Penelope e la fedeltà: la moglie di Odisseo tra passato e presente

Simbolo di castità e devozione coniugale, nell’"Odissea" la moglie dell’eroe omerico mostra in realtà un comportamento ambiguo. Dipende forse dal modo in cui venne composto il poema? E quali misteri nasconde la scaltra Penelope?

'Penelope', di Domenico Beccafumi. 1514. Seminario patriarcale, Venezia

'Penelope', di Domenico Beccafumi. 1514. Seminario patriarcale, Venezia

Foto: Pubblico dominio

Odisseo è ormai tornato a Itaca dopo dieci anni di guerra e dieci di viaggio. In sua assenza la moglie Penelope ha tenuto a bada con l’inganno i pretendenti al trono e, ora che gli avidi proci sono morti per mano dell’eroe, quest’ultimo prova a farsi riconoscere dall’amata consorte. Eppure Penelope esita e tentenna, sembra essere l’unica a non fidarsi dell’uomo che le si era presentato come mendicante. Decide perciò di metterlo alla prova, chiedendo di portare il talamo fuori dalla stanza nuziale. Odisseo si altera e offende, le rinfaccia che il letto non può essere rimosso in quanto tutt’uno con un ulivo che lui stesso aveva lavorato, e Penelope capisce. Quel dettaglio così intimo svela la verità, e Penelope si scioglie in lacrime tra le braccia del marito. Per la figlia d’Icario la lunga attesa si è finalmente conclusa, almeno per il momento.

'Ritorno di Odisseo', di Pinturicchio. 1508-1509. National Gallery, Londra

'Ritorno di Odisseo', di Pinturicchio. 1508-1509. National Gallery, Londra

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Ecco, quindi, come parte della tradizione ha dipinto e descritto Penelope: donna fedele e pudica, regina del gineceo e della casa, ombra sospesa nel tempo, intenta a filare il sudario del suocero Laerte di giorno e a disfarlo di notte pur di ritardare la scelta, ormai necessaria, di un nuovo consorte. Casta, devota e pura, rappresenta l’antitesi delle due temibile cugine, Elena di Troia e Clitennestra. Si ritira nelle proprie stanze quando il figlio Telemaco la rimprovera, non cede alle lusinghe di altri uomini e rimane talmente impressionata dal possibile ritorno del caro marito che a difficoltà riesce a parlare o ad agire.

Questa è Penelope a una prima lettura, una figura cristallina eppure ordinaria, luminosa e stilizzata nell’attesa e nella solitudine, come a volte è raffigurata in anelli e urne funebri del periodo classico ateniese e nel mondo etrusco. Tuttavia, mai come nel caso di Penelope è importante osservare il rovescio della trama mitica, così da poter leggere gli intrecci più profondi che secoli di rielaborazioni hanno provato a occultare.

Anello d’oro con, sull’intaglio, Penelope in attesa di Odisseo. Siria, ultimo quarto del V secolo a.C. Cabinet des Médailles, Parigi

Anello d’oro con, sull’intaglio, Penelope in attesa di Odisseo. Siria, ultimo quarto del V secolo a.C. Cabinet des Médailles, Parigi

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Tra fili e volatili

Figlia d’Icario di Sparta, Penelope è in parte avvolta dalle brume del mistero. Secondo alcune versioni, da piccola sarebbe stata gettata in acqua dai genitori, che volevano liberarsene, per poi essere salvata da uno stormo di anatre. Da qui una possibile spiegazione del nome, derivato dal greco penelops, anatra od oca selvatica, animale che è inoltre il simbolo della fedeltà coniugale presso varie civiltà arcaiche. Non è un caso, quindi, che Penelope racconti a Odisseo il famoso sogno sull’aquila che uccide le oche né che, secoli dopo, un pittore attento quale Alberto Savinio raffiguri con il volto di un volatile proprio una moglie fedele, colta nell’atto di una metafisica attesa.

Un’ulteriore etimologia sarebbe da ricondurre invece al termine pene, filo o trama. Se, da un lato, la vicenda del poema omerico ruota attorno al celebre sudario di Laerte, nella cultura greca l’azione del filare rimanda a un ambito strettamente femminile. Ambito in cui, d’altronde, Penelope spicca come modello esemplare di donna che, nell’intimità dell’oikos, la casa, ordisce in silenzio la trama perché, una volta tornato, il marito possa in breve tempo ristabilire l’ordine. E difatti Penelope e Odisseo potrebbero – il condizionale, nel caso dell’ombrosa Penelope, pare d’obbligo – essere ricondotti a una coppia di divinità arcaiche, archetipi del viaggio iniziatico e della devozione coniugale.

'Penelope mentre disfa la tela alla luce della lampada', di Joseph Wright. 1785. Getty Center, Los Angeles

'Penelope mentre disfa la tela alla luce della lampada', di Joseph Wright. 1785. Getty Center, Los Angeles

Foto: Pubblico dominio

La scaltra Penelope

Dal mondo arcaico, sul quale non vi sono certezze, ai poemi omerici, anch’essi fonte di dubbi e congetture, il passaggio non è poi così breve. E Penelope va incontro a una trasformazione sostanziale e ambigua: sembra che l’Odissea, la prima opera in cui compare, abbia consentito la sua cristallizzazione in moglie devota, sebbene siano ormai in molti a sottolineare le numerose discrepanze del personaggio nello stesso componimento. Passate sotto la maglia dell’attento studioso, le reali intenzioni di Penelope, la sua attitudine nei confronti dei proci e di Odisseo destano ormai non poche perplessità. Innanzitutto, Penelope non è certo una donna sottomessa e passiva se da sola riesce a governare per vent’anni su un’isola, e a tenere lontani dal trono ben 108 giovani nobili. Del resto, più volte nel poema compare con l’epiteto perifron, scaltra, e non solo perché è dotata di metis, astuzia, al pari del marito.

