Una sigaretta tra le dita, il registratore a nastro nella mano destra, le pupille piantate negli occhi dell’interlocutore. Oriana Fallaci si fa ricordare così, lucida e tagliente come lo stile che ancora la contraddistingue, quello di un giornalismo libero, sfrontato, non vassallo del potere ma determinato a fronteggiarlo con coraggio e dignità. Per sessant’anni è stata testimone coraggiosa del XX secolo e dei conflitti che l’hanno segnato. Ha raccontato la storia vivendola sul campo, tra i tanti reporter che hanno rischiato la pelle per afferrare una verità diversa da quella dell’ “Occidente malato” – così lo definirà – talvolta miope verso ciò che accadeva al di là dei confini noti.
Oriana Fallaci in un autoritratto
Foto: Pubblico dominio
Orgogliosa, rivoluzionaria, il suo desiderio di libertà si traduce nella lotta contro ogni tipo di totalitarismo, senza distinzioni di credo o colore politico. L’incessante ricerca di risposte, il coraggio e la determinazione dimostrati sul campo ricordano l’importanza di perseguire la verità in tutte le sue sfaccettature. A sedici anni dalla sua scomparsa rimane una delle giornaliste italiane più note al mondo, al contempo criticata per la forza di alcune idee ma sempre apprezzata e rispettata per il suo modo di fare informazione.
Soldato della libertà
Oriana Fallaci nasce a Firenze il 29 giugno 1929. Il padre Edoardo è artigiano e militante nel Partito Socialista Italiano, la mamma Tosca Cantini è casalinga e sostenitrice della Resistenza. Entrambi amano leggere e fanno il possibile per trasmettere questa passione alle figlie. In casa allestiscono una “stanza dei libri”, dove Oriana, Neera e Paola leggono i classici e maturano la decisione di diventare – tutte e tre – giornaliste. In casa Fallaci si respirano gli ideali antifascisti. A soli 14 anni Oriana entra a far parte con il padre del gruppo partigiano Giustizia e libertà: si farà chiamare “Emilia”, nome di battaglia che l’accompagna durante le missioni di staffetta. Trasporta messaggi, pubblicazioni clandestine e materiale paracadutato dagli Alleati tra le colline fiorentine.
Nel 1943 la famiglia ospita due soldati britannici, cui Oriana cede la stanza per poi accompagnarli con il padre tra le fila della Resistenza, dove tornano a combattere. Dopo la Liberazione, Oriana viene congedata con il grado di “soldato semplice” dal corpo dei “Volontari della libertà”, comandato dal generale dell’esercito italiano Raffaele Cadorna. Per due anni è iscritta e partecipa attivamente al partito d’Azione, dove entra in contatto con personaggi simbolo della Resistenza che incarnano l’idea di eroe in grado di combinare coraggio, sacrificio e paura.
La giornalista e scrittrice Oriana Fallaci fotografata a Los Angeles il 4 aprile 1977
Foto: AP Photo / Gianangelo Pistoia
Sul ring del giornalismo
Dopo il diploma magistrale – maturato con un anno di anticipo – frequenta la facoltà di Medicina e in parallelo inizia a scrivere per il quotidiano Il mattino dell’Italia Centrale. La collaborazione diventa presto un’assunzione, che la porta a scegliere la strada del giornalismo e diventare “scrittore”, come lei ama definirsi, seguendo quell’impulso che la guiderà per tutta la vita e la carriera. L’attenzione ai dettagli, lo stile scattante e immediato la portano all’attenzione de L’Europeo, prestigiosa testata nazionale, per cui scrive il primo articolo nel 1951 e viene assunta nel 1955. Lì rimane per dodici anni, in cui tenta di smarcare la propria identità di giornalista dalle tematiche rosa cui lei e le (poche) altre colleghe dell’epoca erano relegate nel lavoro di redazione.
Nel 1954 coglie la prima occasione e in un viaggio stampa a Teheran intervista Soraya, la moglie dell’ultimo Scià di Persia. È il primo passo verso la politica, sua grande passione: complici diversi viaggi negli Stati Uniti, Oriana inizia a ritagliarsi spazio e fama di giornalista. Fa domande mirate, taglienti, preparate con cura durante le fasi di studio che precedono ogni suo incontro. Le risposte sono registrate su nastro, per non perdere parole, frasi, esitazioni. Le sue interviste sono confronti sul ring, in cui l’unica regola è l’osservazione dei fatti e delle fonti, consapevole che non c’è una sola verità.
