L'Iliade, la guerra epica che parla di pace

Nell’VIII secolo a.C. Omero scrisse l’Iliade, un poema epico in cui narrò la terribile guerra che contrappose greci e troiani. Il poema non esalta però le virtù della guerra, piuttosto evoca l’orrore e la distruzione che questa comporta

Lurgrós, polúdakros, dusêlegês, ainós. Miserabile, lacrimosa, dolorosa, raccapricciante. Così viene descritta la guerra nell’Iliade, il poema epico che Omero compose intorno al 730 a.C. e che narra la lotta tra due eserciti in lizza per la città di Troia. Gli invasori achei – come Omero chiama i greci dell’Età del bronzo – sono venuti a riprendersi Elena, la sposa del re Menelao di Sparta, che è fuggita con Paride, erede della dinastia regnante a Troia (conosciuta anche come Ilio). I due eserciti sono in lotta da dieci lunghi anni e le mura della città di Troia resistono senza dar cenno di cedimento. La guerra è in una situazione di stallo. I troiani combattono non solo per tenersi Elena, ma anche per la sopravvivenza della loro città. Il poema contiene molteplici segnali che fanno presagire il destino che li aspetta come popolo conquistato – uomini massacrati, donne violentate e prese in ostaggio, città in fiamme. Pertanto, per i troiani vincere significa sopravvivere, perdere  significa morire. 

Alleata dei greci, Atena appare in questo dipinto di Gustav Klimt con indosso l’egida o corazza che le copre il petto e le spalle, adornata con il volto di Medusa. 1898. Museo Karlsplatz, Vienna

Alleata dei greci, Atena appare in questo dipinto di Gustav Klimt con indosso l’egida o corazza che le copre il petto e le spalle, adornata con il volto di Medusa. 1898. Museo Karlsplatz, Vienna

Foto: Bridgeman / ACI

La svolta

Gli achei, invece, sono una coalizione formata da reclute provenienti da tutto il mondo greco e guidata dal ricco e potente fratello di Menelao, Agamennone, re di Micene. Sono stanchi di lottare. Le loro navi, sbarcate sulle rive della pianura di Troia e da tempo inutilizzate, si stanno deteriorando. Il loro più grande guerriero, Achille, ha da poco denunciato pubblicamente, con un discorso estremamente duro, sia la guerra che il suo comandante. La maggioranza degli achei sembra condividere il punto di vista di Achille: non vale più la pena di combattere questa guerra. Da parte loro, i troiani assediati sono sempre più disperati. 

Inaspettatamente Paride si rivolge al fratello Ettore, il leader da cui i troiani dipendono, e gli fa una proposta: sfiderà Menelao a duello. I due si batteranno a singolar tenzone mentre il resto dei loro eserciti, gli achei e i troiani, «giurando fedelmente patti d’amicizia» rimarranno a Troia «dove il suolo è ricco, o ritorneranno a pascolare i cavalli ad Argo e Acaia, che ha vanto di femmine belle». Ettore fa immediatamente quest’offerta agli achei. Menelao accetta e viene stipulato un trattato per consacrare l’esito del duello. 

Così disse, e sia gli achei che i troiani si rallegrarono, sperando che ciò ponesse fine a quella guerra sanguinaria. Fermarono i carri lungo le file, essi stessi scesero, si tolsero le armi e le collocarono a terra una vicino all’altra, e nel mezzo restava solo un piccolo spazio… E così tutti i troiani e gli achei ripetevano: «Giove possente e voi, tutti quanti, Celesti immortali, possa chi primo ardisse peccar contro i giuramenti, a qualunque bando appartenga, il cervello sparso cadergli a terra, cadere ai suoi figli, come ora si sparge questo vino, e possano le loro mogli essere violentate da altri uomini». Così parlò; ma il figlio di Crono [Giove] non volle ascoltarli. (Libro III)

Omero, autore dell'Iliade, il più famoso poema epico di tutti i tempi. Busto della collezione Farnese. Museo archeologico nazionale, Napoli​

Omero, autore dell'Iliade, il più famoso poema epico di tutti i tempi. Busto della collezione Farnese. Museo archeologico nazionale, Napoli​

Foto: Scala, Firenze

È una scena straordinaria, degna di una grande epopea di guerra – i soldati di entrambi gli eserciti che innalzano una furiosa preghiera per tornare a casa in pace. La scena è del tutto coerente con la rappresentazione epica della guerra come qualcosa di odiato e temuto da tutti coloro che sono costretti a parteciparvi. Tutti, uomini e donne, guerrieri e civili, vogliono che il conflitto finisca.

