Un uomo solo, di circa 45 anni, prova a valicare le Alpi in pieno inverno. Si ferma per riposare e mangiare parte di quanto ha cacciato; si sente al sicuro. Giorni prima è rimasto coinvolto in una rissa e si è ferito alla mano destra, eppure ora è convinto di essersi lasciato alle spalle i nemici; non può certo immaginare che lo hanno inseguito a ben 3.210 metri di altitudine, nel ghiacciaio dove adesso si trova. Infatti non è solo. La neve attutisce i passi di qualcuno che, alle sue spalle, da circa 30 metri di distanza, scocca una freccia che gli perfora la spalla sinistra e lo ferisce a morte. L’uomo cade sbattendo la testa contro una pietra, o forse gli assestano un colpo, e muore dissanguato dopo una lunga agonia.
L’omicidio di Ötzi è avvenuto circa 5.300 anni fa, in piena Età del rame, ma ancora oggi è oggetto d’indagini. Il suo assassino non si è preso il disturbo di rubargli i preziosi beni che portava con sé: non era certo il furto l’obiettivo del crimine. Almeno questo è quanto credono i detective e gli scienziati come Frances Pryor e Albert Zink, che millenni dopo hanno analizzato il cadavere di Ötzi, scoperto quando lo scioglimento dei ghiacci nei quali era sepolto lo ha portato alla luce e ha consentito ad alcuni alpinisti di trovarlo sul massiccio di Ötztal – da qui il suo nome –, a 90 metri dalla frontiera austro-italiana.

Dettaglio del volto di Ötzi. Proviene da una ricostruzione realizzata nel 2011 dagli esperti olandesi Alfons e Adrie Kennis, oggi conservata nel Museo archeologico dell’Alto Adige, a Bolzano
Ricostruzione: Robert Clark / Getty Images
Da quel giorno di settembre del 1991 fino a oggi, quello di Ötzi è diventato uno dei corpi più studiati della storia. Ogni suo effetto personale, ogni suo abito e ogni tratto fisico e genetico è stato analizzato minuziosamente grazie all’eccezionale stato di conservazione del corpo e dell’equipaggiamento. «In genere di quel periodo, ovvero dell’Età del bronzo o del Mesolitico, si trovano tombe senza alcun corredo, ma gli oggetti di questa mummia hanno permesso di scoprire molto sulla vita di cinque millenni fa, un periodo di grandi mutamenti», afferma l’archeologa Maria Àngels Petit, dell’Università di Barcellona, che da anni segue le indagini su Ötzi. «Si fa fatica a immaginare che una persona in fuga potesse essere così ben attrezzata, ma si sa pure che a quell’epoca non mancavano gli scontri tra le diverse comunità». Proprio per questo Ötzi potrebbe essere stato costretto a scappare.
Nel tempo si sono succedute le analisi, e grazie al progresso della tecnologia si sono fatti passi da gigante sul mistero dell’“uomo dei ghiacci”. Grazie allo studio del suo DNA realizzato nel 2008 sappiamo che Ötzi ha ancora discendenti vivi dal ramo paterno in Corsica, in Sardegna e in Tirolo; il ramo materno, di origine alpina, è invece estinto. Il suo lignaggio, frutto della grande migrazione neolitica che dal Vicino Oriente si spostò in Europa circa ottomila anni fa, era molto comune all’epoca. Come afferma Carles Lalueza-Fox, esperto di DNA antico, il genoma di Ötzi rivela che gli attuali sardi discendono da una popolazione alquanto diffusa in quelle migrazioni. Il DNA di Ötzi fornisce anche molti indizi sul suo aspetto – aveva gli occhi marroni e i capelli castani – e sulla sua salute: era intollerante al lattosio e predisposto ad alcune malattie cardiache.

Panorama di una delle valli che formano la regione delle Alpi di Ötztal, o Alpi Venoste, la zona in cui visse Ötzi e dove fu misteriosamente assassinato
Foto: Riedmiller / Caro Photo / Cordon PressPanorama di una delle valli che formano la regione delle Alpi di Ötztal, o Alpi Venoste, la zona in cui visse Ötzi e dove fu misteriosamente assassinato
Cosa racconta la mummia di Ötzi
Non sappiamo perché l’abbiano ucciso, però conosciamo diversi dettagli sulla sua condizione fisica. Quest’individuo maturo, con il volto solcato dalle rughe e dalla corporatura abbastanza minuta – pesava 50 chili ed era alto 1,60 metri – aveva la malattia di Lyme, che si contrae in seguito al morso di una zecca. La scoperta della patologia si deve alla presenza del batterio borrelia burgdorferi nel sangue. Era affetto pure da parodontite, l’infiammazione delle gengive, da calcoli biliari e da un’artrite che cercava quasi sicuramente di combattere con tatuaggi terapeutici. Eppure, nonostante tutto, era riuscito a sopravvivere in un ambiente molto ostile.
Il suo equipaggiamento dimostra che era pronto per un lungo viaggio. Gli indumenti erano composti da cinque tipi di pelle: portava un berretto in pelle d’orso, una sopravveste di capra e pecora, gambali fino al ginocchio in cuoio di capra, dei calzoni e una cintura in pelle di vitello. Le scarpe avevano la suola in pelle d’orso e di cervo, una rete di corteccia di albero e un’imbottitura interna in paglia. Tutte le pelli avevano ricevuto un’accurata lavorazione che includeva la raschiatura, l’affumicatura e un trattamento con grasso per renderle impermeabili. Sul corpo portava un parapioggia, o una stuoia, di fibre vegetali intrecciate. Poiché i suoi strumenti e le armi erano logori o incompleti, si crede che fosse fuggito al volo dal suo luogo d’origine, proprio come se stesse scappando da qualcuno.
Ötzi è la più antica mummia umana mai trovata in Europa, testimone di un passato in cui un po’ per volta si evolvevano la tecnica e la cultura, ma nel quale la violenza era fin troppo presente. Forse un giorno la scienza riuscirà a comprendere il movente di questo crimine, che rimane ancor oggi un mistero.
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