Dopo aver sconfitto i responsabili dell’assassinio di Giulio Cesare, il suo pronipote ed erede Ottaviano divenne a poco più di vent’anni l’uomo forte di Roma. Solo Marco Antonio ne sfidò il dominio dall’Oriente, dove si era stabilito con la sua amante e alleata Cleopatra. Ma nel 31 a.C., con la loro morte, Ottaviano divenne il primo imperatore di Roma con il nome di Augusto.
Poco prima, nel 39 a.C., nella vita privata di quel giovane patrizio si era verificata una svolta decisiva. All’età di ventiquattro anni Ottaviano si era già sposato due volte. Prima con Clodia, una ragazza prossima alla pubertà che ripudiò subito, «ancora illibata e vergine», secondo quanto tramandato dal suo biografo Svetonio, e poi con Scribonia, che sposò per ragioni puramente politiche. Dieci anni più anziana di lui e due volte vedova, la seconda moglie non suscitò mai un affetto profondo nel futuro imperatore, che non esitò a divorziare da lei il giorno stesso in cui la donna partorì la loro figlia Giulia.
Secondo Svetonio la separazione fu dovuta al fatto che Ottaviano fosse «stufo dei suoi costumi corrotti», ma la vera ragione di tale decisione fu probabilmente un’altra donna che entrò nella sua vita in quello stesso momento: Livia Drusilla, una ragazza di diciannove anni bella, intelligente e dalla forte personalità. Tacito racconta che appena Ottaviano la vide «ne fu colpito» e decise di sposarla. Il fatto che Livia fosse coniugata con un aristocratico di nome Tiberio Claudio Nerone non era un ostacolo. Secondo Tacito, «la strappò al marito, non si sa se contro la volontà di lei».
In questo rilievo dell'Ara pacis di Roma, Livia è al centro, tra Agrippa (a sinistra) e il figlio Tiberio
Foto: Scala, Firenze
Dagli scandali alla virtù
A peggiorare le cose, quando Ottaviano si fidanzò con Livia lei era incinta di sei mesi del suo secondo figlio, Druso (il suo primogenito, Tiberio, aveva all’epoca tre anni). A Roma si diceva che il figlio fosse stato in realtà concepito in adulterio dal futuro imperatore. «I più fortunati hanno figli in tre mesi», era il commento sarcastico che girava tra le malelingue. Nonostante la gravidanza, i pontefici non si opposero alla celebrazione del matrimonio. Il bambino nato pochi mesi dopo sarebbe cresciuto nella casa del padre. Nell’antica Roma le nobildonne si sposavano giovani, mettevano al mondo dei figli, organizzavano la servitù nello svolgimento delle faccende domestiche, mantenevano intatta la loro castità e vegliavano sull’onore della famiglia. All’epoca la politica era una questione prettamente maschile. Livia ne era consapevole: sapeva che per far sì che la sua discendenza governasse Roma doveva mostrarsi davanti al popolo e a suo marito come madre e moglie esemplare. E così fece: s’impose come perfetta matrona e modello di comportamento. Mentre altri membri della famiglia imperiale alimentavano i pettegolezzi e la cronaca scandalistica di Roma, Livia si mostrò sempre, come afferma Tacito, «una donna di irreprensibile moralità, una madre severa, una moglie sollecita e gentile ben oltre quanto ci si potesse attendere da una nobildonna romana».
L’imperatore, per l’amore che provava per lei o per l’immagine solida del loro matrimonio che voleva trasmettere allo scopo di rafforzare la sua politica, fece tutto il possibile per metterla in buona luce agli occhi dei romani e contribuì a farne una donna di stato. Ordinò per esempio che fossero collocate in tutta la città delle statue di Livia – a volte con gli attributi della dea Cerere, simbolo di prosperità e fertilità – e fece coniare delle monete su cui la moglie appariva con i tratti caratteristici di Giunone. Questa era la dea del matrimonio nonché consorte di Giove, del quale Augusto era rappresentante in terra in virtù del suo ruolo di supremo legislatore. L’imperatore concesse alla moglie persino privilegi e onori fino ad allora riservati agli uomini. In questo modo Augusto e Livia stabilirono il modello di famiglia imperiale che avrebbero seguito i loro successori e le classi alte dell’impero.
