A Venezia per molti secoli, a partire dal tredicesimo, il Carnevale poteva avere inizio anche alla fine dell’estate, cioè il primo ottobre, quando grazie ad apposite licenze era possibile andare in giro mascherati. Generalmente cominciava a dicembre e si protraeva fino alla Quaresima. Molti viaggiatori che arrivavano a Venezia rimanevano stupefatti quando continuavano a imbattersi in persone mascherate. Secondo quanto narrato dallo scrittore francese Charles De Brosses nelle sue Lettres familières écrites d’Italie en 1739 et 1740, «per sei mesi tutti i veneziani indossano la maschera; anche i sacerdoti, il nunzio e il guardiano dei cappuccini; è questo il costume d’ordinanza, tanto che si dice che i curati non sarebbero stati riconosciuti dai loro parrocchiani e l’arcivescovo dai suoi clerici, se non avessero avuto la maschera a mano o sul naso. Si diceva che alcune madri mettessero la maschera anche ai lattanti. Tutti andavano in questa guisa per le calli, nelle case da gioco, nei teatri e anche ai balli che alcuni organizzavano e che costituivano uno dei divertimenti più frequentati».
La moda delle maschere si diffuse in tutta Europa, specie nella forma del ballo in maschera, che si teneva soprattutto nel periodo canonico del Carnevale. A Parigi, dall’inizio del XVIII secolo, durante il Carnevale i balli in costume costituivano il divertimento di migliaia di persone per notti intere. Così riporta il tedesco Joachim Christoph Nemeitz, che trascorse una stagione a Parigi poco prima della morte di Luigi XIV (1715) e durante la reggenza di Filippo II di Borbone-Orléans (1715-1723), in cui il Paese si abbandonò alla spensieratezza e all’edonismo dopo le guerre che avevano contrassegnato il regno del Re Sole. Nemeitz spiega che i grandi aristocratici organizzavano nei loro palazzi splendidi balli a cui partecipavano in centinaia se non in migliaia, tutti mascherati e con costumi variopinti.
Saloni sovraffollati
Nel 1714, per esempio, il duca di Berry diede balli per tre mesi, in cui «tutto era maestoso: la musica, le bevande, i confit, il servizio. Partecipavano più di 3000 maschere, fra cui il duca e la duchessa, tutti i principi, le principesse e altri grandi signori della corte, e un gran numero dei più importanti cittadini di Parigi. Duravano fino al mattino». Altri balli erano quelli organizzati dal duca di Borbone-Condé, dal principe Borbone-Conti, dalla duchessa di Maine, dall’ambasciatore di Sicilia e da quello di Spagna, il duca di Osuna, che dava balli due volte la settimana, spendendo «ingenti somme».
Ad alcuni balli l’accesso era libero e le sale erano sovraffollate. Per altri era richiesto l’invito o venivano chiuse le porte quando lo spazio si era colmato. Poiché questi balli privati non esaurivano la voglia di divertirsi dei parigini, nel 1716 il duca d’Orléans autorizzò la creazione di un ballo pubblico, il «ballo dell’Opéra», chiamato così perché veniva organizzato in quel teatro. Per l’occasione la platea era sollevata all’altezza della scena, così la capacità era molto superiore a quella dei saloni nei palazzi privati. Durante la stagione del Carnevale il ballo dell’Opéra si teneva tre giorni alla settimana: il lunedì, il mercoledì e il sabato.
Nella scelta di maschere e costumi con cui si partecipava ai balli era espressa la più grande inventiva. Il luterano Nemeitz ne rimase profondamente colpito: «Si ha la libertà di presentarsi con qualsiasi tipo di maschera: uomini vestiti da donne, donne vestite da uomini; con maschere di ogni paese, di ogni epoca, di ogni estrazione, per quanto strane e assurde siano. Qui tutto è permesso, e quanto più una maschera è rara, tanto più viene ammirata».
