Pellegrino Artusi: l'Italia si fa (anche) in cucina

Da mercante a scrittore e gastronomo, Pellegrino Artusi scrisse il primo ricettario regionale dell'Italia unita

L'unità di un Paese passa anche attraverso la cucina. Ed è per questo che La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene, meglio conosciuto come "l'Artusi", diventò in breve tempo non solo un best seller fra cuochi e massaie del neonato regno d'Italia, ma anche un testo patriottico in uno stato che non parlava la stessa lingua.

Pellegrino Artusi in una fotografia del 1891

Pellegrino Artusi in una fotografia del 1891

Foto: Pubblico dominio

Gli anni tranquilli

Pellegrino Artusi nacque a Forlimpopoli (oggi provincia di Forlì), nello Stato Pontificio, il 4 agosto 1820. La madre si chiamava Teresa Giunchi, e dei tredici figli che mise al mondo ne sopravvissero solo sette, di cui Pellegrino era l'unico maschio. Il padre, Agostino, era un mercante di provincia piuttosto benestante che si era “fatto da sé”. Nel corso degli studi presso il seminario di Bertinoro, il giovane Pellegrino si appassionò alla letteratura, tanto che al momento di affrontare gli studi accademici optò per la facoltà di lettere di Bologna. Rientrato a Forlimpopoli, cominciò a lavorare affiancando il padre nell'attività di famiglia. Il mestiere richiedeva numerosi spostamenti per rifornirsi di merce o rivenderla. Per questo Pellegrino cominciò a viaggiare molto: non solo nelle fiere limitrofe come Senigallia, ma anche in zone più lontane dentro e fuori dallo Stato Pontificio: Bologna, Roma, Napoli, Trieste, Livorno e Firenze erano le sue mete ricorrenti. Artusi era dotato di uno spiccato fiuto per gli affari, e la sua vita trascorreva fra il tran tran dei viaggi e la solida serenità della vita borghese, finché un evento imprevisto la scosse dalle fondamenta.

Il terribile brigante Passatore

La sera del 25 gennaio 1851 la buona società di Forlimpopoli si trovava a teatro e venne sequestrata dalla feroce banda del brigante Stefano Pelloni, detto il Passatore. Pelloni era nato a Boncellino di Bagnacavallo, a una trentina di chilometri da Forlimpopoli, nel 1824; ultimo di dieci figli, aveva intrapreso la via dell'illegalità come molti contadini poveri della zona. La presenza del brigantaggio in Romagna era una realtà consolidata almeno dal XVI secolo, favorita dalle misere condizioni di vita dei braccianti della zona. Il congresso di Vienna del 1815 aveva ridefinito i confini della penisola confermando l'assegnazione della Romagna al reazionario Stato Pontificio. Questa scelta non era piaciuta a molti borghesi, che avevano fondato società segrete massoniche che spesso facevano leva sull'insoddisfazione popolare favorendo rivolte. Il fenomeno del brigantaggio s'inseriva dunque in questo scenario.

Ritratto del Passatore: rappresenta in realtà lo stereotipo di un brigante dell'Ottocento, ben lontano da come doveva apparire il Passatore

Ritratto del Passatore: rappresenta in realtà lo stereotipo di un brigante dell'Ottocento, ben lontano da come doveva apparire il Passatore

Foto: Aronchi, CC BY-SA 3.0, pubblico dominio

Fra i tanti, il Passatore passò alla storia per la sua proverbiale violenza. Persino il poeta Giovanni Pascoli gli dedicò dei versi: «Romagna solatìa/ dolce paese cui regnarono Guidi e Malatesta/ cui tenne pure il Passator cortese/ re della strada e re della foresta». Traghettatore di fiume come il padre (da qui il soprannome), fu proprio lavorando che Pelloni conobbe contrabbandieri e delinquenti di vario tipo: gente misera, che viveva ai margini della società, oppressa dai padroni. Crebbe in lui l'idea che l'unica via di riscatto per il popolino fosse la via della violenza contro i padroni. Si costituì così attorno alla sua figura una rete di alleati e seguaci molto nutrita (pare che la sua banda fosse costituita da circa 130 persone). Fra le azioni più celebri della masnada ci fu appunto il sequestro del teatro di Forlimpopoli. Durante l'intervallo i briganti salirono sul palco e puntando le armi sul pubblico rapirono gli esponenti più ricchi della città presenti in sala e li usarono come ostaggi per penetrare nelle loro case e depredarle.

Fra le vittime ci fu anche la famiglia Artusi, e in particolare Gertrude, una delle sorelle di Pellegrino, che venne stuprata e ne rimase sotto shock. In seguito a questo dramma venne internata in manicomio, dove morì all'età di quarantasette anni. La famiglia, per riprendersi dal trauma, si trasferì a Firenze dopo aver venduto la casa e il negozio.

