La musica nell’antico Egitto

La musica scandiva la vita quotidiana nel Paese del Nilo: impiegata nelle cerimonie religiose, allietava le orecchie del faraone, accompagnava i funerali e dava vigore all’esercito in marcia ed era amata anche dalle divinità

La musica nell’antico Egitto era protagonista di tanti momenti della vita quotidiana, della vita del faraone e del culto religioso. Purtroppo non si è conservata alcuna notazione musicale, ma si sa che i temi venivano tramandati oralmente e il musicista improvvisava su di essi a seconda della sua abilità. Nel caso di un’orchestra era sempre presente il chironomio – una figura assimilabile all’attuale direttore d’orchestra – che, attraverso i gesti delle mani, indicava ai musicisti il tempo da seguire. Ci sono documenti che attestano l’esistenza di scuole di musica presso la corte del faraone e nei templi, ma è certo che l'iniziazione alla musica avveniva in seno alla famiglia.

Che gli egizi amassero la musica è ampiamente dimostrato dalla documentazione ricca e variegata conservatasi, per esempio, sulle pareti delle tombe, nei papiri, nei piccoli oggetti della vita quotidiana fino ad arrivare agli strumenti veri e propri, perfettamente preservati dal clima arido e secco del deserto.

Cantanti, musiciste e ballerine in un banchetto. Affresco rinvenuto nella tomba del nobile Nebamon (Nuovo regno)

Cantanti, musiciste e ballerine in un banchetto. Affresco rinvenuto nella tomba del nobile Nebamon (Nuovo regno)

Foto: Lebrecht / Cordon Press

Gli strumenti musicali

L’amore per la musica nasce ai primordi della storia egizia. Il primo “strumento” musicale fu il battito delle mani poi sostituito da battacchi o placchette, molto simili alle nacchere, che spesso hanno proprio la forma di una mano. Tra i più antichi e famosi strumenti si trova il sistro, sescescet in egizio, sacro alla dea Hathor. Era formato da una lamina di bronzo piegata a ferro di cavallo allungato nella quale venivano inserite trasversalmente tre o più barrette mobili ripiegate all’estremità. Per farlo suonare bastava impugnare il manico e agitare lo strumento: in questo modo le asticelle risuonavano percuotendo il telaio in cui erano collocate. Il sistro era uno strumento musicale femminile e veniva utilizzato da sacerdotesse, principesse e regine durante le cerimonie religiose. Questo strumento è tuttora utilizzato nella liturgia cristiana della chiesa copta in Etiopia.

Altro strumento molto antico è il flauto obliquo, che poteva raggiungere quasi un metro di lunghezza. Era dotato di tre o quattro fori, e in egizio si chiamava mat, uno strumento maschile molto simile al nay tuttora in uso in Persia, Egitto Turchia e Arabia. Dal Nuovo regno (1539-1069 a.C.) cominciarono ad arrivare in Egitto strumenti dal Vicino Oriente come il doppio oboe, strumento prettamente femminile che però non era disdegnato neppure dagli uomini, tanto che il re Tolomeo XII fu soprannominato aulete, ovvero suonatore di oboe. L’oboe, o geni, piano piano sostituì il più antico doppio clarinetto, o memet, uno strumento tipicamente maschile ancora oggi apprezzato in Egitto e Medio Oriente. Dall’Oriente arrivarono anche il lituo, o ghenghenti, sia maschile che femminile utilizzato in versione solista ma anche in orchestre; e la lira, keniniur, che in Mesopotamia nasce come strumento solista e maschile mentre in Egitto diventa strumento femminile suonato all’interno di orchestre. Infine l’arpa, uno degli strumenti più amati e rappresentati sulle pareti delle tombe. Suonata sia da uomini sia da donne, ne esistono vari modelli: benet, giagiat o giagia. Quest’ultimo, di origine mesopotamica, veniva suonato con entrambe le mani e senza l’ausilio di un plettro, come invece avveniva nella sua patria.

Flauto egizio in osso risalente al Periodo tolemaico e rinvenuto ad Alessandria

Flauto egizio in osso risalente al Periodo tolemaico e rinvenuto ad Alessandria

Foto: Werner Forman Archive / Graeco-Rom

Musica e divinità

Musicisti, uomini e donne, erano parte integrante del personale del tempio e già dall’Antico regno (2575-2125 a.C.) sono documentate delle vere e proprie “Compagnie dei musicisti del tempio”, la cui direzione era affidata a donne di alto rango. Nei luoghi sacri gli eventi musicali erano all’ordine del giorno e si eseguivano veri e propri concerti in onore degli dei. La musica era un’offerta che le divinità amavano allo stesso modo di quelle più materiali come cibi e bevande. Molti strumenti musicali erano decorati con immagini divine e anche se non esisteva una vera e propria divinità della musica alcune le erano particolarmente legate. È il caso della dea Hathor, il cui strumento sacro era il sistro, e il dio Bes, che spesso suonava un tamburello o un arpa mentre seguiva il corteo festoso della dea Hathor.

Un inno alla dea recita queste parole:
«Signora dell’allegria,
Signora dell’esultanza,
per la maestà della quale si fa musica […]
Tu sei la signora della danza,
Signora dei canti e della danza con il lituo».

