Magellano e la spedizione che circumnavigò il pianeta

Nel 1519 partì da Siviglia una flotta di cinque navi al comando di Ferdinando Magellano. Il capitano portoghese voleva aprire una nuova rotta per le Molucche, o isole delle Spezie, e con i suoi uomini costeggiò il sud del continente americano per poi attraversare l’oceano Pacifico

Nella primavera del 1518 il portoghese Ferdinando Magellano giunse a un accordo con il re spagnolo Carlo I (il futuro imperatore Carlo V) per guidare una spedizione commerciale diretta all’altro capo del mondo. L’obiettivo del viaggio alle Molucche, un arcipelago allora chiamato “isola delle Spezie” e appartenente all’Indonesia, era quello di procurarsi appunto le spezie – cannella, chiodi di garofano o noce moscata– che si raccoglievano in quei luoghi e che, vendute sui mercati europei, avrebbero consentito guadagni stupefacenti.

Le isole Molucche Tidore e Ternate

Le isole Molucche Tidore e Ternate

Foto: Fadil / Getty images

Una rotta alternativa

Da circa vent’anni i portoghesi controllavano una rotta marittima che passava per il sud del continente africano. La rotta alternativa di Magellano si basava, in realtà, sulla stessa idea che aveva guidato Cristoforo Colombo nel 1492: giungere in Oriente navigando verso Occidente. Per questo intendeva dirigersi verso il sud dell’America fino a raggiungere lo stretto che metteva in comunicazione l’oceano Atlantico con quel vasto mare che separava l’America dall’Asia. Sempre che, ovviamente, questo passaggio esistesse, giacché fino ad allora tutti i navigatori partiti alla sua ricerca avevano fallito nel proprio intento.

Mappa delle Molucche di Nuño García de Toreno. 1522. Biblioteca reale, Torino

Mappa delle Molucche di Nuño García de Toreno. 1522. Biblioteca reale, Torino

Foto: Age Fotostock

Nelle condizioni dell’accordo il sovrano ordinava a Magellano di «armare cinque navi con l’equipaggio e le provvigioni e altre cose necessarie per il suddetto viaggio». I preparativi si protrassero per più di un anno. La prima incombenza fu quella di reclutare gli uomini. I dati circa l’equipaggio variano a seconda delle fonti, ma una cifra ragionevole si aggirerebbe sui duecentocinquanta, di cui circa novanta stranieri, ovvero più di un terzo del totale. Non era inusuale: nelle flotte spagnole del XVI secolo era frequente avere almeno un venti per cento di marinai stranieri. Tra i più numerosi figuravano gli italiani, una trentina, e i portoghesi, una ventina. Tra gli spagnoli, gli andalusi erano in maggioranza, con una cifra di cinquantaquattro uomini, cioè poco più di un quinto dell’equipaggio.

Dal mozzo al capitano

L’equipaggio era organizzato secondo una gerarchia tipica della marineria dell’epoca. I più giovani, tra i dieci e i diciassette anni, erano gli apprendisti, deputati a svolgere tutti i compiti di pulizia a bordo dei velieri. Ne conosciamo due: Juanillo e Vasquito. Erano i figli di due piloti della spedizione, Juan López Caraballo (o Carballo) e Vasco Gallego. Accanto a loro c’erano i mozzi, marinai giovani, tra i diciassette e i venticinque anni approssimativamente. Avevano diverse mansioni, tra cui quella di salire sull’alberatura e raccogliere o stendere le vele. Svolgevano anche i lavori più pesanti, che richiedevano un maggiore sforzo fisico.

Il grosso dell’equipaggio era costituito dai marinai, uomini sopra i venticinque anni addetti a compiti che richiedevano più conoscenze: posizionare la canna del timone, per esempio, o effettuare manovre più complesse con la strumentazione di bordo. Dalla loro prontezza e precisione dipendeva la sicurezza di tutti. Ginés de Mafra fu un ottimo esempio di marinaio esperto, che avrebbe ricoperto anche la carica di pilota e lasciato uno dei resoconti più emozionanti della spedizione verso le Molucche. Un altro racconto importante fu scritto da un italiano, Antonio Pigafetta, giovane vicentino che salì a bordo come assistente di Magellano.

