«Tutte le donne che restano in casa e si occupano di lavori domestici devono percepire un salario corrispondente, e la giornata lavorativa dev’essere di otto ore. Sono naturalmente da comprendervi anche le ragazze che lavorano in seno alla famiglia, le quali, come le altre dei negozi, degli uffici e delle fabbriche, hanno diritto a un compenso».
A pronunciare queste parole nel 1938 è la “prima first lady attivista”, Eleanor Roosevelt, la quale si mosse con decisione in favore della categoria delle mogli-casalinghe statunitensi, a suo dire la più sfruttata. L’eco mediatica innescata dalla proposta della consorte del presidente Franklin Delano giunse in Italia, criticata sin nel midollo da riviste femminili e pubblicazioni come Almanacco della donna italiana, che si proponevano il fine opposto. A esplicitarlo è Luigi Gozzini, un insigne professore, secondo cui «nel nuovo clima morale e sociale creato dal fascismo, le donne italiane non hanno alcun salario da reclamare, ma un unico immenso privilegio da rivendicare a se stesse: quello di contribuire con la loro opera di madri e di spose alla potenza imperiale della Patria».
Giovani italiane in sfilata a Merano
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La famiglia per bene
«La patria si serve spazzando la propria casa» sta scritto nel Decalogo delle Piccole italiane. La gioventù femminile dagli otto ai quattordici anni avrebbe dovuto rendersi responsabile del destino del popolo italiano favorendo prima di tutto la realizzazione di una famiglia «ricca di figli, parca nei bisogni, tenace nella fatica, ardente nella fede fascista e cristiana». Ma non era stato sempre così. Fino alla fine degli anni ’20 del Novecento attraverso i Fasci femminili si era praticata una certa politicizzazione delle giovani, caratterizzata dalla loro partecipazione alla vita del partito nazionale fascista e che aveva portato le ragazze a svolgere attività fuori dal controllo domestico e patriarcale. Negli anni successivi la retromarcia operata dallo stato fascista nella «vita dell’italiana» fu prorompente e caratterizzata secondo la storica Patrizia Dogliani da «un processo di depoliticizzazione, d’emarginazione dalla vita politica, di ridimensionamento delle sue funzioni a quelle materne e assistenziali». A promuovere il cosiddetto “massaismo” furono soprattutto donne d’estrazione alto-borghese nell’ambito di un progetto di generale riforma della casa. Come scrive la storica Victoria De Grazia «l’insegnamento dell’economia domestica, in quanto organizzato da donne per altre donne, era lo strumento attraverso il quale le esponenti delle classi superiori, prive di altri canali di espressione politica, potevano legittimare la funzione guida tanto della loro classe che del loro sesso, sugli strati sociali inferiori».
Nei corsi di economia domestica – che riguardavano cioè l'allevamento dei figli, la pulizia della casa, l'arredamento e i mestieri considerati femminili – attiviste sociali e dame della carità insegnavano che la «famiglia per bene accudiva come di dovere ai bambini, aveva un padre occupato che esercitava l’autorità sulla moglie e sui figli che già lavoravano, una madre che si dedicava alle attività domestiche, capace di sbrigare le mille incombenze pratiche di una casa ben gestita».
Donne rurali italiane in costume tipico regionale offrono spighe di grano e una forma di pane a Mussolini durante una manifestazione propagandistica del regime in un'area rurale nel 1938
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Professione madre
Tutta questa impalcatura ideologica, mirante a relegare la donna nello spazio privato dell’abitazione, alla cura del consorte, di una prole numerosa e dei loro spazi, trovava soprattutto espressione nell’Almanacco della donna italiana che nel 1939 uscì per i tipi della casa editrice fiorentina Marzocco (le annate precedenti al 1938 erano state pubblicate da Bemporad). Oggi, grazie al lavoro della Biblioteca italiana delle donne – che ha digitalizzato tutte le annate dell’Almanacco – è possibile passare in rassegna l’ossessiva opera d’indottrinamento femminile per la quale vennero scomodati medici e patologi come Luigi Spolverini. Il direttore della clinica pediatrica dell’Università di Roma considerava ad esempio la denatalità «un male morale, una grave crisi morale che in prima linea ha colpito la donna determinando la sua mascolinizzazione». L’uomo di scienza non mancava di ravvisare che «noi medici che vediamo numerose case nella loro intimità, possiamo constatare che oggi per le ragazze si dispone l’educazione e lo spirito non per il matrimonio ed i figli, ma per la professione intellettuale, ovvero per un mestiere il più possibile redditizio, affinché possano bastare a se stesse, essere e fare vita indipendente intellettualmente ed economicamente. L’ipotesi del marito che deve provvedere, com’è sempre accaduto, fino al secolo scorso, alla casa ed alla moglie, è l’ultima delle possibilità».
A sostegno delle argomentazioni del professor Spolverini, venne tirato in ballo un sondaggio confezionato dall’Istituto di Orientamento professionale del Governatorato dell’Urbe e somministrato a un migliaio di giovinette romane dai 16 ai 18 anni d’età. Il 27 per cento delle intervistate manifestava addirittura una repulsione per il lavoro domestico e solo il 10 per cento dimostrava un certo interesse per i cosiddetti mestieri donneschi. Inoltre «l’aspirazione per la famiglia, anche per quelle che sono già fidanzate, è resultata straordinariamente vaga o comunque non gioconda» anche perché «nessun insegnamento, nessuna lettura interviene fin d’ora per illustrare la nobiltà e la grandezza della missione materna e per rendere più attraente la responsabilità della direttrice di casa e della madre delle famiglie future». Per tanto Luigi Gozzini auspicava un’opera educatrice «per indirizzare la donna alla sua naturale funzione» che poi era quella esplicitata nei provvedimenti adottati nel 1937 dal Ministero dell’educazione nazionale: quella della madre, considerata professione femminile per eccellenza.
