In soli sei anni – questo è il periodo in cui la sua attività è documentata – Masaccio ha rivoluzionato la pittura rompendo i legami con la cultura artistica delle generazioni precedenti e aprendo la strada alla maniera moderna. La novità della sua pittura consisteva nel dare maggiore plasticità ai corpi – perseguendo una strada aperta da Giotto e culminata in Donatello – unendola alle scoperte prospettiche di Brunelleschi, così da creare così figure più tridimensionali e dalla forte carica espressiva.
Un giovane trasandato
Conosciuto universalmente come Masaccio, il suo vero nome era Tommaso Cassai. Secondo Giorgio Vasari, il biografo degli artisti, il soprannome deriverebbe dalla sua trascuratezza nel vestire e dallo scarso interesse per «le cure o cose del mondo». Addirittura sembra che fosse poco interessato al denaro, tanto da non riscuotere i crediti dai suoi debitori se non quando si trovava in «bisogno estremo».
Esiste, con molta probabilità, almeno un suo autoritratto: secondo molti, il pittore rappresentò sé stesso nella cappella Brancacci presso la chiesa di Santa Maria del Carmine a Firenze. Stando a questa immagine, aveva una folta capigliatura riccia, il naso lungo e il volto non particolarmente interessante.
Nacque il 21 dicembre 1401 a Castel San Giovanni in Altura (oggi San Giovanni Valdarno, non lontano da Arezzo) in una famiglia agiata. Suo padre Giovanni era un notaio, mentre i suoi avi probabilmente svolgevano la professione di cassai (una sorta di mobilieri), da cui sarebbe derivato il cognome. La madre, invece, si chiamava monna Jacopa. Non si sa molto della donna se non che era nata attorno al 1382 e che proveniva da una famiglia di osti di Barberino di Mugello.
Il padre di Masaccio morì quando lui aveva circa cinque anni. La madre, all’epoca incinta del secondo figlio, decise di non chiamare quest’ultimo Vittore come previsto ma Giovanni, in onore del genitore scomparso. Da adulto divenne anch’egli artista e fu soprannominato “Scheggia” per via del suo aspetto gracile. Intorno al 1412 la madre si risposò con Tedesco di Maestro Feo, un uomo molto più anziano che faceva lo speziale. I rapporti dei due fratelli con il patrigno non furono mai buoni, tant’è che si trasferirono per qualche tempo dai nonni paterni.

Cappella Brancacci, 'Resurrezione del figlio di Teofilo e San Pietro in cattedra'. Masaccio sarebbe il giovane dai capelli neri sulla destra che guarda verso lo spettatore
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L’arrivo a Firenze e l’incontro con Masolino
A diciassette anni Masaccio è documentato come «dipintore», ma non è chiaro dove sia avvenuta la sua prima formazione. L’ipotesi più plausibile sembrerebbe Firenze, anche se alcuni studiosi propongono San Giovanni Valdarno. Nel 1422 però certamente si trovava già in città, giacché il 23 aprile di quell’anno realizzò il Trittico di san Giovenale, la sua prima opera conosciuta e l’unica datata con certezza. Nel dipinto, la Madonna è seduta in trono con il bambino, affiancata dai santi Bartolomeo e Biagio da una parte e Giovenale e Antonio dall’altra. A gennaio di quell’anno, inoltre, si era iscritto all’arte dei medici e degli speziali, una sorta di associazione a cui appartenevano anche i pittori perché adoperavano polveri e pigmenti, elementi associati alle spezie.
Sempre intorno a quel periodo Masaccio iniziò a collaborare con Tommaso di Cristoforo Fini, meglio noto come Masolino da Panicale, un artista più anziano di lui e ancora legato agli schemi tardogotici della pittura. Una delle prime opere in cui i due collaborarono è un trittico, commissionato dal ricco Paolo Carnesecchi per la sua cappella nella chiesa di Santa Maria Maggiore a Firenze. L’opera (attualmente ne restano solo alcune parti, non in buone condizioni conservative) fu commissionata a Masolino, ma vi lavorò anche Masaccio che si occupò di parte della predella: raffigurò l’episodio della vita di san Giuliano in cui, ingannato dal demonio, uccide i genitori nella stanza da letto pensando che si tratti di sua moglie con l’amante.