Oltre a ciò, perché è l’unica a non credere al consorte fino alla fine, malgrado i rimbrotti del figlio, della nutrice e di Odisseo stesso? E, ancora, perché confida a uno sconosciuto e misero mendicante quale le appare Ulisse i propri intimi sogni, senza mantenere il giusto riserbo? O perché concede allo stesso di partecipare alla gara con l’arco, se non l’ha riconosciuto? La sua esitazione nel momento della scoperta di Ulisse risponde a vera emozione o a un certo disappunto? E chi assicura che Penelope non stia per cedere alle brame di un pretendente, quell’Antinoo che, secondo Apollodoro, sedurrà davvero la madre di Telemaco?

'Penelope e i proci'. Olio di John William Waterhouse, 1912. Aberdeen Art Gallery

'Penelope e i proci'. Olio di John William Waterhouse, 1912. Aberdeen Art Gallery

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Alla base di tali discordanze vi sarebbe, per alcuni, la particolare composizione di entrambi i poemi omerici. Secondo i cosiddetti analisti, ossia coloro che imputano la creazione dei poemi a più mani distinte nel tempo, solo in tal modo si potrebbero spiegare le stravaganze di Penelope: poiché la redazione scritta dell’Odissea avviene in momenti diversi, e grazie a figure diverse, non vi sarebbe stata unità d’intenti nel ritratto della regina d’Itaca, e certi brani sarebbero sdoppiamenti o interpolazioni di altri.

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La fedeltà e la pudicizia

Il fatto che Penelope non sia così pudica, o abbia ceduto alle tentazioni, s’insinua in opere successive, come appunto la Biblioteca di Apollodoro. Il mito si biforca: da un canto proliferano le produzioni, soprattutto iconografiche, in cui il motivo della fedeltà regna sovrano, dall’altro Penelope inizia ad accompagnarsi ad altri uomini, come il già menzionato Antinoo o Telegono, figlio di Odisseo e di Circe.

Solo in epoca romana si decide di fissare i tratti della figlia d’Icario, perché divenga un modello da imitare. Nelle Fabulae (I secolo d.C.) Igino inserisce Penelope nella lista delle donne più fedeli, accanto ad altre figure virtuose quali Alcesti e Lucrezia. Nelle coeve Heroides Ovidio dà la parola a Penelope, che si strugge per l’assenza dell’amato consorte. Nel mondo medievale una velata regina s’impone quale emblema della pudicizia, virtù cristiana che tutte le donne dovrebbero seguire. La scaltra Penelope è ormai solo devota Penelope, e così rimarrà per secoli e secoli.

Penelope in una miniatura illustrata del 'De mulieribus claris' di Boccaccio. XV-XVI secolo. Manoscritto 599, f. 34, Bibliothèque nationale de France, Parigi

Penelope in una miniatura illustrata del 'De mulieribus claris' di Boccaccio. XV-XVI secolo. Manoscritto 599, f. 34, Bibliothèque nationale de France, Parigi

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Finché, come molti altri miti, la portata iconoclasta del XX secolo conduce a ridimensionare la granitica e, per parecchi versi, maschilistica concezione della moglie di Odisseo: il velo le verrà tolto, lo sguardo indagato, le intenzioni e i desideri sondati, come fa Joyce nell’Ulysses (1922), quando trasforma la casta sposa in una sensuale e fedifraga Molly Bloom. Non solo: abbondano le riletture in chiave femminista di questa figura (almeno in apparenza) così sottomessa dell’Odissea. La filosofa Adriana Cavarero cerca di riconoscere nel pudore della regina la rivendicazione di un luogo solitario, lontano dalle convenzioni patriarcali; più poetesse ispano-americane, tra cui Claribel Alegría, Johanna Godoy e Gioconda Belli incitano al riscatto di Penelope e alla sua emancipazione da Odisseo; nel romanzo The Penelopiad (Il canto di Penelope, 2005) la scrittrice canadese Margaret Atwood assegna a una regina ormai defunta il dono della parola e la totale libertà sulle vicende dell’Odissea. La Penelope che emerge maestosa dalle pagine di Atwood è ironica, schietta e determinata. Estremamente intelligente, sa di dover nascondere questa sua dote per assicurarsi la sopravvivenza in uno spietato mondo di uomini. Al pari forse della sua antenata letteraria, la Penelope di Omero, che proprio grazie alle non troppo sincere spoglie da moglie docile e devota si è assicurata la fama eterna, nei secoli dei secoli dei secoli.

'Penelope', di Dante Gabriel Rossetti, 1869. Andrew Lloyd Webber Collection

'Penelope', di Dante Gabriel Rossetti, 1869. Andrew Lloyd Webber Collection

Foto: Pubblico dominio

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Per saperne di più

Elena e Penelope. Infedeltà e matrimonio. Giorgio Ieranò. Einaudi, Torino, 2021.

La morte di Penelope. Maria Grazia Ciani. Feltrinelli, Milano, 2021.

Itaca. Eroi, donne e potere tra vendetta e diritto. Eva Cantarella. Milano, Feltrinelli, 2002.

Penelope e le altre. Elena Rausa.

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