Il destino di tutti

Molte persone che non hanno letto l’Iliade ma la conoscono solo per la sua reputazione hanno l’impressione che questo immenso poema sia una glorificazione della guerra. Eppure fin dalle sue prime scene l’epopea evoca le complessità di ciò che può essere definito come la realtà duratura dell’esperienza bellica. Il racconto inizia in modo sfolgorante con lo scontro tra Achille e Agamennone in cui il primo mette in discussione la necessità della guerra e denuncia l’avidità del suo comandante. Il morale dell’esercito acheo – che risulterà vincitore – è così basso che in una delle scene iniziali vari soldati intraprendono una corsa folle verso le imbarcazioni nel tentativo di tornare a casa. Il capriccio degli dèi e il destino fanno sì che ogni duello e ogni battaglia siano tanto questione di fortuna quanto di abilità: gli dèi non sono giusti con gli uomini né in vita né in morte. Sopra ogni cosa, l’Iliade raffigura costantemente la guerra come una forza odiata che rovina ogni vita che tocca. 

Il poema evoca il destino di tutti: quello dei guerrieri, greci e troiani; quello delle donne catturate e di quelle amate; quello di coloro che sono troppo giovani e di quelli che sono troppo vecchi per combattere; dei vittoriosi e dei vinti, dei feriti, dei morenti e dei morti. E tutto mentre si avvicina sempre di più la distruzione della città di Troia e di tutti i suoi abitanti, vittime di questo conflitto ripugnante. Il destino di Troia e dei troiani costituisce il nucleo emotivo dell’epica, un fatto straordinario dato che l’Iliade è un poema greco incentrato su una leggendaria campagna greca – senza dubbio, fin dai primi tempi, è il poema nazionale ellenico per eccellenza. Eppure, il trattamento equo riservato ai troiani è una delle caratteristiche più distintive e indimenticabili dell’Iliade. Ciò si evince dalle piccole e fugaci biografie che accompagnano la morte di guerrieri minori:

Tolse la vita al Teutraníde Assilo 
Il marzio Dïomede. Era d’Arisbe 
Bella contrada Assilo abitatore, 
Uomo di molta ricchezza, a tutti amico, 
Chè tutti in sua magion, posta lunghesso.
La via frequente, ricevea cortese.  

(Libro VI)

Armatura di bronzo ed elmo realizzato con zanne di cinghiale. Quest'attrezzatura fu rinvenuta a Dendra, nei pressi di Micene. XVI secolo a.C. Museo archeologico di Nauplia​

Armatura di bronzo ed elmo realizzato con zanne di cinghiale. Quest'attrezzatura fu rinvenuta a Dendra, nei pressi di Micene. XVI secolo a.C. Museo archeologico di Nauplia​

Foto: Heritage / Age Fotostock

Dal momento che nell’Iliade muoiono molti più troiani che achei, l’epopea è densa di pathos per il nemico umanizzato e sconfitto. Questa rappresentazione drammatica dell’avversario risulta più evidente in alcune grandi scene memorabili, che rientrano senza dubbio tra le più grandi pagine della letteratura. Per esempio il momento in cui il guerriero troiano Ettore si separa da sua moglie Andromaca e dal loro figlio, all’interno delle mura di Troia, e lei lo prega di non tornare in battaglia:

[...] costei ch’ivi allor corse  
Ad incontrarlo; e seco iva l’ancella 
Tra le braccia portando il pargoletto 
Unico figlio dell’eroe troiano, 
Bambino leggiadro come stella. […]  
Sorrise Ettore nel vederlo, e tacque.  
Ma di gran pianto Andromaca bagnata
Accostossi al marito, e per la mano 
Stringendolo, e per nome in dolce suono  
Chiamandolo, proruppe: [...] Il tuo valore ti perderà: nessuna 
Pietà del figlio né di me tu senti, 
Crudele, di me che vedova infelice 
Rimarrò tra poco, perché tutti 
Di conserto gli Achei contro te solo 
Si scaglieranno a trucidarti intesi;  
E a me sia meglio allor, se mi sei tolto 
L’andar sotterra.