Alcuni marinai si conquistavano la fiducia dei loro capi e assumevano ruoli intermedi. Tra questi c’era il nostromo, che dirigeva le manovre e manteneva la disciplina a bordo; il connestabile, addetto alla conservazione delle armi; il calafato e il mastro d’ascia, che si occupavano di riparare la nave. Una figura molto importante – e con una pessima fama – era il dispensiere, che aveva la chiave degli scarsi alimenti a bordo ed era spesso accusato di rubacchiare e dare cibo di cattiva qualità. Il dispensiere Juan Ortiz, imbarcato sulla nave San Antonio, dovette arrendersi e consegnare la chiave della dispensa durante la rivolta che avrebbe avuto luogo nelle terre della Patagonia, quando gli ammutinati, morti di freddo e stanchi dei razionamenti, gli puntarono un pugnale alla gola.

Fiordo davanti alla cordigliera Darwin, nella Patagonia cilena

Fiordo davanti alla cordigliera Darwin, nella Patagonia cilena

Foto: Alamy / ACI

L’autorità a bordo

Su ogni imbarcazione la triade direttiva era formata da pilota, nostromo capo o vicecomandante, e capitano. I piloti erano spesso persone dalla notevole preparazione intellettuale, specialmente quelli che superavano gli esami della Casa de Contratación per divenire piloti della Rotta delle Indie. Nella spedizione di Magellano risaltarono due piloti con una buona formazione teorica: Esteban Gómez sulla nave San Antonio, e Andrés de San Martín sulla nave Trinidad. Altri due piloti, invece, Juan Rodríguez Mafra e Vasco Gallego, erano analfabeti e compensavano la scarsa formazione con un’esperienza decennale.

La Torre  del Oro di Siviglia, dove si trovava la Casa de Contratación

La Torre del Oro di Siviglia, dove si trovava la Casa de Contratación

Foto: Tono Balaguer / Age Fotostock

Il nostromo capo invece era l’uomo di fiducia che presiedeva all’esecuzione delle singole manovre. Il più famoso della spedizione era senz’altro Juan Sebastián Elcano, un marinaio basco che dovette vendere la propria barca per arruolarsi a bordo dei velieri di Magellano. All’inizio si trovava sulla nave Concepción e stava per essere impiccato durante la ribellione nelle terre della Patagonia. Alla fine venne perdonato e rimase in un discretissimo secondo piano che lasciò soltanto quando Magellano morì in uno scontro con alcuni filippini. Quindi assunse il comando della nave Victoria e guidò il viaggio di ritorno.

Nelle rotte commerciali i nostromi capo esercitavano il comando su tutta la flotta, ma l’armata delle Molucche era una spedizione reale, e per questo ogni imbarcazione era guidata da un capitano. I capitani erano hidalgos, ovvero uomini di origini nobili, e alcuni di loro sapevano ben poco dell’arte marinara, cosa che causava spesso problemi. Sin dall’inizio ci furono tensioni su chi avrebbe ottenuto il comando supremo della flotta. Il 26 luglio 1519, appena due settimane prima della partenza, il re designò un hidalgo castigliano, Juan de Cartagena, come “persona congiunta” al capitano generale Magellano, il che comportava una pericolosissima divisione del potere durante un viaggio così lungo e complesso. E difatti tra i due sorsero presto dei contrasti. Magellano decideva e cambiava rotta senza consultarsi con Cartagena, che protestava in modo sempre più violento.

Il conflitto scoppiò nel novembre 1519, in seguito a un caso di sodomia tra il nostromo capo Antonio Salamón, o Salomón, e il mozzo Antonio de Baresa. Con l’obiettivo di discutere del caso, Magellano richiese la presenza degli altri capitani sulla sua nave; Juan de Cartagena gli rinfacciò di non essere stato interpellato prima. Alquanto infastidito perché la sua autorità era stata messa in discussione davanti a tutti, Magellano si scagliò contro Cartagena gridando: «Siete in arresto!». Il capitano della San Antonio finì in modo infamante, con i piedi imprigionati al ceppo. I disaccordi sarebbero giunti al culmine quando la spedizione cercò di passare l’inverno australe nel porto di San Julián, in Patagonia, dove il freddo e la scarsezza di viveri spinsero Juan de Cartagena e i principali capitani spagnoli, tra cui il nostromo Elcano, a ribellarsi contro Magellano. Quando il capitano generale riuscì a soffocare la rivolta, diversi degli ammutinati vennero uccisi, però Magellano non ebbe il coraggio di far giustiziare Cartagena e lo lasciò su una landa deserta. Di lui non si seppe più nulla.

