivamente” nella fondazione di nuove città.

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