In quest'olio di Cesare dell'Acqua è ritratta un'ipotetica festa della vendemmia nella villa di Lidia (al centro della scena) a Prima Porta. 1858
Foto: Dagli Orti / Aurimages
Costumi esemplari
La rilevanza di Livia come moglie dell’imperatore è testimoniata dal suo ruolo di protagonista in un episodio prodigioso tipico della cultura romana. Si diceva che pochi giorni dopo essersi sposata, Livia avesse visitato la residenza che possedeva a Prima Porta, vicino a Veio, e improvvisamente un’aquila (l’uccello di Giove, signore degli dei) volò sopra di lei e le lasciò cadere in grembo una gallina bianca che teneva nel becco un rametto di alloro, pianta simbolo d’immortalità. Livia allevò la prole della gallina e piantò il rametto che secondo Cassio Dione avrebbe messo radici e generato un bosco, da cui furono a lungo prelevati i ramoscelli per celebrare i trionfi imperiali: «Livia era stata così destinata ad accogliere in seno il potere di Ottaviano e a guidarlo in tutti i suoi atti».
Anche se lo storico suggerisce che Livia arrivò a dominare il marito, in realtà la donna si limitò a stargli accanto in un privilegiato secondo piano. Gli cuciva le vesti, lo accompagnava nei suoi viaggi e si faceva vedere al suo fianco sul palco del circo. Augusto s’intratteneva con lei in lunghe conversazioni in cui, confidando nella sua discrezione, le raccontava importanti segreti; e si diceva che prendesse persino appunti per non dimenticare le osservazioni della moglie.
Sul Palatino sono stati scoperti i resti di una domus attribuita a Livia perché il suo nome appare inscritto su un tubo di piombo nel tablino, o studio
Foto: Riccardo Auci
Eppure l’imperatore non si sforzò mai di rimanerle fedele. A Roma la sua passione per le donne sposate era notoria, nonostante il fatto che nel 18 a.C. lui stesso avesse presentato in senato la lex Iulia, che prevedeva l’istituzione di un processo contro le donne che si macchiavano di adulterio. Ma una cosa era promulgare leggi e un’altra governare con l’esempio. In una lettera riportata da Svetonio, Marco Antonio raccontava storie scabrose sul suo rivale, come per esempio che nel mezzo di un banchetto si fosse portato in camera da letto una donna che era accanto al marito, un ex console, a cui la “restituì” poco dopo «con le orecchie rosse e i capelli spettinati»; o che i suoi amici avevano l’abitudine di spogliare madri di famiglia in sua presenza, per esibirle come se fossero una mercanzia. I difensori di Augusto, invece, lo scusavano dicendo che commetteva questi adulteri per una ragione politica, ovvero per scoprire più facilmente i piani dei suoi avversari attraverso le rispettive mogli.
Preoccupata per l’immagine della famiglia ma soprattutto per la propria, Livia preferiva lasciare che il marito facesse ciò che voleva senza intromettersi, per non dare adito a maggiori scandali. Se si dà retta a Svetonio, gli procurò persino delle fanciulle da deflorare. Una volta, quando Augusto era ormai morto, qualcuno le chiese come fosse riuscita a influenzare così tanto l’imperatore, e lei rispose: «Facendo senza problemi tutto quello che mi chiedeva, senza interferire nei suoi affari né pretendere di partecipare ai suoi passatempi passionali».
Oltre a essere un esempio di moralità, una buona matrona romana aveva il compito di assicurare la discendenza della famiglia del marito. Nel caso dell’imperatore questo era ancora più importante. Augusto voleva evitare l’incertezza che era seguita alla morte di Giulio Cesare – scomparso senza lasciare un legittimo erede diretto – e puntava a designare un successore della sua famiglia, la gens Iulia, possibilmente suo figlio.