Almanacco della donna italiana. 1920. Bemporad. Firenze
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Il grazioso regno della donna
La condizione della donna nell’ambito dello stato fascista fu lungamente affrontata in pubblicazioni come Donne italiane di ieri e di oggi di Maria Castellani, secondo cui «ogni donna deve possedere questo libro […] che incita e prepara le donne ad essere degne della loro epoca ed assumere in tutti i settori, tutte le responsabilità con entusiasmo, perizia, disciplina e coraggio per servire secondo le loro modeste forze la grande patria fascista». Energie femminili limitate che, per forza di cose, dovevano essere saggiamente instradate per mezzo della pubblicistica. Per questo la casa editrice fiorentina proponeva libretti agili e di facile comprensione come Le future massaie d’Italia di Elisabetta Randi, che in buona sostanza erano corsi pratici di economia domestica per le Piccole e Giovani italiane, conformi ai dettami del Partito nazionale fascista.
Un testo che secondo l’Almanacco del 1939 non doveva mai mancare nelle famiglie è l’Enciclopedia della vita domestica di Carolina Valvassori, un tomo di 750 pagine e 273 figure che incontrò l’entusiastica recensione della scrittrice Giana Anguissola: «Una guida ideale a governare perfettamente e con sistemi rigorosamente moderni il grazioso regno della donna». La Cucina italiana, pubblicazione che veniva proposta a un prezzo di favore per gli abbonati al Giornale della domenica, si presentava come una rivista mensile di gastronomia pratica rivolta, inutile a dirlo, alle sole signore. Vi trovavano spazio utili consigli e dritte «sull’arte di amministrare una casa, nutrire e curare ammalati e bambini, perfezionare la bellezza muliebre».
Le madri prolifiche vengono ricevute a Palazzo Venezia da Mussolini e premiate, nel quadro della campagna demografica del fascismo. Dicembre 1938
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Donne e colonie
Per quelle signore che insieme alla prole decidevano di seguire i mariti in una delle località dell’impero mussoliniano, l’Almanacco del 1939 proponeva persino una sorta di vademecum intitolato Preparazione della donna alla vita coloniale. Data per sottintesa la proverbiale condizione d’inferiorità femminile, ci si chiedeva nell’incipit «come una donna può prepararsi a un soggiorno in Colonia? Quali sono le cose che deve sapere, e dove può impararle?». La risposta la dava il Partito nazionale fascista, che nel novembre del 1937 provvedeva a istituire regolari corsi teorici e pratici a cura dell’Istituto coloniale. Questi annoveravano tra le altre cose «ammobigliamento e igiene della casa, culinaria, lavorazione dei latticini, confezione del pane, coltivazione dell’orto e del giardino, confezione del vestiario, tecnica casalinga e fattoria, artigianato». Vennero organizzati persino dei corsi pratici precoloniali gratuiti e “liberi”. L’unico requisito di ammissione era, ovviamente, l’appartenenza ai Fasci femminili. Secondo il solito Almanacco «le giovani d’Italia hanno risposto in gran numero alla geniale iniziativa, e campi pre-coloniali sono sorti nelle principali città. Torino, Roma e Firenze hanno trasportato addirittura i loro campi in terra africana, nelle verdi oasi di Tripoli».
Retaggi fascisti
La liberazione del Paese dal nazifascismo, l’avvento della repubblica e l’allargamento del diritto di voto alle donne non modificarono di molto gli orizzonti mentali degli educatori del nuovo corso democratico riguardo a generi e ruoli. In pubblicazioni come La mia casa, il mio bambino. Igiene familiare ed economia domestica di Enrico Gasca e Lina Torelli, pubblicato da Paravia nel 1950 in conformità con i programmi ministeriali, permane un “parlare patriarcale” di stampo democristiano che continua a incoraggiare il “massaismo” e il confinamento della donna nella sfera privata. Venuti certamente meno i toni da battaglia campale, si partiva comunque dall’assunto che la maggior parte delle “donnine” «tende proprio alla vita di famiglia; a fare la buona mamma, la solerte padrona di casa».
Tale tendenza si trova però a essere offuscata, secondo i curatori, dalla necessità o dal desiderio di dedicarsi a lavori più remunerativi, dalla volontà di godere di maggiore indipendenza, dal timore di dedicarsi a lavori troppo umili quali il rigovernare, lo spazzare, il cucinare. Richiamandosi a un “innatismo” di certe doti specificamente femminili, il pensiero di chi si rivolge alle future massaie degli anni ’50 appare ben chiaro: «Dovete però convincervi fin da ora che se le evenienze della vita vi porteranno alla professione di “padrona di casa” anziché a quella di “impiegata o di professionista” non avrete per nulla da vergognarvene […] l’economia domestica rappresenta insieme un’arte e una scienza che ogni donna deve studiare e cercare di perfezionare con esperienze proprie».
Per saperne di più:
Le donne nel regime fascista. Victoria De Grazia. Marsilio, 1993.
Il fascismo degli italiani. Una storia sociale. Patrizia Dogliani. Utet, 2014.
Almanacco della donna italiana, Marzocco, 1939 – XVII.
La mia casa, il mio bambino. Enrico Gasca, Lina Torelli. Paravia, 1950.
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