Prezioso e fedelissimo collaboratore di Ottaviano Augusto, Mecenate rivestì un ruolo fondamentale nell’ambito della politica culturale del regime augusteo, agendo da tramite fra il princeps e i più grandi uomini di lettere della sua epoca. Egli non solo seppe riconoscere il valore di autori come Orazio, Virgilio e Properzio, ma li indirizzò verso forme di poesia ideologicamente impegnate che esaltassero gli ideali morali, civili e patriottici propugnati da Augusto. La sua azione di sostegno verso l’arte e la cultura fu così rilevante che il suo nome ha assunto il significato di «munifico protettore di poeti e artisti».
Mecenate nella sua villa sull'Esquilino. C.-F. Jalabert, XIX secolo. Musée des Beaux-Arts, Nîmes
Foto: Bridgeman / Index
Al servizio di Ottaviano
Gaio Mecenate, nato ad Arretium (Arezzo) nel 69 a.C., era un cavaliere romano discendente dalla nobile e antichissima famiglia etrusca dei Cilni. Non a caso, nel nono componimento del primo libro delle Odi, Orazio si rivolge a lui come a «Mecenate, discendente da regali antenati» e lo definsce «la mia protezione e il mio dolce decoro». Anche se non divenne mai senatore e ufficialmente non rivestì cariche pubbliche, il peso di Mecenate nella vita politica romana fu decisivo, per via dello stretto legame che lo univa al primo imperatore dell’Urbe.
Di qualche anno più anziano di Ottaviano, Mecenate lo sostenne fin dal principio della sua ascesa al potere, iniziata nel 44 a.C. all’indomani dell’assassinio di Giulio Cesare. Già nel 43-33 a.C., all’epoca del triunvirato di Ottaviano, Marco Antonio e Marco Emilio Lepido, Mecenate svolse delicate missioni diplomatiche per conto dell’amico. In particolare, nel 40 a.C. combinò il matrimonio fra Ottaviano e Scribonia, imparentata con Sesto Pompeo, il figlio del grande antagonista di Cesare, Pompeo Magno. In questo modo il giovane triunviro si legava politicamente a una delle più importanti famiglie romane e otteneva l’appoggio di un potente capo militare quale Sesto Pompeo. Tuttavia, né l’unione matrimoniale né l’alleanza durarono a lungo. Ottaviano divorziò da Scribonia l’anno successivo, nello stesso giorno in cui la moglie dava alla luce Giulia, la sua unica discendente diretta.
Mecenate sventò una congiura ordita contro Ottaviano dal figlio di Marco Emilio Lepido
Tre anni più tardi Mecenate fu inviato a Taranto per siglare con Antonio un accordo che sanciva il rinnovo del triunvirato e prevedeva un reciproco sostegno militare, di cui Ottaviano si avvalse nel 36 a.C. per condurre una vittoriosa campagna militare contro Sesto Pompeo. Mentre il futuro imperatore combatteva in Sicilia, Mecenate rimase a Roma come suo rappresentante, senza ricoprire alcuna carica ufficiale, ma con poteri quasi illimitati. Egli ebbe modo di dare prova di abilità e fermezza anche nel 30 a.C., quando riuscì a sventare in gran segreto una congiura ordita contro Ottaviano da Marco Emilio Lepido il Giovane, figlio del triunviro, il quale fu arrestato, tenuto prigioniero ad Azio e infine condannato a morte.
Augusto con la corona civica. Busto in marmo. Musei capitolini, Roma
Foto: Age Fotostock
Un raffinato bon vivant
Gli incarichi politici, tuttavia, non impedirono a Mecenate di dedicare parte del suo tempo ai passatempi che più amava: l’influente collaboratore di Augusto era ben noto ai contemporanei per il suo stile di vita raffinato, che evocava la magnificenza e i costumi ricercati dell’antica aristocrazia d’Etruria. Il suo trasporto per i piaceri più raffinati gli attirò le critiche di coloro che li consideravano segno di effeminata debolezza. Mecenate era così dedito al lusso che lo storico latino Gaio Velleio Patercolo lo decrisse «insonne nella vigilanza e nelle emergenze, lungimirante nell’agire, ma nei momenti di ritiro dagli affari più lussuoso ed effeminato di una donna».
