La mattina del 30 aprile 1982 c’è un insolito movimento nel quartiere Villa Tasca, nella periferia di Palermo. Poliziotti, giornalisti e passanti affollano piazza Turba: proprio di fronte alla caserma Sole c’è una berlina scura, una Fiat 132. I vetri dell’abitacolo sono in frantumi e lasciano intravedere una scena agghiacciante. Al posto di guida c’è Rosario di Salvo, attivista e militante del Partito Comunista. Ha il capo riverso all’indietro, segnato da colpi di arma da fuoco. Al suo fianco giace Pio La Torre, segretario regionale del PCI ed ex parlamentare di lungo corso. La testa è poggiata in grembo all’autista, i piedi rivolti verso il finestrino, in un ultimo disperato tentativo di ribellione alla violenza che quel mattino alle ore nove e ventisei si è consumata per mano della criminalità organizzata. Quarant’anni dopo l’omicidio La Torre rimane una legge che porta il suo nome e il ricordo di un uomo che ha lottato fino all’ultimo per dimostrare che la mafia esiste, è un reato e si può combattere a colpi di legalità.
I corpi senza vita di Pio La Torre e Rosario Di Salvo
Foto: shorturl.at/cvCR6
"La terra a tutti"
Pio La Torre nasce a Palermo nel dicembre del 1927, il giorno prima di Natale. È il quarto di cinque figli in una famiglia contadina residente ad Altarello di Baida, una borgata popolare di periferia. All’inizio del XX secolo la Sicilia è terra di lotte contadine tra braccianti e proprietari terrieri, delusa dall’unità d’Italia, preda del brigantaggio e delle prime forme moderne di criminalità organizzata. Già in tenera età Pio si misura con le difficoltà e le ristrettezze dell’ambiente in cui cresce: in casa non c’è acqua né corrente elettrica, tutto ciò che serve per vivere è frutto di fatica. Vuole cambiare le cose, desidera andare a scuola: inizialmente l’idea non piace a suo padre, che considera lo studio uno spreco di forza lavoro, ma ottiene il supporto di sua madre Angela, casalinga analfabeta, che sogna per i figli un riscatto sociale attraverso l’istruzione.
Il giovane Pio La Torre
Immagine gentile concessione del Centro Pio La Torre www.piolatorre.it
Pio frequenta l’Istituto Tecnico Industriale affiancando studio e lavoro. A diciotto anni s’iscrive alla facoltà d’Ingegneria, che un anno più tardi lascia per Scienze politiche. In questo contesto trova radice la sete di giustizia sociale che nel 1945 si concretizza nell’impegno politico, con l’iscrizione al partito Comunista. In quegli anni, la forte richiesta di una riforma agraria nel Meridione sfocia in un’ondata di proteste popolari. La Torre partecipa prima in qualità di funzionario dell’organizzazione sindacale contadina Federterra, poi come responsabile giovanile della Cgil (Confederazione Generale italiana del lavoro) e della commissione giovanile regionale del PCI. Nel 1949 diviene membro del consiglio federale del partito: con lo slogan “La terra a tutti”, ha inizio l’occupazione delle terre ritenute incolte o mal gestite, da ridistribuire in parti uguali ai braccianti bisognosi. La mobilitazione coinvolge circa seimila persone, conquistando quasi tremila ettari di terreno.
La famiglia e l'impegno
Il 29 ottobre 1949 Pio La Torre sposa Giuseppina Zacco, figlia di un ex ufficiale medico dell’esercito. La giovane ha poco più di vent’anni, è brillante, determinata e desiderosa d’impegnarsi in prima persona nella ricostruzione del dopoguerra. L’incontro tra i due avviene un anno prima, quando Giuseppina si reca alla Federazione del PCI per iscriversi al partito, senza immaginare che da quel momento in poi saranno compagni di lotta e di vita. La militanza non facilita le cose alla giovane coppia: Giuseppina deve fare i conti con il peso di quella scelta controcorrente, inusuale per una donna siciliana di buona famiglia. Dal canto suo, Pio ha lasciato da tempo la casa paterna, già raggiunta da minacce e intimidazioni mafiose contro quel giovane che in pochi anni aveva avviato ben tre sezioni del PCI. Il matrimonio lo porta a Palermo, dove nascono i figli Filippo e Franco e prosegue l’impegno politico e sociale.
