Medicina e medici nell’antico Egitto

L'antico Egitto era celebre per i suoi medici, tanto bravi da essere richiesti anche da pazienti stranieri, non ultimi i re dei Paesi confinanti. Le loro cure si fondavano su una sinergia tra la medicina come la conosciamo oggi e un'impronta magica e religiosa

Le conoscenze mediche degli egizi erano molto apprezzate in tutto il Vicino Oriente e anche tra i greci, tanto da far scrivere a Erodoto nelle sue Storie che in Egitto «ci sono medici dappertutto». Omero, dal canto suo, nell’Odissea asserisce che l’Egitto è la terra in cui i medici superano in abilità tutti gli altri uomini, tanto che Elena proprio da qui portò a Sparta un farmaco miracoloso chiamato nepente ,«che l’ira e il dolore calmava, oblio di tutte le pene».

Nel bassorilievo è ritratto Hesyra, capo dei dentisti e dei medici della III dinastia

Nel bassorilievo è ritratto Hesyra, capo dei dentisti e dei medici della III dinastia

Foto: Cordon Press

Il medico egizio

Il termine generico per medico in egizio era sunu. Vi erano poi altri titoli più specifici che indicavano le varie gerarchie, e una nomenclatura preposta per i medici che lavoravano alla corte del faraone. Erodoto nelle Storie scriveva: «L’arte medica in Egitto è così suddivisa: ogni medico cura una e una sola malattia; e ci sono medici dappertutto: alcuni curano gli occhi, altri la testa, altri i denti, altri le affezioni del ventre, altri ancora le malattie oscure». Esistevano infatti vari specialisti, tra cui i più importanti erano il dentista (sunu ibhy, “colui che si prende cura dei denti”), il proctologo (sunu pehut, il “guardiano dell’ano”), il sunu khet, “medico della pancia”, che curava le malattie dell’addome e dell’utero, e infine il sunu irti, “medico dei due occhi”, la cui bravura era talmente apprezzata che Ciro, re di Persia, richiese uno di questi specialisti per farsi curare un’affezione oculare. L’unico medico donna di cui si abbia notizia è Pesheshet (V-VI dinastia) che portava il titolo di imy r sunut, sovrintendente dei medici donne alla corte del faraone.

Analogamente a quanto dice il giuramento d'Ippocrate: «Io farò partecipi dei precetti, delle lezioni orali e del resto dell’insegnamento i miei figli, quelli del mio maestro … ma nessun’altro», anche il mestiere di medico in Egitto era tramandato di padre in figlio e veniva poi perfezionato presso le “case della vita”, scuole con annessa biblioteca che sorgevano presso i palazzi reali e i templi. Quindi i giovani aspiranti medici avevano una formazione “doppia”: una in ambito famigliare e una in ambito scolastico. La retribuzione, in assenza del denaro (che entrerà nel sistema economico egizio poco prima della XXX dinastia), avveniva con il baratto: più il paziente era ricco, più il medico poteva sperare di ottenere una lauta ricompensa. I medici del faraone erano certamente i più fortunati: ricevevano infatti oggetti e monili d’oro come pagamento per i loro servigi.

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Papiri medici

Diodoro Siculo scrisse che «i medici egizi stabiliscono il trattamento dei malati secondo precetti scritti redatti e trasmessi da numerosi antichi medici celebri»; di questi, una decina di papiri a carattere medico è arrivata fino a noi. Quelli più importanti sono certamente il Papiro di Ebers, redatto all’epoca del faraone Amenhotep I, che è il più lungo e affronta vari temi di medicina, e il Papiro Smith, dello stesso periodo, che contiene sul recto l’elenco di quarantotto traumatismi, partendo dal cranio e arrivando all’addome, e sul verso otto incantesimi, una ricetta ginecologica e tre ricette cosmetiche. Poi abbiamo il Papiro di Kahun, risalente al regno di Amenhotep III, che parla di ginecologia e veterinaria (all’epoca non c’era differenza tra medico e veterinario); e i Papiri del Ramesseum, che provengono dal magazzino del tempio funerario di Ramesse II, di cui tre trattano di oculistica, disturbi articolari, pediatria e ginecologia.

Fogli VI e VII del papiro medico Smith

Fogli VI e VII del papiro medico Smith

Foto: Pubblico dominio

Nel papiro Smith c’è un paragrafo intitolato Istruzioni riguardanti una ferita aperta nella sua testa, raggiungente l’osso e perforante le suture del suo cranio. Dopo il titolo si trova la descrizione dei sintomi, poi la diagnosi e quindi la prognosi, che poteva essere di tre tipi: «una malattia che curerò», «una malattia che non si cura», «una malattia con cui combatterò». Dopo la prognosi veniva la terapia. Essere aggiornati in campo medico e studiare gli scritti era fondamentale, allora come oggi. Un medico di nome Heriscenekhet, in un'iscrizione rupestre ad Hatnub, nel Medio Egitto, si vanta di essere «uno che legge giornalmente i libri (di medicina)», per poi concludere fiero: «Io ho aperto la mia casa a chiunque veniva con malattie. Io fui come una nutrice per chiunque era malato, fino a che egli non fosse guarito».