Magellano condannò a morte 40 marinai che si erano ammutinati nel porto di San Julián, ma commutò la pena perché aveva bisogno di tutti gli uomini per portare avanti  la spedizione

Magellano condannò a morte 40 marinai che si erano ammutinati nel porto di San Julián, ma commutò la pena perché aveva bisogno di tutti gli uomini per portare avanti la spedizione

Foto: White images / Scala, Firenze

Le cinque navi

Le cinque navi della flotta erano la Trinidad – che faceva da nave capitana ed era comandata da Magellano –, la San Antonio, la Concepción, la Victoria e la Santiago. Erano tutti velieri di poco più di venti metri di lunghezza, costruiti sicuramente nel Cantabrico. Solo una delle navi completò il periplo del pianeta: la Santiago naufragò lungo la costa argentina, la San Antonio disertò e tornò in Spagna mentre la flotta s’infilava nello stretto che avrebbe preso il nome di Magellano, e la Concepción venne data alle fiamme nelle Filippine per mancanza di equipaggio in grado di farla navigare. Quando la Victoria, al comando di Juan Sebastián de Elcano, e la Trinidad, guidata da Gonzalo Gómez de Espinosa, stavano per tornare in Spagna cariche di spezie, venne scoperta una falla nella Trinidad e l’imbarcazione non poté più solcare i mari. Oltrepassando Timor e il capo di Buona Speranza, la Victoria, al comando di Elcano, avrebbe impiegato quasi dieci mesi per il viaggio di ritorno dalle Molucche.

Le tre navi che componevano in quella fase la flotta di Magellano impiegarono poco più di un mese per attraversare lo stretto tra  gli oceani Atlantico e Pacifico che prese il suo nome

Le tre navi che componevano in quella fase la flotta di Magellano impiegarono poco più di un mese per attraversare lo stretto tra gli oceani Atlantico e Pacifico che prese il suo nome

Foto: AKG / Album

La flottiglia era preparata ad affrontare nemici noti e ignoti ed era dotata di circa settanta pezzi di artiglieria leggera come falconetti, colubrine e passamuri, la maggioranza dei quali poteva aprire il fuoco dal parapetto. Questi pezzi sparavano sfere di piombo, per la cui fabbricazione si caricavano a bordo delle lastre di metallo con gli stampi; in alternativa, potevano scagliare anche chiodi e semplici pietre. Oltre ai cannoni, venivano preparati pure lance, spade, balestre e archibugi per armare due compagnie, ognuna di circa cento uomini. Magellano e i suoi compagni di viaggio si avvalsero di quest’armamento nei loro rapporti con i popoli indigeni, a volte come semplice mezzo intimidatorio, anche se non sempre con efficacia.

Quando il capo dell’isola di Mactan si rifiutò d’inginocchiarsi in onore del re di Spagna, Magellano mandò tre barche con sessanta uomini armati. Tuttavia l’azione delle balestre e degli archibugi non riuscì a piegare la resistenza dei nativi nello scontro che avvenne sulla spiaggia, e i cannoni delle navi colpirono a vuoto perché troppo lontani. Gli europei dovettero ritirarsi, lasciando sull’isola sette uomini senza vita, tra cui lo stesso Magellano. Qualche giorno dopo i cannoni dei velieri si rivelarono poco efficaci nel salvare gli uomini che erano caduti in un agguato degli antichi alleati dell’isola di Cebu.

La battaglia dell'isola di Mactan, nelle Filippine. Incisione tedesca. 1603

La battaglia dell'isola di Mactan, nelle Filippine. Incisione tedesca. 1603

Foto: Granger / Album

Non perderti nessun articolo! Iscriviti alla newsletter settimanale di Storica!

La sfida della sopravvivenza

In una spedizione del genere la chiave della sopravvivenza risiedeva negli approvvigionamenti. La base dell’alimentazione era la galletta, un tipo di pane dei marinai cotto diverse volte per una più lunga conservazione, e chiamato pure “biscotto” (dal latino bis coctus). Il vino era di vitale importanza, perché sostituiva l’acqua quando questa diveniva imbevibile. Per preparare i tipici pasti dei marinai si caricavano diversi legumi come lenticchie, ceci e fave, che venivano cucinati con pesce salato o lardo. Inoltre si tenevano nella stiva olio e aceto. In previsione di ostacoli – temporali o attacchi di nemici – che non consentissero di accendere il fuoco, si stipava a bordo un migliaio di formaggi, e in quei casi il pasto si riduceva a pane, formaggio e vino. La flotta trasportava anche mucche e maiali come riserva viva di latte e carne.

