Nel 1146 il re di Francia Luigi VII il Giovane s'imbarcava alla volta della Terra Santa per partecipare alla Seconda crociata. Giunto a destinazione, non tardò a comprendere che il nemico contro cui si apprestava a combattere era diverso da quelli già affrontati. Se ne accorse drammaticamente durante una marcia attraverso l’Asia Minore, a Cadmo, quando lasciò che l’avanguardia si separasse dal resto del suo esercito, dando così l’occasione ai turchi di massacrare la retroguardia. Dopo quello scontro disastroso, Luigi VII si arrese all’evidenza e affidò il comando delle operazioni militari a Everard des Barres, Gran maestro dei templari. Questo ordine religioso-cavalleresco era stato fondato a Gerusalemme dal nobile francese Hugues de Payns nel 1118, dopo l’occupazione cristiana della città durante la Prima crociata.
In origine, lo scopo dell’Ordine era proteggere i pellegrini che arrivavano nella Città santa, ma in seguito alla creazione degli stati latini in Oriente, controllati dai crociati, si occuparono anche della difesa di questi territori. Dopo la sconfitta subita a opera dei turchi presso il monte Cadmo (oggi Honaz, nella Turchia sud-occidentale), Luigi VII vide nei templari un esempio di disciplina e valore militare, che impose come modello ai propri uomini.
Un sigillo del XIII secolo mostra una coppia di templari sullo stesso cavallo, simbolo di povertà e umiltà. Archivi Nazionali, Parigi
Foto: Leemage / Prisma
Le qualità dei templari
Il segreto della disciplina e del valore dei templari era racchiuso nella loro Regola, che nella sua versione definitiva si ispirava all’opera De laude novae militiae, redatta nel 1128 dall’abate francese Bernardo di Chiaravalle, principale autorità spirituale della Chiesa di Roma dell’epoca. Il futuro san Bernardo, ardente difensore delle crociate, nel suo panegirico del nascente ordine dei templari aveva infatti descritto alcune qualità che riconosceva a questi combattenti. Proprio tali osservazioni sarebbero poi state trasformate in norme di comportamento attraverso la Regola dell’Ordine. Egli affermava infatti che questa milizia, contrariamente alla “malizia” incarnata dai cavalieri secolari, era disciplinata e obbediente, non si preoccupava tanto della gloria mondana quanto di servire Dio. Disciplina e obbedienza erano quindi i valori supremi che Bernardo citava nel suo elogio: «Si mantiene perfettamente la disciplina e l’obbedienza è esatta».
Questo rigore si manifestava in diversi modi. Durante la marcia, per esempio, i cavalieri avanzavano in squadroni mantenendo il silenzio: se uno di essi aveva bisogno di parlare con qualcuno, andava dal suo interlocutore cavalcando “a sottovento”, affinché la polvere sollevata dalla cavalcatura non disturbasse gli altri uomini. O ancora, non indossavano l’elmo di propria iniziativa, ma se ricevevano l’ordine di farlo, non lo potevano più togliere fino a nuove istruzioni. Quando ci si accampava, sia i cavalieri sia gli scudieri, che andavano in cerca di cibo per i cavalli o di legna, si allontanavano solo fin dove potevano sentire l’eventuale grido dei compagni, o la campana, che chiamava a raccolta.
I templari non marciavano mai in modo disorganizzato e non cavalcavano impetuosamente, né si lanciavano impulsivamente contro il nemico, ma «rimanevano sempre al posto assegnato con tutta la cautela e la prudenza immaginabili». Questa prudenza, però, non escludeva il loro proverbiale coraggio, poiché «si lanciavano sui nemici come se fossero greggi di pecore e, anche se erano in numero inferiore, non temevano la moltitudine dei loro avversari, né la loro barbara crudeltà».
Cavaliere occidentale, museo del Bargello, Firenze
Foto: Art Archive
La componente religiosa della loro missione si rifletteva anche nell’aspetto esteriore dei templari, rigoroso e austero: «Tagliano corti i capelli. Non si acconciano mai, si lavano di rado; non si curano la pettinatura, girano coperti di polvere e neri per la maglia di ferro e l’ardente calura del sole». Al momento di lanciarsi in battaglia, si armavano interiormente della fede ed esteriormente dei migliori cavalli, forti e veloci, privi di qualsiasi ornamento, pensando più al combattimento che al “fasto e alla pompa” e aspirando più alla vittoria che alla gloria, a differenza dei superbi cavalieri mondani.
Le considerazioni e i principi affermati da Bernardo di Chiaravalle continuarono a riflettersi sulla Regola dei Templari e sulle sue integrazioni fino al XIII secolo. In questo rigido codice di condotta erano proprio l’ordine e la disciplina le qualità più valorizzate e ammirate nel “fratello cavaliere”, in virtù del carattere cavalleresco-militare dell’Ordine. L’attuazione di queste qualità ha fatto sì che ai templari venisse attribuita l’invenzione di nuove tecniche di guerra, fino ad allora sconosciute sia nell’Europa occidentale sia in Terra Santa.