Oriana Fallaci intervista l'ayatollah Khomeini
Foto: Pubblico dominio
Da New York alla Luna
Alla carriera giornalistica Oriana affianca la stesura dei primi libri: Nel 1958 I sette peccati di Hollywood raccoglie gli articoli dedicati al jet set del grande schermo a stelle e strisce, pubblicati su L’Europeo. Nel 1961 Il sesso inutile affronta il tema della condizione femminile nel mondo. L’anno successivo esce Penelope alla Guerra, ispirato all’infanzia partigiana, cui segue Gli antipatici (1963), una raccolta di ritratti non sempre lusinghieri delle celebrità internazionali, tra cui Ingrid Bergman, Salvatore Quasimodo, Alfred Hitchcock, Nilde Iotti.
Il successo non tarda ad arrivare, con il desiderio di trasferirsi nella “grande mela” per proseguire la propria carriera. Nel 1963 approda a Manhattan, che dopo l’amata Firenze sarà la sua seconda casa. Sono gli anni settanta, e Oriana assiste come tanti alla contesa della Luna, giocata tra sovietici e americani. Una trasposizione quasi magica della Guerra Fredda che imperversa tra i due fronti del mondo. A questo tema dedica due libri, Se il sole muore e Quel giorno sulla luna. È il suo modo di avvicinarsi alla politica da una prospettiva non convenzionale e recuperare il contatto con gli “eroi” che stavolta indossano tute da astronauti, la cui sfida si gioca su nuovi confini di libertà.
Alle radici dell’uomo
Nel 1968 Oriana Fallaci raggiunge il Vietnam, unica reporter italiana al confine di fuoco con il nemico. Si reca al fronte della battaglia di Dak To con i soldati americani, che spesso la osservano scuotendo la testa. Con lei altri bao-chi, giornalisti in prima linea per cercare di dipanare la matassa d’informazioni contrastanti che arrivano all’Occidente. I reportage pubblicati su L’Europeo mostrano le ferite civili del conflitto e il coraggio delle temutissime "ragazze vietkong", che s’innesta nella rivoluzione femminile alle porte. Tra le pagine di Niente e così sia – pubblicato l’anno seguente – racconta la guerra di resistenza contro gli Stati Uniti. La giornalista sosterrà più volte l’inutilità della guerra condannando “gli uomini che ammazzano gli uomini”, vittime e carnefici al contempo, che nel conflitto rivelano la propria natura.
Asia, Sudamerica, Medioriente. Oriana viaggia e raggiunge i punti più caldi del globo per raccontare sul campo i principali conflitti, mostrando le ferite civili che le questioni politiche e militari trascinano con sé. In quegli anni colleziona una serie d’interviste esclusive ai “grandi” della storia contemporanea. Nel corso della sua carriera si trova faccia a faccia con Henry Kissinger, Deng Xiapoing, Gheddafi e l’Ayatollah Khomeini. Di fronte a quest’ultimo si sfila lo chador che le copre il capo interrompendo bruscamente l’intervista, in un estremo gesto di rivendicazione femminile. Coraggio e abnegazione le costeranno una pallottola in corpo, quando nel 1968 a città del Messico assiste ad una manifestazione studentesca, soffocata nel sangue dall’irruzione “pazza e violenta” di militari e polizia. Un’esperienza drammatica che non ferma il suo desiderio di esserci, osservare, raccontare.
Oriana Fallaci, colpita da un proiettile durante una manifestazione a Città del Messico, mentre è ancora in ospedale racconta la sua esperienza. 3 ottobre 1968
Foto: Gtres
Non perderti nessun articolo! Iscriviti alla newsletter settimanale di Storica!
L’amore inafferrabile
Nel 1975 pubblica Lettera a un bambino mai nato, testamento spirituale in cui la donna elabora il lutto di due aborti spontanei, vissuti in un dolore silenzioso. Ai figli concepiti ma mai conosciuti rivolge riflessioni e parole che non potrà condividere, se non con un foglio di carta. Emerge il lato più fragile della scrittrice, che oltre a riflettere sul tema del diritto alla vita – da lei sempre sostenuto – s’interroga sulla fragilità della stessa e riconosce l’importanza di avere una chance.