Uomo con bautta, un costume composto da un mantello nero; da una maschera, e da un cappello a due o tre punte . Dettaglio di 'Il rinoceronte', di Pietro Longhi
Identità celate
In mancanza di un costume stravagante si indossava il domino, un ampio mantello con cappuccio che svolgeva la funzione di celare l’identità. I balli iniziavano a entrare nel vivo verso mezzanotte e duravano fino all’alba. Gli ambienti erano profusamente illuminati; la sala dell’Opéra aveva decine di lampadari, oltre a candelabri e lanterne nelle anticamere e nei corridoi. All’Opéra l’orchestra, composta da trenta musicisti, dopo aver suonato una musica che dava inizio al ballo si separava disponendosi su due lati della sala. Si ballavano le danze alla moda all’epoca: minuetto, gavotta, contredanse, sarabanda.
In realtà, spesso era arduo fare un passo di danza nelle sale sovraffollate. Lo stesso Nemeitz parla di un ballo in cui «il numero di maschere era tanto considerevole che si riusciva a stento a muoversi nelle sale. Bisognava rimanere fermi nel punto in cui ci si trovava, e le maschere che desideravano danzare non avevano spazio. Ci si poteva ritenere fortunati se si riusciva ad afferrare una coppa di liquore o un’altra bevanda al buffet». Tuttavia, questo affollamento piaceva. Nel XVIII secolo il cronista Louis-Sébastien Mercier scriveva: «Un ballo viene considerato di successo quando qualcuno viene schiacciato; più gente è presente, più il giorno seguente si è felici di aver assistito».
Non perderti nessun articolo! Iscriviti alla newsletter settimanale di Storica!
Confusione e dissolutezza
I balli in maschera contavano su un servizio di vigilanza. Il duca di Berry, per esempio, teneva le sue guardie «tutta la notte con le armi in mano, sia per sfilare, sia per impedire disordini». Altrove invece non ci si prendeva cura di questo aspetto, e allora succedevano «cose orribili», secondo Nemeitz. Per timore di questi incidenti le donne venivano sempre accompagnate, anche se non necessariamente dai mariti o dai promessi. Grazie alla maschera, chiunque poteva avventurarsi in un ballo senza timore di essere riconosciuto, in cerca delle emozioni tipiche del Carnevale. Le differenze sociali non avevano importanza, anche se, secondo Mercier, i gesti e il modo di parlare denunciavano la classe sociale di appartenenza, almeno fra le donne: «Prostitute, duchesse e borghesi si celano sotto un identico domino, ma si distinguono; si distinguono molto meno gli uomini; e questo prova che le donne hanno sfumature più fini e più caratteristiche».
La fine con la Rivoluzione
I balli in maschera erano l’occasione ideale per le avventure galanti. Nemeitz racconta di un uomo che, «volendo cercare avventura a un ballo, abbordò una maschera senza riconoscere né il costume, né la voce». Era la moglie che, cambiato costume e camuffata la voce, era a sua volta in cerca di un’avventura. Nel 1781 un incendio distrusse il teatro dell’Opéra, e questo obbligò a cambiare la sede del grande ballo in maschera di Carnevale. Scoppiata la Rivoluzione, le maschere vennero proibite e si interruppe la tradizione dei balli, che ritorneranno nel 1799, senza però lo spirito festoso del passato, secondo alcuni contemporanei: «La gente non ballava, passeggiava platonicamente al suono di una musica cui non prestava troppa attenzione. La Rivoluzione aveva lasciato negli animi un umore grave che dominava i caratteri anche nei momenti di svago». Si perse anche l’eterogeneità sociale: vi erano solo uomini e donne «della migliore società».
Il ballo dei tassi. Incisione di Nicolas Cochin
Nella notte fra il 25 e il 26 di febbraio del 1745 ebbe luogo nel palazzo di Versailles un fastoso ballo di Carnevale, organizzato dal Luigi XV in occasione del matrimonio fra il Delfino e l’Infanta Maria Teresa di Spagna. L’evento si svolse in varie sale del palazzo, fra queste la galleria degli specchi e il salone d’Ercole, e riunì migliaia di persone; chiunque avesse una maschera in mano era il benvenuto. Venne chiamato bal des ifs o “ballo dei tassi”, per via del travestimento da questo albero che alcuni invitati indossavano. Il ballo passò alla storia poiché vi ebbe luogo il “colpo di fulmine” fra Luigi XV e la giovane Jeanne-Antoinette Poisson, futura marchesa di Pompadour, che si presentò travestita da pastorella e lasciò allusivamente cadere il suo fazzoletto davanti al sovrano.
Se vuoi ricevere la nostra newsletter settimanale, iscriviti subito!