La svolta fiorentina

Una volta trasferitosi nella città toscana, Artusi riprese la sua attività mercantile viaggiando per la penisola, occupandosi in particolare del commercio di sete e stoffe pregiate. In quel periodo, Firenze stava vivendo una fase di proficuo fermento intellettuale. Quando non era in viaggio, Pellegrino frequentava conferenze, lezioni pubbliche di storia naturale e antropologia. Nel 1865 Firenze divenne capitale del regno d'Italia. I genitori di Pellegrino erano ormai morti, le sorelle accasate, e lui, scapolo benestante, decise di ritirarsi a vita privata per dedicarsi, dopo una vita di fatiche, alla sua grande passione: la letteratura. Scrisse e pubblicò a proprie spese una biografia del Foscolo e delle Osservazioni in appendice a trenta lettere di Giuseppe Giusti. Ma le due opere non riscossero interesse, né di critica né di pubblico. La svolta arrivò (ma nemmeno questa immediata) con quello che forse nacque come un divertissement: il ricettario La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene.

Frontespizio della 1ª edizione (1891) de 'La scienza in cucina'

Frontespizio della 1ª edizione (1891) de 'La scienza in cucina'

Foto: Pubblico dominio

La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene

Artusi era un amante della buona tavola, ma non era un cuoco né un gastronomo. Osservava, assaggiava, valutava, studiava, ma era pur sempre un profano. Per questo quando decise di scrivere un ricettario pratico trovò un appoggio fondamentale in Marietta Sabatini, la sua cuoca toscana, e nel domestico Francesco Ruffilli, romagnolo.

L'opera conteneva 790 ricette e si rivolgeva a un pubblico casalingo, di massaie e domestiche che dovevano confrontarsi quotidianamente con la creazione di un menù di facile composizione, ricorrendo a prodotti locali e stagionali reperibili nei mercati rionali e nelle botteghe di quartiere. Alle ricette si affiancavano riflessioni dell'autore e godibili aneddoti, ma anche consigli d'igiene alimentare, economia domestica (nulla dev'essere sprecato, non mancano gli esempi di riutilizzo degli avanzi) e arte del ricevere.

Il dipinto 'Flitation' rappresenta una cucina di fine Ottocento

Il dipinto 'Flitation' rappresenta una cucina di fine Ottocento

Foto: Cordon Press

Ultimata la stesura dell'opera, Artusi cominciò a cercare un editore. Ma inizialmente trovò solo umiliazioni e porte chiuse in faccia. Nessuno voleva investire in un umile ricettario scritto da un autore che non era neppure del mestiere. Ma Artusi era tenace e alla fine accettò di pubblicare a proprie spese presso l'editore Landi, che ne fece stampare ben mille copie. Era il 1891, e La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene venne inizialmente accolto con tiepido interesse. Parallelamente, l'autore investì aquistando spazi pubblicitari su giornali e riviste allo scopo di vendere il libro per corrispondenza. Dopo un avvio stentato, finalmente il libro decollò. Nel 1900 l'editore milanese Bemporad affiancò Landi.

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Il successo dell' “Artusi”

Il successo fu tale che il libro venne ristampato quindici volte in vent'anni. La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene divenne presto noto semplicemente come “l'Artusi”. Ma quali erano le ragioni di un così travolgente successo? L'opera era stata pubblicata a trent'anni dall'Unità d'Italia, ma tale unità era rimasta spesso relegata al piano formale. I particolarismi regionali e i campanilismi prevalevano sul sentimento patriottico nelle masse popolari e la stessa lingua italiana era parlata da pochissime persone, mentre i dialetti mantenevano salda la loro postazione. E proprio sulla lingua Artusi operò un lavoro importante, ripulendola dai francesismi allora tanto in voga a vantaggio dell'italiano. Nella prefazione all'edizione del 1991, Piero Camporesi glie ne darà merito, paragonando La scienza in cucina agli altri due capisaldi della letteratura italiana ottocentesca: Pinocchio e il libro Cuore.

Ma è nei contenuti che spicca maggiormente la modernità dell'opera: Artusi, membro della Giovine Italia, mira a unificare il Paese anche attraverso il cesto della spesa. Vuole fornire alle massaie di tutta la penisola la possibilità di riprodurre piatti regionali con i prodotti che si potevano reperire con facilità ovunque.

Utensili di cucina di design italiano del 1861-1863

Utensili di cucina di design italiano del 1861-1863

Foto: Cordon Press

A onor di verità, va però detto che l'Italia di riferimento di Artusi è un'Italia centro-settentrionale, toscana e romagnola in primis, mentre è quasi assente il sud, eccezion fatta per la Campania e la Sicilia. Sardegna, Marche, Abruzzo, Calabria, Puglia e Basilicata non compaiono. Se però dalle ricette della raccolta artusiana manca il peperoncino tanto usato nel meridione, va a lui il merito di aver finalmente introdotto sulle tavole degli italiani del nord il pomodoro.

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