L’antica Micene è conosciuta per aver dato il nome alla civiltà che dominò la Grecia continentale e le isole dell’Egeo tra il 1600 e il 1200 a.C. circa. L’Odissea, e soprattutto l’Iliade, i poemi epici attribuiti a Omero, descrivono la Grecia di quell’epoca come una terra divisa in piccoli regni, ognuno dei quali era organizzato attorno a una città principale, che era protetta da una poderosa fortezza. Qui risiedevano l’aristocrazia guerriera e il sovrano che viveva a palazzo. La maggior parte della popolazione si dedicava all’agricoltura, all’allevamento e ai lavori artigianali. Lo strato più basso della società era rappresentato dagli schiavi. Il palazzo era il nucleo del potere del re nonché l’espressione di un sistema di governo centralizzato, che controllava la redistribuzione dei beni e l’approvvigionamento di alimenti (grano, olio, miele, capi di bestiame…), materie prime (metalli, pelli, tele…) e manufatti (dalle armi ai mobili).
Un’enorme falsa volta domina la camera funeraria di questa tomba micenea del XIV secolo a.C.
Foto: P. Eastland/Alamy/Aci
Armi per i nobili
Nel tentativo di ricostruire la vita quotidiana della popolazione di Micene, gli archeologi hanno effettuato scavi tra i resti del palazzo e delle case, ma non sono riusciti a ottenere molte informazioni. Invece le varie tombe ritrovate in città hanno consentito di conoscere non solo le pratiche funerarie di quegli antichi greci, ma anche un aspetto di grande importanza della loro mentalità: la cultura militare e guerriera. I corredi funerari maschili ritrovati a Micene spiccano infatti per la grande abbondanza di armi, di solito in bronzo. Sono state rinvenute spade di diverse lunghezze accuratamente decorate, daghe, archi e frecce, nonché lance con punte di silicio o di ossidiana, un minerale che può essere più affilato del metallo. Le pitture, poi, rivelano che i guerrieri micenei si proteggevano con grandi scudi rettangolari o a forma di otto – purtroppo non conservatisi – che si fabbricavano sovrapponendo vari strati di pelle lavorata. Chi poteva permetterselo si procurava il caratteristico elmo miceneo a zanne di cinghiale, mentre gli altri dovevano accontentarsi di un casco di cuoio.
Nella foto il Tesoro di Atreo
Foto: Hercules Milas/Alamy/Aci
Anche se le armi dei corredi funebri erano in genere cerimoniali, e quindi non usate precedentemente in combattimento, recenti studi antropologici delle ossa ritrovate nelle tombe hanno confermato la natura fondamentalmente guerriera della cultura micenea: molti degli individui sepolti presentavano segni di violenza come ferite mortali alla testa, fratture alle gambe o vertebre spezzate, indizi di una lunga storia di battaglie. Purtroppo non ci sono molte informazioni sulle guerre di quell’epoca: non si sa se le città micenee fossero in lotta tra loro o contro un nemico esterno. Nonostante questo, l’abbondanza di armi ritrovate nelle tombe dimostra che l’attività bellica era parte essenziale di questa cultura. Lo stesso emerge dalle fonti letterarie, in particolare dall’Iliade di Omero, dove i contendenti lottano l’uno contro l’altro per impadronirsi delle armi dell’avversario. Non fa eccezione neppure lo scontro tra greci e troiani per il corpo senza vita di Patroclo, l’amato compagno di Achille, raccontato nel XVII canto del poema epico. Dopo un’intera giornata di combattimenti per recuperare il suo cadavere, che era rimasto nelle mani dei troiani, Menelao esorta i suoi compagni con queste parole:
Affrettiamoci in difesa di Patroclo, riportiamo ad Achille almeno il nudo corpo, giacché le sue armi ormai sono in mano di Ettore
Il principe troiano era quindi riuscito a impadronirsi degli armamenti del guerriero greco sconfitto.
La sepoltura di un combattente
Il funerale di Patroclo dà adito a un’ampia descrizione di quella che doveva essere la sepoltura di un guerriero in epoca micenea. Nel XXIII canto dell’Iliade Omero racconta che, dopo aver pianto la morte dell’amico, Achille decide di vendicarlo e promette di non dargli sepoltura prima di aver ucciso Ettore e averlo spogliato delle sue armi, cosa che avverrà solo alcuni giorni più tardi. Quando finalmente si compie la vendetta, Patroclo appare in sogno ad Achille e lo prega di seppellirlo «al più presto, per poter varcare le porte dell’Ade, poiché gli spiriti, le ombre dei morti, me ne tengono lontano, e non mi permettono di unirmi a loro sull’altra sponda del fiume; ma vago senza meta davanti alle ampie porte dell’Ade».