A Mecenate si rimproverava l’eccentricità dell’abbigliamento, per nulla conforme al decoro romano, e l’abitudine di mostrarsi in pubblico con il capo coperto (forse per celare la calvizie). La sua ricercatezza si riflettè anche nei versi che si dilettava a comporre, tacciati di manierismo dai contemporanei. Lo stesso Augusto si prendeva bonariamente gioco dell’amico, e in un’epistola lo chiama «avorio d’Etruria, silfio d’Arezzo, diamante dell’Adriatico, perla del Tevere, smeraldo dei Cilni, diaspro dei vasai, berillo di Porsenna», alludendo alla passione di Mecenate per le pietre preziose.
Straordinariamente ricco, Mecenate si fece costruire sul colle Esquilino una sontuosa villa, circondata dai celebri horti Maecenatis. Dei suoi splendidi giardini si conservano ancora alcune tracce, sufficienti a dare un’idea dello sfarzo che doveva caratterizzare l’intera proprietà, destinata a divenire la residenza prediletta di molti imperatori, tra cui Tiberio.
Villa di Mecenate a Tivoli. Dalla serie delle 'Vedute di Roma' di G. B. Piranesi, 1760
Foto: Bridgeman / Index
In questa prestigiosa dimora Mecenate organizzava raffinati banchetti. Si racconta, inoltre, che amasse conciliare il sonno con un leggero sottofondo musicale, ottenuto collocando i suonatori in stanze lontane da quella in cui dormiva. Egli era, insomma, un autentico edonista, in antitesi con l’altro intimo consigliere di Augusto, il morigerato Marco Vipsanio Agrippa, genero dell’imperatore e artefice della sua potenza militare, ma anche urbanista e autore di memorie e di orazioni apprezzate da Plinio il Vecchio.
Amante della musica e del teatro, oltre che della poesia, Mecenate si attorniò dei più grandi scrittori e intellettuali dell’epoca, tutti di diversa provenienza sociale e geografica, ma accomunati dall’impegno letterario e dal sostegno assicurato all’operato di Augusto. A loro fu assegnato il delicato incarico di promuovere l’ideologia del principato augusteo, attraverso l’esaltazione delle imprese di Roma e dei suoi fondatori. A ciò si univa l’elogio dei costumi sobri delle origini e della vita agreste, semplice e virtuosa, contrapposta alla corrotta vita cittadina.
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Gli ultimi anni in isolamento
Alcuni poeti si mostrarono poco propensi a interpretare il ruolo di cantori dell’impero; tra loro Orazio, che in più di un’ode esprime il proprio rifiuto dell’epos tradizionale, a lui poco congeniale, e riafferma la sua vocazione alla poesia leggera d’argomento erotico: «Vuole la mia Musa ch’io celebri i dolci canti di Licimnia». Virgilio, al contrario, assunse pienamente le vesti di poeta ufficiale. La sua Eneide si configurava infatti come una celebrazione indiretta ma molto efficace di Augusto e della sua stirpe, a cui si attribuiva un’origine divina: la gens Iulia veniva fatta discendere da Ascanio Iulo, figlio di Enea, e la dea Venere, madre di Enea, diveniva così la progenitrice della dinastia.
Mecenate presenta le arti liberali all’imperatore Augusto. Olio su tela di Giambattista Tiepolo, 1745 circa. Museo dell’Hermitage, San Pietroburgo
Foto: AKG / Album
Grazie ai privilegi di cui beneficiavano in quanto membri della ristretta cerchia di Mecenate, artisti e poeti potevano dedicarsi interamente alle loro opere, liberi da ogni preoccupazione economica. A Orazio, Mecenate donò anche una piccola tenuta in Sabina, che fu il rifugio prediletto del poeta per tutta la vita.
Dopo che Ottaviano, nel 27 a.C., fu ufficialmente proclamato imperatore con il titolo di Augusto, Mecenate si trasse in disparte, pur conservando la sua funzione di intermediario tra il princeps e il circolo letterario che aveva stretto intorno a sé. Negli ultimi tempi il legame tra i due si allentò, probabilmente a causa della relazione intima intercorsa tra Augusto e Terenzia, moglie di Mecenate, o forse in seguito all’uccisione del cognato di questi, Murena, accusato di aver cospirato contro l’imperatore. Mecenate si ritirò allora nel suo palazzo sull’Esquilino. Poiché non aveva figli, alla sua morte nell’8 a.C., lasciò la propria cospicua eredità ad Augusto, di cui era stato per lungo tempo il più fidato consigliere.
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Per saperne di più
Storia romana. Velleio Patercolo, BUR, Milano, 2001
Augusto e il potere delle immagini. Paul Zanker, Bollati Boringhieri, Torino, 2006