Pio La Torre a Portella della Ginestra. 1 maggio 1964
Immagine gentile concessione del Centro Pio La Torre www.piolatorre.it
L’inverno del 1949 è teatro di scontri per l’occupazione delle terre, che culminano il 10 marzo 1950 a Bisacquino, dove il corteo contadino – composto da migliaia di persone — si scontra con le forze di polizia. Molti braccianti rimangono feriti, altri reagiscono lanciando sassi agli agenti. Pio La Torre cerca di mediare tra divise e manifestanti, senza risultato. La sassaiola si conclude con numerosi arresti: anche La Torre viene condotto al carcere delll’Ucciardone di Palermo, dove rimane per un anno e mezzo. Accusato ingiustamente di aggressione a pubblico ufficiale, trascorre la detenzione in solitudine, come previsto per i reati a carattere “politico”. Le visite della moglie e dei parenti sono concesse di rado, attraverso una porta di ferro che impedisce ogni contatto. Pio manca alla nascita del primo figlio e al funerale della madre, morta di tumore. Il suo processo si protrae per dieci udienze, fino alla scarcerazione. Il 23 agosto 1951 Pio La Torre è un uomo libero, e decide di tornare all’azione.
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Mafia e potere
Nel 1952 entra a far parte del consiglio comunale di Palermo, dove resta in carica fino al 1966. In questo periodo diventa segretario regionale della Cgil e del PCI siciliano, quindi partecipa alla raccolta firme scaturita dal Consiglio mondiale per la Pace (1950), che con l’Appello di Stoccolma chiede d’interdire le armi atomiche. Nel 1969 La Torre passa alla direzione centrale del PCI. Tre anni più tardi viene eletto in Parlamento, dove rimane per tre legislature ed entra a far parte della Commissione parlamentare antimafia. Avanza la proposta di legge “Disposizioni contro la mafia”, volta ad integrare la legge 575/1965 e introdurre un nuovo articolo nel codice penale. Con il “416 bis” il fenomeno mafioso diverrebbe reato, punibile con la reclusione, l’esclusione da incarichi civili e la confisca dei beni frutto di attività illecita.
Pio Latorre (ultimo a destra) a fianco del giudice Cesare Terranova in commissione antimafia
Immagine gentile concessione del Centro Pio La Torre www.piolatorre.it
Sulla scorta dell’esperienza maturata a Palermo e a contatto con le istituzioni pubbliche, La Torre inizia a svelare i legami tra criminalità organizzata e importanti personaggi del panorama politico italiano. Parla degli accordi di potere e convenienza che su varia scala governano appalti edili e imprenditoriali, traffico di droga e riciclaggio di denaro. In più occasioni, afferma pubblicamente che «La mafia è un fenomeno di classi dirigenti», poiché è il «risultato di un incontro che è stato ricercato e voluto da tutte e due le parti». La Torre fa nomi e cognomi, mentre il suo inizia a circolare tra gli “uomini d’onore” di Cosa Nostra, preoccupati di quella “spina nel fianco” – così lo definirà uno dei suoi aguzzini – che sapeva parlare la lingua della politica e del popolo.
La solitudine dei morti
Nel 1981 Pio La Torre torna nella sua Sicilia, dove assume l’incarico di segretario regionale del PCI. La battaglia successiva è contro l’installazione dei missili nucleari Nato presso la base militare di Comiso, a nord di Ragusa. L’obiettivo è «fare del Mediterraneo un mare di pace», dichiara La Torre, promuovendo una petizione in grado di coinvolgere esponenti di ogni appartenenza politica, culturale e religiosa. L’iniziativa raccoglie oltre un milione di firme: ora più che mai, parole e azioni del segretario comunista catturano l’attenzione dell’intelligence italiana e internazionale. In quegli anni prende corpo l’"ipotesi Gladio", organizzazione paramilitare promossa dall’americana CIA per scongiurare una potenziale invasione dell’Unione Sovietica nell’Europa occidentale, ancora ostaggio della Guerra fredda. I riflettori puntati su La Torre si spegneranno pochi giorni prima del suo assassinio, lasciandolo solo di fronte al proprio destino.
Pio La Torre e Rosario Di Salvo in una fotografia scattata pochi mesi prima del loro omicidio
Foto: shorturl.at/bqEH4
La sua volontà viene spezzata il 30 aprile 1982, mentre raggiunge in auto la sede del PCI accompagnato dall’amico Rosario di Salvo, autista e guardia del corpo. In piazza Generale Turba una moto di grossa cilindrata taglia la strada alla berlina grigia dell’ex deputato, bloccata da una Ritmo verde, da cui scendono tre uomini armati. In pochi secondi, la Fiat 132 viene crivellata di colpi con armi di grosso calibro. Il 2 maggio si tengono i funerali: una foto scattata quel giorno mostra i volti contriti dei magistrati Rocco Chinnici e Giovanni Falcone con il vicequestore Ninni Cassarà, compagni di La Torre nella lotta antimafia, cui pochi anni più tardi sarebbe toccata la stessa sorte. L’omicidio dell’ex deputato siciliano non impedisce l’approvazione della legge “Rognoni-La Torre” (646/1982), che dal 13 settembre 1982 cambia per sempre il modo di pensare e contrastare la criminalità organizzata. Pio La Torre non fa in tempo a vederla pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, ma la sua determinazione non aveva bisogno di conferme: «Lo so - ripeteva - che a voi la mafia sembra un'onda inarrestabile…Ma la mafia si può fermare, e insieme la fermeremo».
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