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Senza la sospirata discendenza
Livia, che quando si era sposata con Augusto aveva già due figli, sembrava destinata ad assolvere a questo dovere senza problemi. Ma il bambino generato dalla coppia imperiale morì a pochi giorni dalla nascita e Livia non rimase più incinta. Poiché era dovere di ogni nobile matrona mettere al mondo degli eredi, Augusto avrebbe potuto ripudiarla, ma per qualche motivo – forse per amore – la tenne al suo fianco e preferì cercare altri modi per procurarsi una discendenza, principalmente attraverso i nipoti che gli aveva dato Giulia (la figlia avuta con la seconda moglie Scribonia). Due dei tre nipoti maschi morirono però in giovane età e il terzo fu mandato in esilio a causa del suo carattere violento e insensato.
Ad Augusto rimase allora la sola opzione di nominare suo successore il figlio maggiore di Livia, Tiberio. Invece Druso, il suo figlio minore, era morto nel 9 a.C. La sua scomparsa fu un dramma personale che Livia aveva superato cercando conforto nella filosofia, a dimostrazione della forza del suo carattere; nelle parole di Seneca, «appena lo depose nella tomba, vi depose insieme anche il proprio dolore». Livia ottenne che Augusto desse in sposa a Tiberio sua figlia Giulia. Il matrimonio si sarebbe rivelato un disastro. L’unico figlio della coppia morì in giovane età; poi Tiberio lasciò Roma, forse per allontanarsi dagli adulteri della moglie. Qualche anno dopo Livia riuscì a fare in modo che Augusto lo richiamasse in città e lo nominasse suo successore. La continuità della dinastia, ora chiamata Giulio-Claudia, era ormai garantita. Dopo Tiberio avrebbero regnato il pronipote di Augusto, Caligola, il nipote Claudio e il trisnipote Nerone.
Livia osserva il marito Augusto sul letto di morte. Incisione del XIX secolo
Foto: Getty Images
Tutti questi intrighi di palazzo spinsero molti a considerare Livia una donna senza scrupoli, capace di qualsiasi cosa pur di assicurare la successione di suo figlio Tiberio al governo di Roma. Si diceva addirittura che avesse usato il veleno per sbarazzarsi dei pretendenti al trono imperiale che avrebbero potuto rivaleggiare con Tiberio. Secondo alcune ipotesi, avrebbe provato ad avvelenare lo stesso Augusto al crepuscolo della sua vita, temendo che volesse cambiare il proprio testamento e nominare suo successore Agrippa Postumo, il figlio più giovane di Giulia, invece di Tiberio. Ma tutte queste voci non sono sostenute da prove e sembrano generate dalle opinioni tendenziose delle fonti classiche quando trattano le figure delle donne potenti, come avviene per Messalina o Agrippina. È altamente improbabile che Livia avesse pianificato o portato a termine qualsiasi atto criminale contro Augusto o i suoi familiari.
Un matrimonio divinizzato
Augusto morì all’età di settantasei anni. Avrebbe speso le sue ultime parole per la moglie, alla quale avrebbe detto: «Addio, Livia, non dimenticare mai il nostro matrimonio». Questa frase è stata interpretata come una prova del fatto che tra Augusto e Livia ci fossero amore genuino e devozione reciproca, a differenza di ciò che avveniva di solito nelle relazioni tra le persone di alto lignaggio, che tendevano a sposarsi principalmente per interessi politici e sociali.
Nel suo testamento l’imperatore lasciò a Livia un terzo del patrimonio familiare e la adottò come figlia. Lei cambiò il suo nome in Giulia Augusta e divenne una sacerdotessa ufficiale del culto di Augusto deificato. Era infatti riuscita a far divinizzare il marito pagando profumatamente un senatore affinché giurasse di aver visto Augusto ascendere al cielo subito dopo la cremazione. Morì quindici anni dopo il consorte, a ottantasei anni, e fu sepolta nel mausoleo di Augusto.
Alcuni anni dopo fu divinizzata per ordine del nipote Claudio, che disprezzava intensamente. Poche coppie nella storia sono state capaci di lasciare un’impronta così profonda – sebbene colma di torbidi aspetti umani – sul futuro di un popolo come quella di Livia e Augusto nella storia di Roma.
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