«L’amore che non osa dire il suo nome […] a causa del quale sono giudicato oggi […] rappresenta una delle più nobili forme di affetto». Con queste parole lo scrittore irlandese Oscar Wilde concludeva la sua arringa nell’affollata aula di tribunale dove nel maggio del 1896 venne processato per omosessualità. Inizialmente la situazione si era sviluppata però in modo molto diverso: era stato l’autore di Il ritratto di Dorian Gray a dare avvio, nel ruolo di accusatore, al procedimento giudiziario che avrebbe finito per affossare la sua brillante carriera.
Oscar Wilde (a sinistra) seduto accanto ad Alfred Douglas in un ritratto in studio del 1894. British Library, Londra
Foto: British library / Aurimages
Wilde contro Queensberry
In quegli anni il suo amante era Alfred Douglas, un affascinante giovane che a partire dal 1891 lo accompagnava sempre in pubblico. Wilde era all’apice del successo, i suoi libri vendevano migliaia di copie e le sue opere teatrali erano portate in scena in tutto il mondo. Alfred e Oscar dilapidavano la fortuna accumulata da quest’ultimo tra ristoranti lussuosi, locali e nottate con altri uomini. Come molti loro contemporanei confidavano nel fatto che la società vittoriana – che pur concepiva l’omosessualità come una perversione – avrebbe chiuso un occhio su quello che ormai era un fatto di dominio pubblico. Ma la situazione si complicò quando il padre di Douglas scoprì la loro relazione.
Il marchese di Queensberry iniziò una vera e propria persecuzione nei confronti di Oscar Wilde. Per costringerlo a lasciare il figlio tentò persino di mandare all’aria una delle sue prime teatrali. Stanco di subire le sue angherie, lo scrittore provò a denunciare Queensberry in diverse occasioni, senza successo. Un giorno il marchese gli fece pervenire un biglietto che diceva: «A Oscar Wilde, che si atteggia come un sodomita». Il drammaturgo non ci pensò due volte: finalmente aveva una prova materiale dei continui soprusi.
Il biglietto del marchese di Queensberry a Oscar Wilde. National Archives, Londra
Foto: The national archives
Il suo avvocato tentò inutilmente di dissuaderlo. Anche Bosie, come Wilde chiamava il suo compagno, era favorevole a intraprendere la via giudiziaria: aveva un pessimo rapporto con il padre e sognava di vederlo messo pubblicamente alla gogna. Così, nel marzo 1895 Wilde fece causa a Queensberry per diffamazione, confidando di uscirne a testa alta. Il procedimento però si ritorse contro di lui. Queensberry e i suoi avvocati raccolsero numerose informazioni sulla sua vita privata e la difesa poté passare al contrattacco, pagando una dozzina di uomini per testimoniare che erano andati a letto con lo scrittore.
Venuto a conoscenza della strategia scelta dai suoi avversari, Wilde si presentò in tribunale senza più quel brio dimostrato nell’udienza iniziale. L’avvocato difensore del marchese lo sottopose a uno spietato interrogatorio cui lo scrittore cercò di sottrarsi grazie alla sua padronanza dell’arte oratoria. Negò di aver avuto qualsiasi rapporto fisico con i ragazzi che lo accusavano e quando gli fu chiesto se aveva baciato uno di loro, rispose: «Certo che no. È un ragazzo particolarmente noioso. E purtroppo anche piuttosto brutto». Questa e altre battute suscitarono le risate del pubblico, ma allo stesso tempo contribuirono a portare dalla parte di Queensberry i membri della giuria, che il 5 aprile emise un verdetto assolutorio nei confronti del marchese, ritenendo avvalorato quanto questi aveva scritto sul biglietto.
Di nuovo in tribunale
La vicenda avrebbe anche potuto finire lì, ma una lunga serie di fattori si allineò contro Wilde. Allarmata da quella che percepiva come una degenerazione della morale tradizionale, la società vittoriana chiedeva una maggior repressione dei comportamenti che fuoriuscivano dalla norma, come l’omosessualità. Nel 1885 era stata approvata una legge che definiva le relazioni sessuali tra uomini una «grave indecenza» punibile con la reclusione fino a due anni e con i lavori forzati. Grazie alla risonanza che avevano avuto sulla stampa, le accuse emerse contro lo scrittore durante il processo per diffamazione erano ormai sulla bocca di tutti e l’opinione pubblica premeva perché si aprisse un procedimento nei confronti di Wilde. Poche ore dopo la piena assoluzione di Queensberry, l’irlandese venne arrestato.