Clitennestra esitante prima di uccidere Agamennone addormentato
Foto: Erich Lessing/Album
I greci credevano che, se un morto non veniva sepolto, non poteva ottenere il riposo eterno nel regno dei morti: per questo una cerimonia adeguata rivestiva tanta importanza. Il racconto dell’Iliade continua con il momento del banchetto funebre in onore di Patroclo e la preparazione della pira funeraria, accanto alla quale vengono sacrificati vari buoi e pecore, quattro cavalli, due cani e dodici guerrieri troiani uccisi per l’occasione. Vicino alla pira vengono collocati anche otri di miele e olio, e i guerrieri greci si tagliano le chiome in segno di lutto. Una volta conclusa la cremazione, le ossa di Patroclo sono depositate in un’urna d’oro, dove rimarranno in attesa della morte di Achille, perché i due amici avevano espresso il desiderio di riposare insieme nella stessa tomba. Alla fine di questi rituali Achille organizza delle gare cui partecipano i capi greci, che si cimentano in discipline come la corsa a piedi, il pugilato, il lancio del peso o il tiro con l’arco. Oggi sappiamo che questo tipo di competizioni funerarie rappresentò il germe da cui si sarebbero sviluppati i Giochi panellenici organizzati a Olimpia e negli altri santuari della Grecia. Il racconto del funerale di Patroclo nell’Iliade è in apparente contraddizione con ciò che sappiamo delle usanze funebri di Micene, dove non sono stati trovati resti di alcuna cremazione funeraria, pratica che sarebbe diventata abituale in Grecia solo alla fine del periodo miceneo. Si è ipotizzato che, in tempi di guerra e lontani da casa, i guerrieri micenei cremassero i compagni caduti in attesa di poter riportare poi più facilmente i loro resti in patria, a meno che non si tratti di un semplice anacronismo introdotto dal poeta in epoca successiva.
Tipi di tombe
La cosa certa è che per i micenei la morte aveva un’importanza fondamentale. Ciò emerge dalla quantità di tempo, sforzi e ricchezze che l’aristocrazia micenea investì nella costruzione di monumenti funebri. Nel corso del tempo le pratiche funerarie micenee acquisirono diverse forme. In una prima fase troviamo gruppi di tombe a fossa, ognuna contraddistinta da una stele e successivamente recintata da un muro: per questo sono state denominate “circoli funerari”. Nel 1876 Heinrich Schliemann, già celebre per la scoperta di Troia, effettuò degli scavi nell’area conosciuta come Circolo A, situata all’interno del perimetro delle mura della cittadella.
Heinrich Schliemann effettuò degli scavi a Micene, dove credette di aver individuato i resti dell’Atride Agamennone
Foto: Granger/Album
Tra i ricchi corredi funerari delle sei tombe a fossa rinvenute (che contenevano 19 corpi), l’archeologo tedesco trovò un gran numero di armi e gioielli, nonché diverse maschere mortuarie in oro, come la famosa “maschera di Agamennone” che Schliemann attribuì al mitologico re di Micene. Il cosiddetto Circolo B, situato al di fuori delle mura (e scavato tra il 1951 e il 1952 dall’archeologo A. J. B. Wace) conteneva invece 14 tombe a fossa e 12 inumazioni semplici, per un totale di 35 corpi. I cadaveri di entrambi i circoli giacevano di schiena e i corpi, sia di uomini sia di donne, erano più grandi e più robusti di quelli ritrovati in altre necropoli più semplici della città. Per quanto il dibattito sia ancora aperto, questo potrebbe indicare che si trattava di persone di una classe sociale più elevata, quindi con un’alimentazione migliore e cure più adeguate per affrontare la vecchiaia e le malattie.
La famosa “maschera di Agamennone”, perché fu attribuita da Heinrich Schliemann al mitico re di Micene
FOTO: Scala, Firenze
Una nuova moda
Attorno al 1500 a.C. le famiglie aristocratiche di Micene decisero di seguire una nuova moda funeraria, che implicava un maggior investimento in termini di lavoro e denaro: i cosiddetti tholoi (tholos al singolare), un tipo di tomba monumentale consistente in una camera sepolcrale sotterranea in pietra a pianta circolare, sormontata da una falsa volta, cui si accedeva tramite un lungo corridoio (dromos) che si restringeva in prossimità dell’entrata. Le ragioni del cambiamento si dovettero al fatto che il nuovo tipo di monumento raffigurava in modo ancor più evidente il potere e la ricchezza della famiglia. Inoltre, i tholoi avevano il vantaggio di essere molto più facili da riutilizzare: infatti era sufficiente aprire una porta per seppellire insieme vari membri della famiglia, mentre le tombe a fossa richiedevano di procedere ogni volta a nuovi scavi. A Micene sono stati ritrovati nove tholoi appartenenti a diverse epoche.
Situato all’interno della mura della cittadella di Micene, questo complesso funerario era composto da sei tombe a fossa
Foto: Hercules Milas/Alamy/Aci
Il geografo greco Pausania, che visitò il luogo nel II secolo d.C., vide molte di queste costruzioni ancora in piedi, anche se per la maggior parte erano state saccheggiate e depredate. Le attribuì a personaggi della mitologia greca, come Clitennestra, Egisto o Agamennone. Secoli più tardi Heinrich Schliemann visitò il sito archeologico di Micene con il libro di Pausania come guida e, senza esitare, riconobbe nel Tesoro di Atreo il tholos più spettacolare e meglio conservato dell’antica città. In realtà i nobili qui sepolti erano vissuti secoli prima della Guerra di Troia. Ciononostante, le loro gesta potrebbero essere state le ispiratrici del celebre poema omerico.