(Libro VI)

Queste scene fanno sì che sia impossibile odiare i troiani; e se i greci non hanno un nemico acerrimo da sconfiggere, come possiamo lodare la loro vittoria? 

Era distrae il suo sposo Zeus per poter aiutare i suoi protetti, i greci, detti anche achei. Olio su tela di James Berry. XVIII secolo

Era distrae il suo sposo Zeus per poter aiutare i suoi protetti, i greci, detti anche achei. Olio su tela di James Berry. XVIII secolo

Foto: Museums Sheffield / Bridgeman / ACI

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La storia oltre l’epica 

La straordinaria empatia dell’Iliade si può forse spiegare con la storia di quell’epoca. In linee generali e alquanto imprecise, il mondo dell’Età del bronzo evocato dall'opera corrisponde al lasso di tempo che va dal XVII fino alla fine del XIII secolo a.C., periodo storico chiamato "miceneo" da Micene, la principale cittadella greca dell’epoca. Quest’era finì drammaticamente, e improvvisamente, intorno al 1200 a.C., ovvero una generazione dopo la caduta della storica città di Troia. In questo periodo furono molte le potenze del Mediterraneo orientale che crollarono, per varie ragioni: disastri naturali, peste, disordini interni, interruzione degli scambi commerciali, saccheggi o siccità.

In seguito al crollo dei regni micenei i rifugiati provenienti da diverse parti del mondo di lingua greca cominciarono a migrare dai loro paesi alla ricerca di una nuova vita nel Mediterraneo e nell’Egeo. I diversi cammini presi da queste ondate di profughi possono essere ricostruiti partendo dai dialetti greci che parlavano. Coloro che venivano dalla Tessaglia e dalla Beozia (regioni della Grecia centrale) portarono il loro dialetto, l’eolico, a est, fino alla costa dell’Anatolia (l’attuale Turchia) e all’isola di Lesbo. Le prove archeologiche dimostrano che gli abitanti originari dell’isola condividevano la stessa cultura degli abitanti della Troade – la regione intorno a Troia. Quindi i greci eolici si erano stabiliti in un’area che, in termini culturali, era troiana. 

Anello miceneo d'oro in cui è raffigurata una scena di caccia. Museo archeologico nazionale, Atene

Anello miceneo d'oro in cui è raffigurata una scena di caccia. Museo archeologico nazionale, Atene

Foto: Luisa Ricciarini / Prisma

Pur avendo perso le proprie terre, questi immigrati portarono con sé gran parte del loro sapere, i loro dèi, la loro parlata e le loro storie. Qui, nella regione di Lesbo, i ricordi del mondo miceneo perduto sono stati tramandati attraverso leggende e poesie: racconti di grandi città ricche d’oro, memorie confuse di battaglie e di tipi di armature, imprese di guerrieri che hanno lottato come leoni e comunicato con gli dèi, e un supereroe tessalico chiamato Achille.

Alla fine la tradizione fu adottata dai poeti che usavano un altro dialetto, lo ionico. Tuttavia, risulta allettante ipotizzare che questo periodo in cui i poeti eolici plasmarono la tradizione epica vivendo nella regione di Troia spieghi la partecipazione emozionale nei confronti della tragedia dei troiani. I poeti eolici avevano forse sentito la versione troiana della guerra?

Parole di pace 

La maggior parte dell’azione dell’Iliade si incentra sulla guerra. Eppure il poema è anche costantemente inframmezzato da potenti scene di pace. 

Le grandi e sublimi metafore paragonano gli eventi umani alla natura lontana dal campo di battaglia di Troia:

E qual d’oche o di gru volanti eserciti    
Ovver di cigni che snodati il tenue 
Collo van d’Asio ne’ bei verdi a pascere
Lungo il Caïstro, e vagolando esultano 
Su le larghe ale, e nel calar s’incalzano
Con tale un rombo che ne suona il prato;
Così le genti achee da navi e tende 
Si diffondono in frotte alla pianura 
Del divino Scamandro,  e il suol rimbomba
Sotto il piè de’ guerrieri  e de’ cavalli  
Terribilmente [...]  