Sistro metallico. 350 a.C. Museo egizio di Berlino

Sistro metallico. 350 a.C. Museo egizio di Berlino

Foto: Pubblico dominio

Musica e guerra

La musica accompagnava anche le marce dei soldati per dare forza e vigore all’esercito. Gli strumenti legati alla guerra erano il tamburo, kemkem, suonato anche nel corso di alcune cerimonie religiose. Poteva essere di varie dimensioni e avere forma cilindrica o a barile. Alla struttura di legno o metallo venivano fissate con chiodi, lacci o colla delle membrane di cuoio. Molte immagini del tamburo risalgono al Nuovo Regno e lo raffigurano in mano a soldati, di solito nubiani, il che fa pensare ad una sua origine africana. La tromba, sceneb, si trova in molte rappresentazioni in cui i soldati vincitori ballano al suo suono. Nella tomba di Tutankhmon vennero ritrovate due trombe, una d’argento e una di rame, che, rimaste in silenzio per oltre tremila anni, vennero fatte suonare per la BBC il 16 aprile del 1939.

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Musica ed ebrezza

Nell'antico Egitto era d’uso comune decorare le tombe con scene di vita quotidiana che ritraevano il defunto insieme ai suoi famigliari mentre banchettava, sorseggiava una coppa di buon vino, o ammirava le danze sensuali di ballerine dai corpi sottili. Il disegno, per gli egizi, era magico: le rappresentazioni di determinate scene avrebbero permesso che queste divenissero realtà all'interno dei sepolcri. Di conseguenza anche la musica avrebbe allietato l'altra vita del defunto una volta che questi fosse giunto nell'aldilà. Dalla necropoli tebana dei nobili del Nuovo regno proviene «la più ricca discografia di tutto l'Egitto antico», per usare le parole dell'egittologo Valerio Simini. Ovviamente si tratta di una discografia muta, ma che ci regala le immagini degli strumenti utilizzati e il testo delle canzoni che li accompagnavano. I testi possono parlare di amore familiare, come accade nella tomba tebana (numero 50) di Neferhotep, vissuto durante il regno di Horemheb, dove la figlia intona un canto in onore del padre accompagnandosi con il liuto:

«Sono io tua figlia, che ama il tuo cuore,
la prima che da te è uscita.
Io prego perché tu sia sano
e le [tue] membra vigorose».

Musicisti partecipano a un banchetto. Affresco rinvenuto nella tomba di Djeserkaraseneb, un nobile del Nuovo regno.

Musicisti partecipano a un banchetto. Affresco rinvenuto nella tomba di Djeserkaraseneb, un nobile del Nuovo regno.

Foto: Lebrecht / Cordon Press

Ma l’immagine più rappresentativa che compare nel Medio regno ( 2010-1630 a.C.) e che nel Nuovo regno diventa un “classico”, è quella dell’arpista che suona il suo strumento musicale intonando un canto mentre i commensali banchettano. Questi musicisti sono stati definiti “eretici” perché i testi delle loro canzoni sono pieni di scetticismo verso un aldilà di cui si mette in dubbio l’esistenza. Sono canti che s'interrogano sulla finitezza umana e sull’imperativo di cogliere l’attimo e di godere dei piaceri della vita prima che la morte ce li porti via. Il più famoso testo di questo tipo è certamente quello chiamato “Canto che si trova nella tomba del re Antef, proclamato giusto, che sta di fronte al cantante arpista”. È stato ritrovato scritto su un papiro, il papiro Harris 500 ora al British Museum, e inciso su di una tomba a Saqqara del Nuovo Regno. In un brano si legge:

«Segui il tuo cuore e la tua felicità,
compi il tuo destino sulla terra.
Non affannare il tuo cuore,
finche non venga il giorno della lamentazione [ la morte].
Ma non ode la lamentazione
colui che ha il cuore stanco [il defunto]:
i loro pianti,
non salvano nessuno dalla tomba.
Pensaci,
passa un giorno felice
e non te ne stancare.
Vedi, non c’è chi porta con sé i propri beni,
vedi, non torna chi se n’è andato.»

Nella tomba tebana (numero 77) di Ptahemhat, vissuto durante il regno di Thutmosi IV, si trova una canzone che dice :

«Bevi fino a che non sei ubriaco e festeggia!»

In una tomba tebana di Inheretkhaui (numero 359) di epoca ramesside un canto si conclude così:

«Dona ubriachezza al tuo cuore nel corso di ogni giorno finché non giunga il giorno dell’approdo!»

Il giorno dell’approdo è quello della morte e solo lasciandosi andare ai piaceri della vita, soprattutto attraverso l’ebrezza, si possono dimenticare le pene e godere del singolo momento. Hathor, dea dell’amore, della sessualità, della gioia e della musica, era anche la dea dell’ebrezza e patrona della necropoli tebana. Musica e tombe hanno dunque uno stesso comune denominatore: la bellissima dea Hathor.

A sinistra, nacchere egizie, in legno, con incisa la testa della dea Hathor. Nuovo regno. A destra, cembalo in bronzo e frammenti di un sistro. Periodo tardo

A sinistra, nacchere egizie, in legno, con incisa la testa della dea Hathor. Nuovo regno. A destra, cembalo in bronzo e frammenti di un sistro. Periodo tardo

Foto: World History Archive / Cordon Press

Purtroppo non abbiamo testi egizi che ci spieghino lo svolgimento di un banchetto ma Erodoto ( Le Storie II,78) ce ne lascia una testimonianza che, anche se non fosse del tutto veritiera, rende bene l’idea dell’importanza del cogliere l’attimo come fuga dal pensiero della morte. Secondo lo storico greco, «alle riunioni dei benestanti, appena si è finito di mangiare, un uomo porta in giro una scultura di legno raffigurante un cadavere nella sua bara, imitato alla perfezione nell’intaglio e nei colori, e lungo in tutto uno o due cubiti, e mostrandolo a ciascuno dei convitati dice: "Guardalo e bevi e divertiti: quando sarai morto sarai anche tu così". Questo fanno quando sono riuniti per bere».

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Per saperne di più
Sono venuta correndo a cercarti. Canzoni e musica nell’antico Egitto. Marilina Betrò, Valerio Simini. Edizioni ETS, Pisa 2009

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