Un nuovo modo di dipingere
Sant’Anna Metterza è un altro esempio di collaborazione tra i due pittori. L’opera rappresenta la Madonna in trono con il bambino, insieme a cinque angeli e sant’Anna, la madre della vergine, da cui prende il nome la tavola. I due si divisero le figure da realizzare, ma la differenza tra le due mani è molto evidente soprattutto nella resa delle volumetrie: le immagini di Masolino appaiono assai più bidimensionali rispetto a quelle del suo giovane collaboratore.
Nel 1424 la coppia di artisti ricevette un nuovo incarico: Felice Brancacci, un ricco commerciante di seta e uomo politico, gli chiese di affrescare la cappella di famiglia nella chiesa di Santa Maria del Carmine a Firenze. Vasari racconta che Brancacci aveva visto nella chiesa un affresco di Masaccio raffigurante san Paolo e uno di Masolino con san Pietro (oggi perduti) e, colpito, aveva deciso di affidare ai due l’incarico. I lavori iniziarono presumibilmente verso la fine dell’anno, ma nell’estate del 1425 Masolino accettò un altro lavoro in Ungheria e Masaccio rimase solo a lavorare. Gli affreschi illustrano le storie della vita di san Pietro, protettore della famiglia Brancacci, insieme con alcune storie della Genesi. Consapevoli di avere uno stile diverso, i due tentarono di dare maggiore omogeneità alla composizione utilizzando un unico ponteggio: mentre uno dipingeva una scena sulla parete laterale, l'altro lavorava sulla parete di fondo, per poi scambiarsi i ruoli dall’altra parte. Aggiunsero a questo espediente anche i medesimi punti di vista e la stessa gamma cromatica.
La differenza tra i due artisti era comunque notevole e in un certo senso paradigmatica dei modi antichi e moderni di dipingere. Molto esemplificative in tal senso sono le due scene raffiguranti Adamo ed Eva. Masolino illustrò il peccato originale, mentre Masaccio dipinse la cacciata dall’Eden. Le figure del primo appaiono ancora collegate a uno stile tardogotico, con i volti poco espressivi e i corpi sospesi sul fondo scuro illuminati da una luce da cui non si comprende l’origine (anzi, sembra che siano i corpi a diffonderla). Le figure di Masaccio, invece, appaiono solidamente ancorate al suolo, il modellato dei corpi è realistico, ma soprattutto colpisce il tormento che li sta affliggendo: Eva è abbandonata in un pianto disperato, mentre Adamo si copre il volto per la vergogna.

La cacciata di Adamo ed Eva di Masaccio
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Il soggiorni pisano
In ogni caso, gli affreschi non furono completati perché nel febbraio 1426 Masaccio si trasferì a Pisa per eseguire un dipinto incaricato dal notaio ser Giuliano di Colino degli Scarsi da San Giusto. È probabile che Masaccio avesse chiesto a Brancacci il permesso di sospendere i lavori per qualche tempo: sta di fatto che non tornò più a Firenze, poiché morì a Roma nel 1428. In seguito nel 1436 Felice Brancacci fu scacciato dalla città per motivi politici. I lavori della cappella rimasero incompiuti fino al 1480, quando la famiglia fu riammessa a Firenze e poté commissionare la conclusione dei lavori a Filippino Lippi.
A Pisa Masaccio ritrovò il fratello Scheggia che, dopo aver intrapreso brevemente la carriera militare, aveva deciso di dedicarsi anche lui all’arte e tempo dopo aprì una propria bottega. L’opera eseguita per ser Giuliano, conosciuta come il Polittico di Pisa, rappresenta la Madonna in trono con il bambino, affiancata da dieci pannelli con immagini sacre, alcuni dei quali oggi andati perduti.
Nel 1428 Masaccio si trovava a Roma, dove nell’estate morì improvvisamente prima di aver compiuto ventisette anni. Le cause della morte restano ancora un mistero. Quel che è certo è che, nonostante la morte prematura, riuscì a lasciare nella storia dell’arte delle innovazioni tali da rivoluzionarla completamente e per sempre.
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