Nel 1979 pubblica Un uomo, dedicato ad Alexandros Panagulis, intellettuale democratico e rivoluzionario avverso alla dittatura greca dei Colonnelli. Si tratta di un testo autobiografico iniziato da Alekos stesso in carcere, dove aveva trascorso il tempo della detenzione leggendo libri e articoli della Fallaci. «Ci siamo conosciuti e riconosciuti», scrive lei, raccontando il legame indissolubile maturato in tre anni di relazione, strappato il primo maggio 1976. Alekos muore in un incidente d’auto dalle circostanze ancora poco chiare. Oriana chiede giustizia: la sua testimonianza si traduce nel libro dedicato al compagno, in cui raccoglie l’eredità morale e il suono dell’assenza di quell’uomo, un po’ eroe e un po’ «poeta».
Alexandros Panagulis in visita alla Camera dei deputati
Foto: Pubblico dominio
La rabbia e l’orgoglio
Dopo la morte di Panagulis, Oriana abbandona il giornalismo e si dedica alla scrittura di libri come Insciallah (1990), in cui racconta la guerra civile vissuta in Libano nel 1983 e assume una dura posizione contro il fondamentalismo islamico, quando ancora sembrava lontano dall’Occidente. Le sue parole fanno discutere ma riscuotono un successo tale da esigere la traduzione di diverse opere, che Oriana cura personalmente dimenticandosi del resto, compresa la salute. Nel 1992 un tumore al seno la costringe a fare i conti con il tempo e con la morte, stavolta in una guerra intima e individuale. La malattia non la allontana dal desiderio di scrivere: progetta un romanzo dedicato alla sua famiglia, che sarà pubblicato postumo con il titolo Un cappello pieno di ciliegie (2008).
L'11 settembre 2001 l’attacco terroristico al World Trade Center sconquassa il mondo. Oriana si trova nella sua New York quando le Twin Towers crollano come castelli di carta. Il 29 settembre sul Corriere della sera esce un suo articolo dal titolo La rabbia e l’orgoglio, con cui la giornalista rompe il silenzio. Ripercorre l’orrore e condanna il fondamentalismo islamico, rivolgendo una dura critica all’Occidente per la mancanza di coraggio e passione nel difendere la propria identità e libertà. Dall’articolo sviluppa un libro omonimo, primo di una trilogia che include La forza della Ragione e Oriana Fallaci intervista se stessa, pubblicati tra il 2001 e il 2004.
«Niente è peggiore del niente»
La stesura delle ultime pubblicazioni richiede tutte le sue energie, ma come ricorda la scrittrice, «i miei libri sono i miei figli, e come tali li concepisco». Rifiuta di abbandonare lavoro per operarsi. «Ci pensai una lunga e tormentosa notte poi scelsi la seconda soluzione», afferma in un’intervista. Nel frattempo, «l’alieno» si fa strada, invasore i un corpo che finora non si era fermato né piegato. Oriana non smette di fumare, non smette di combatterlo. Lo fa pensando al prossimo libro, quello che ancora non ha cominciato ma che intende scrivere e pubblicare, in barba al cancro.
Nell’estate del 2006 torna nella sua Firenze, dove muore il 15 settembre. Sulla sua lapide si legge “Oriana Fallaci. Scrittore”. Al maschile, il mestiere che fin da bambina ha desiderato fare. I suoi libri sono il testamento di una donna che ha guardato più volte la morte negli occhi, com’era solita fare durante le sue interviste, per rendere omaggio a quella vita «amata disperatamente», anche nei momenti più neri. «Sono sempre stata contenta di essere nata»; afferma in una delle ultime apparizioni televisive, riprendendo un pensiero scritto nella sua Lettera a un bambino mai nato. «Se uno muore – scriveva – vuol dire che è nato, che è uscito dal niente, e niente è peggiore del niente: il brutto è dover dire di non esserci stato».
La tomba di Oriana Fallaci al Cimitero Evangelico agli Allori di Firenze (Settore I - XV - 10)
Foto: Di I, Cyberuly, CC BY 2.5, shorturl.at/alrHY
Per rimanere aggiornato e ricevere gli articoli di Storica direttamente sulla tua email, iscriviti QUI alla nostra newsletter settimanale!