(Libro II)

Quest’olio di Claude J. Vernet riproduce i giochi funerari organizzati da Achille in onore di Patroclo. 1790. Museo di San Carlos, Messico

Quest’olio di Claude J. Vernet riproduce i giochi funerari organizzati da Achille in onore di Patroclo. 1790. Museo di San Carlos, Messico

Foto: Bridgeman / ACI

 

 

Allo stesso modo, lo scudo che indossa Achille è decorato con scene proprie dei tempi di pace:

Ivi inoltre scolpite avea due belle 
Popolose città. Vedi nell’una 
Conviti e nozze. Delle tede al chiaro 
Per le contrade ne venían condotte
Dal talamo le spose, e Imene, Imene
Con molti s’intonava inni festivi. 

(Libro XVIII)

Questi scorci di pace non fanno altro che ricordarci costantemente ciò che è in gioco nella guerra. Attraverso un’eccellente arte poetica, il misterioso mastro-poeta che è passato alla storia col nome di Omero è stato in grado di trasformare l’antico racconto di un’oscura operazione bellica in una sublime e trascendente evocazione della devastazione che la guerra, non solo questa ma qualsiasi guerra, e in qualsiasi epoca, porta necessariamente con sé.  

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Duello tra Paride e Menelao

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Duello tra Paride e Menelao

Paride gettò la sua lancia, «che una lunga ombra proietta», e colpì lo scudo di Menelao. Allora questi «gettò la picca, e colpì» Paride. La lancia strappò la tunica del troiano, «però deviò e schivò la Parca negra», ovvero la morte. Menelao «sguainò la spada, adornata con chiodi d’argento, e brandendola penetrò la cresta dell’elmo» di Paride. Successivamente «Lo agguantò per il casco dalle folte criniere e lo girò e lo spingeva verso gli achei […] e avrebbe raggiunto una gloria indicibile se non l’avesse notato la prontezza di Afrodite», la dea che proteggeva i troiani, che tirò fuori magicamente Paride dal duello. 
Iliade, Canto III

Foto: Bridgeman / ACI

Lotta tra Ettore e Aiace

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Lotta tra Ettore e Aiace

«Contro Aiace, che voltagli la fronte, scagliò Ettore la lancia, e lo colpì ove del brando e dello scudo il doppio balteo sul petto si distende». Però in quel momento, «il gran Aiace Telamonide», afferrò un sasso tra i molti che i greci utilizzavano per bloccare le navi arenate sulla spiaggia, lo lanciò contro Ettore e lo colpì «al torace, vicino al collo, sull’orlo dello scudo. Il colpo lo fece stramazzare come una trottola, facendolo girare da tutte le parti», e «i suoi compagni, trascinandolo sulle spalle», lo portarono fuori dalla lotte e lo condussero a Troia «tra profondi sospiri».
Iliade, Canto XIV

 

Foto: BRIDGEMAN / ACI

La lotta per il corpo di Patroclo

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La lotta per il corpo di Patroclo

Gli achei recuperarono da terra tra le braccia il cadavere e lo sollevarono con vigore a una grande altezza; alle loro spalle scoppiò a gridare la truppa troiana, poiché i troiani volevano il corpo di Patroclo come bottino, e «avanzarono ritti, di cani a simiglianza  che precorrendo i cacciator s’avventano a ferito cinghial, desiderosi di farlo a brandelli». I troiani braccavanoi greci «in massa e senza pausa, agitando le loro spade e picche». Ma ogni volta che si giravano gli Aiaci (il figlio di Telamone e il figlio di Oileo) «il viso, di color cangiava l’inseguente caterva, e non ardía niun farsi avanti, e disputar l’estinto».
Iliade, Canto XVII

 

 

Foto: Oronoz / Album

La fine di Ettore

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La fine di Ettore

Dopo averlo ucciso, Achille disse: «Giovani achei, intonando un inno di vittoria, ritorniamo alle vuote navi e trasportiamolo [il cadavere di Ettore]. Abbiamo ucciso il divino Ettore, che i troiani in città invocavano come un dio». Achille immaginò come umiliare il nemico morto. «De’ piè gli fora i nervi dal calcagno al tallone, e nei buchi fatti vi inserì cinghie di bovino, che legò alla cassa del carro». Dopo si mise in marcia: «Un gran polverone si alzò dal cadavere trascinato; i capelli scuri si diffondevano, e la testa intera, un tempo affascinante, giaceva nella polvere». 
Iliade, Canto XXII

Foto: Bridgeman / ACI

L'Iliade, la guerra epica che parla di pace

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