Il processo iniziò circa venti giorni dopo in un clima di grande concitazione. Dal banco degli imputati, Wilde dovette assistere a una sfilata di testimoni avversi, molti dei quali erano semplici ricattatori di professione che avevano offerto le proprie deposizioni in cambio di denaro. Nel corso del dibattimento si giunse ad ascoltare la testimonianza di una cameriera d’albergo per determinare se Wilde avesse commesso «un atto di sodomia» dallo stato delle lenzuola.
Illustrazioni del processo a Oscar Wilde apparse su un giornale londinese
Foto: British library / Album
Nonostante i colpi bassi, il drammaturgo non perse mai il suo brio né la sua verve. Quando gli fu chiesto perché frequentasse così tanti ragazzi, Wilde dichiarò di essere un «amante della gioventù». Quindi pronunciò il suo appassionato appello in difesa dell’«amore che non osa dire il suo nome», un’espressione tratta da una poesia dello stesso Alfred. Tra il pubblico presente in aula si diffuse l’impressione che Wilde stesse riuscendo ad accattivarsi la giuria, la quale infatti si dimostrò inizialmente incapace di raggiungere un accordo. Il processo dovette essere ripetuto, ma questa volta i giurati furono meno benevoli. Lo scrittore fu sul punto di svenire quando udì il giudice condannarlo a due anni di reclusione e ai lavori forzati per «indecenza grave». La stampa e il pubblico applaudirono la decisione.
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Prigione ed esilio
Nei due anni successivi Wilde conobbe di persona la durezza del modello carcerario vittoriano: razioni di cibo minime, divieto di parlare con gli altri detenuti e un isolamento dall’esterno alleviato unicamente da rare visite. Lo scrittore perse vari chili in poco tempo e la sua salute peggiorò visibilmente: un giorno svenne nella cappella riportando seri danni all’orecchio destro.
L’attenzione suscitata dal suo caso gli valse un miglioramento delle condizioni di detenzione: cambiò carcere in due occasioni e gli vennero forniti libri da leggere e materiale per scrivere. Poté così redigere una lunga e amareggiata lettera a Douglas, De Profundis, considerata una delle sue migliori opere in prosa.
Scontati i due anni di pena, Wilde fu rilasciato e andò in esilio a Parigi, dove scrisse La ballata del carcere di Reading, una denuncia delle condizioni delle prigioni vittoriane che ne promosse la riforma e rappresentò un successo editoriale assoluto. Ma questa fu la sua ultima opera: il poeta non riusciva a lasciarsi alle spalle la dura esperienza penitenziaria, né poté liberarsi dall’ostracismo sociale di cui fu vittima dopo la scarcerazione: molti dei suoi libri furono bruciati e le rappresentazioni dei suoi drammi furono proibite. Lui stesso era purtroppo ormai «riluttante a ridere della vita».
Il carcere di Reading, dove fu recluso Wilde, era stato costruito nel 1844 accanto alle rovine di un’abbazia del XII secolo
Foto: Graham Mulrooney / Alamy / ACI
Wilde rincontrò Alfred nel 1897. I due si diressero a Napoli, ma trascorsero insieme solo tre mesi. La moglie dello scrittore gli proibì di visitare i due figli, che non avrebbe più rivisto. Stufi delle sue continue richieste di denaro, molti amici gli voltarono le spalle, vergognandosi del fatto che continuasse a girare per Parigi in compagnia dei suoi giovani amanti. Inoltre continuava a soffrire per l’infezione all’orecchio contratta in prigione, probabilmente la causa della meningite che il 30 novembre del 1900 ne causò la morte.
Come Oscar Wilde, molti altri furono perseguitati in Gran Bretagna per il loro orientamento sessuale. La legge che proibiva l’omosessualità fu abrogata solo nel 1967. Poco prima di morire, lo sfortunato drammaturgo aveva dichiarato: «Non ho alcun dubbio che vinceremo. Ma la strada sarà lunga e costellata di supplizi tormentosi». Non si sbagliava.
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Per saperne di più
De Profundis. Oscar Wilde. Feltrinelli, Milano, 2014.
Oscar Wilde. Richard Ellman. Mondadori, Milano, 2001.