Il primo farmacista della storia egizia

Non esistendo un termine egizio corrispondente alla parola “farmacista”, verrebbe da pensare che i medici egizi si preparassero le medicine da soli. Tuttavia nei testi medici talvolta si trova scritto: «Tu farai sì che uno lo prepari per lui», il che fa pensare a una figura specializzata proprio nella preparazione dei farmaci. Dal villaggio di Deir el Medina ‒ dove abitavano gli operai che costruirono e decorarono le tombe della Valle dei Re e delle Regine ‒ viene un testo, datato al quattordicesimo anno di regno di Ramesse II, molto interessante. In questo testo erano annotati i giorni di assenza dal lavoro degli operai e la causa. Tra queste righe troviamo scritto che un certo Paherypedjet si assentava dal lavoro per la preparazione delle medicine. Potremmo essere davanti al primo farmacista egizio che la storia ricordi.

Medici “internazionali”

Grazie alla loro bravura alcuni medici egizi viaggiarono presso i popoli vicini per prestare i loro servizi, mentre altri ricevevano direttamente a casa i nobili stranieri che necessitavano di cure. Nella tomba tebana del medico Nebamon, vissuto durante il regno del faraone Amenhotep II, un principe siriano e la moglie sono rappresentati nell’atto di offrirgli doni in cambio della sua opera professionale. Anche i sovrani stranieri non disdegnavano di richiedere il supporto di medici egizi, come Shamda Adda, re dei Mitanni, che scrisse al faraone Amenhotep III queste parole: «Un medico di palazzo dammelo, non ci sono medici qui».

La dea Serqet rappresentata mentre apre le braccia per proteggere la cassa che conteneva i vasi canopi di Tutankhamon. Museo egizio del Cairo

La dea Serqet rappresentata mentre apre le braccia per proteggere la cassa che conteneva i vasi canopi di Tutankhamon. Museo egizio del Cairo

Foto: CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=782614

Durante il regno di Ramesse II Hattusili, re degli Hittiti, scrisse al faraone chiedendo un medico per la sorella che non riusciva ad avere figli. La risposta di Ramesse II arrivò puntuale e non mancava di una certa ironia: «…ora vedi per quanto riguarda Matanazi […], la conosco. Ha cinquant'anni? Non è vero? Ne ha certamente sessanta! […] Nessuno può comporre medicine per lei, per avere bambini… ma io manderò un bravo mago e un dotto medico, ed essi potranno preparare medicine per lei, per avere bambini. Ma certo, se il Dio Sole e il Dio della Tempesta lo volessero… Ma io manderò un bravo mago e un dotto medico, ed essi potranno preparare medicine per lei, per avere figli». Quasi a dire: «Ti mando un medico, ma ti invio anche un mago, che potrebbe esserti più utile, data l’età di tua sorella».

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Medicina e magia

Se l’approccio del medico egizio al malato sembra quasi moderno, infatti, c’è però una grande differenza tra la medicina di oggi e quella di allora: la magia. Il medico egizio non disdegnava di utilizzare degli incantesimi per aiutare la guarigione del malato. Oltre al sunu, il medico “tradizionale”, c’erano anche altre categorie di medici che utilizzavano principalmente la magia. Tra questi, i sacerdoti della dea Sekhmet, la Potente, dea dalla testa di leonessa. Questa dea forte, indomita e crudele aveva una natura ambigua: se da un lato con il suo alito caldo si riteneva portasse le malattie e le pestilenze, dall’altro era una potente dea guaritrice, chiamata Signora della vita.

Il faraone Amenhotep III, malato e sovrappeso, soffrì alla fine dei suoi giorni anche di un atroce mal di denti, tanto da fargli affibbiare il nomignolo di “martire del mal di denti” dagli egittologi. Il sovrano disperato provò a ingraziarsi la dea Sekhmet, e per far questo fece scolpire 730 statue che la rappresentavano seduta in trono o in piedi. Queste statue vennero poi collocate all’interno del suo tempio funerario di Tebe Ovest. Disgraziatamente per lui, Sekmet restò sorda alle sue suppliche.

Statuetta di Sekhmet, dea delle epidemie e delle guarigioni. Museo dei Bambini, Indianapolis

Statuetta di Sekhmet, dea delle epidemie e delle guarigioni. Museo dei Bambini, Indianapolis

Foto: The Children's Museum of Indianapolis, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=17132809

Anche i sacerdoti della dea scorpione Serqet erano medici e praticavano incantesimi e trattamenti farmacologici contro le punture di scorpioni e morsi di serpenti. Una splendida statua in legno dorato della dea scorpione viene dalla tomba di Tutankhamon e faceva parte del gruppo delle dee che proteggeva l’urna canopica del faraone bambino.

Infine troviamo due gruppi di sciamani: gli hekau, stregoni legati al dio della magia Heka, e i sau, il cui nome deriva da sa, che significa sia amuleto che protezione. Molti sunu avevano tra i loro titoli anche quello di sacerdote di Sekhmet o di hekau: sembra quindi che, in realtà, la separazione tra loro non fosse così netta. Medicina e magia agivano in sinergia per permettere la guarigione del malato. Come scrisse l'egittologo Warren Royal Dawson: «Lo stregone con le sue formule, il medico con i suoi farmaci, il sacerdote con le sue preghiere e il suo rituale, hanno lavorato durante molti secoli per proteggere e prolungare la vita, per rafforzare la vitalità e opporsi alle forze che minacciano l’esistenza».

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Per saperne di più

La medicina dei faraoni. Malattie ricette e superstizioni dalla farmacopea egizia. Cristiano Daglio, Edizioni Ananke, Torino 1998.

La medicina al tempo dei faraoni. Bruno Halioua, edizioni Dedalo, Bari 2005.

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