La sfida maggiore della spedizione che attraversò il Pacifico fu proprio questa. Così Pigafetta descrisse la situazione: «Per tre mesi e venti giorni non toccammo cibo fresco. Mangiavamo a manciate il biscotto, che non si poteva più dire tale essendo solo polvere pullulante di vermi. Questi avevano mangiato il buono e ciò che rimaneva puzzava fortemente di urina di topi. Bevevamo acqua gialla, ormai putrida da tempo, e mangiavamo le pelli di bue che stanno sopra l’antenna maggiore». I marinai litigavano perfino per i ratti, che vendevano tra di loro come una prelibatezza. «Ad alcuni crebbero le gengive tanto sopra li denti che, non potendo masticare, se ne morivan miserabilmente». Questi ultimi erano i sintomi dello scorbuto, che durante la traversata del Pacifico costò la vita a diciannove marinai e a due indigeni che gli europei avevano portato con sé, e ne lasciò infiacchiti altri venticinque o trenta. Non stupisce la felicità dei marinai al termine della traversata del Pacifico. Ginés de Mafra racconta: «Mentre navigava quest’armata, il giorno 17 marzo 1521 uno che stava sull’albero di gabbia e si chiamava Navarro disse a gran voce: “Terra! Terra!”. Con quest’improvvisa parola tutti si rallegrarono tanto che quello che dava meno segnali di allegria sembrava comunque il più folle».

Missione commerciale

Per intessere relazioni nei Paesi che avrebbero visitato, le imbarcazioni caricarono merci di ogni tipo. Tra queste spiccavano i tessuti: scampoli di panni a poco prezzo dai colori brillanti (rosso, giallo o di tonalità argentata), tele di maggior qualità come il velluto, e anche duecento berretti colorati, un complemento tipico dei marinai dell’epoca. La spedizione trasportava inoltre diverse libbre della spezia locale spagnola, lo zafferano, nonché dieci quintali d’avorio e contenitori di mercurio. I prodotti sarebbero stati barattati con merci locali. Per esempio, narra Pigafetta, quando gli europei giunsero nella ricca isola del Borneo offrirono al re «una vesta di velluto verde alla turchesca, una catedra coperta di velluto pavonazzo, cinque braccia di panno rosso, una berretta rossa, un vaso di vetro col suo coperchio, cinque quinterni di carta, un calamaro dorato». Durante un’udienza nel palazzo del sultano questi gli diede broccati e tele d’oro e di seta. Le spezie delle Molucche, l’obiettivo dell’intero viaggio, vennero acquisite sempre tramite baratto. Pigafetta racconta che sull’isola di Gilolo poterono acquistare un bahar di chiodi di garofano (equivalente a circa 184 chili) in cambio di qualsiasi tra questi gruppi di articoli: dieci braccia di panno rosso assai buono, quindici braccia di panno non tanto buono, quindici manarette, cioè delle asce, trentacinque bicchieri di vino.

Un marinaio  della spedizione di Magellano offre una collanina a un indigeno delle Filippine in cambio di cibo e bevande. Illustrazione del  XX secolo

Un marinaio della spedizione di Magellano offre una collanina a un indigeno delle Filippine in cambio di cibo e bevande. Illustrazione del XX secolo

Foto: Look and learn / Bridgeman / ACI

Quando l’8 settembre 1522 la Victoria attraccò nel molo di Siviglia erano trascorsi tre anni e un mese dalla partenza. Gli uomini avevano percorso una distanza che equivaleva circa a due giri del mondo in linea retta. Il chiodo di garofano che portavano nella stiva servì a ripagarsi delle spese di tutta l’impresa, e ne rimase perfino un piccolo beneficio. In Spagna tornarono soltanto diciotto dei salpati, assieme a tre indigeni delle Molucche. Della nave Trinidad, catturata in quelle isole dai portoghesi, poterono rientrare nella penisola iberica soltanto quattro sopravvissuti. Un vecchio detto marinaro riassume perfettamente lo spirito che animò l’equipaggio di quella lunghissima epopea: «Chi non s’avventura non ha ventura».

Questa mappa del cartografo tedesco Heinrich Scherer,  del 1701, rappresenta la rotta della Victoria. La barca compare sotto a sinistra, mentre a destra si possono vedere i 18 marinai che tornarono a Siviglia

Questa mappa del cartografo tedesco Heinrich Scherer, del 1701, rappresenta la rotta della Victoria. La barca compare sotto a sinistra, mentre a destra si possono vedere i 18 marinai che tornarono a Siviglia

Foto: Fine art images / Album

Se vuoi ricevere la nostra newsletter settimanale, iscriviti subito!

Condividi

¿Deseas dejar de recibir las noticias más destacadas de Storica National Geographic?