Un perfetto ordine di battaglia
La Regola dettava con precisione l’ordine di combattimento al momento di lanciare una carica di cavalleria, l’arma più potente e devastante utilizzata dalle milizie cristiane contro gli eserciti musulmani nel XII e XIII secolo. Secondo i precetti della Regola, la milizia dei templari si divideva in squadroni, capeggiati da un comandante convenuto, Gran maestro o maresciallo. Questi squadroni si disponevano in prima linea, mentre gli scudieri stavano nelle retrovie e fungevano da appoggio ai combattenti, portando le armi e provvedendo ai cavalli di riserva. Quando si lanciava la carica, gli scudieri dovevano seguire da vicino il loro squadrone, pronti a soccorrere i cavalieri feriti e a sostituire i cavalli caduti nel primo assalto, ma senza partecipare all’attacco, di cui erano protagonisti i cavalieri.
La moschea di al-Aqsa, a sinistra della Cupola della Roccia. Fu il primo quartier generale dei templari a Gerusalemme
Foto: Gavin Hellier / Getty
Se eseguita correttamente, una carica di cavalleria pesante era un’arma distruttiva, oltreché uno spettacolo imponente. Forzando un po’ la realtà, la principessa bizantina Anna Comnena affermò nella sua cronaca storica Alessiade (XII secolo) che un cavaliere pesantemente armato poteva aprire una breccia nelle mura di Babilonia. In tal senso, i templari erano debitori dell’armamento diffuso in Europa occidentale dalla fine dell’XI secolo, costituito da una cotta di maglia che copriva testa, torace, braccia e gambe fino al ginocchio, un elmo conico, un forte cavallo da combattimento (destriero), uno scudo, una lancia lunga e una spada a doppio filo. Affinché la carica fosse efficace era però necessario che i cavalieri agissero in modo coeso. Era questo l’aspetto su cui insistevano maggiormente le norme dei templari, contenute nella Regola primitiva del 1128 e in alcune integrazioni successive, gli Statuti gerarchici, datati tra il 1165 e il 1187. Tali norme davano risalto alla gerarchia militare delle milizie, all’organizzazione di marce e accampamenti e allo spiegamento degli squadroni nel momento cruciale della battaglia.
Per fare in modo che le operazioni militari risultassero efficaci, si prestò particolare attenzione nel regolare l’uso delle bandiere, autentici emblemi della disciplina templare, che segnalavano l’inizio dell’azione, il raggruppamento dei combattenti e la ritirata dal campo di battaglia. Se la bandiera era issata, bisognava proseguire la battaglia. Chi disertava mentre lo stendardo sventolava veniva punito con la pena più severa: l’espulsione dall’Ordine e dalla casa templare. Una punizione analoga era riservata a chi si lanciava all’attacco senza aver atteso l’ordine di un superiore e, così facendo, comprometteva il destino di tutto l’esercito.
I regolamenti templari definivano anche il ruolo del portabandiera e dei sergenti. Questi ultimi, il cui nome derivava dal latino servientes, costituivano la cavalleria leggera e provenivano da classi sociali inferiori rispetto a quelle dei cavalieri, di cui erano ausiliari. Veniva regolamentato inoltre il corredo militare dei templari, in cui era proibito l’oro, l’argento e gli ornamenti su armi e cinghie. Esistevano persino norme specifiche sulla cura dei cavalli e sul loro equipaggiamento.
Nel 1147 papa Eugenio III accordò ai templari l’emblema della croce di stoffa rossa come “segno trionfale per non fuggire davanti all’infedele”. François-Marius Granet, XIX secolo. Castello di Versailles
Foto: Dagli Orti / Art Archive
Non perderti nessun articolo! Iscriviti alla newsletter settimanale di Storica!
Eroi delle crociate
Proprio in virtù della rigorosa disciplina militare dei templari, gli eserciti crociati li disponevano solitamente nelle avanguardie e nelle retroguardie delle colonne in marcia. Così fecero sia Luigi VII di Francia dopo il disastro di Cadmo sia il re d’Inghilterra Riccardo Cuor di Leone. Nel 1192, durante la Terza crociata, il sovrano inglese condusse una marcia epica dalla città di Acri a Giaffa, nella quale i templari svolsero un ruolo di primo piano nella guida della colonna cristiana, bersagliata dalle frecce del nemico.
I templari commisero però anche gravi errori. Nel 1187 il nobile francese Guido di Lusignano, re dello stato crociato di Gerusalemme, decise di spostare il suo esercito da un luogo sicuro, su consiglio del Gran maestro Gérard de Ridefort. Il risultato fu la terribile sconfitta cristiana di Hattin, per mano delle truppe di Saladino, sultano d’Egitto e Siria. Un’altra grave disfatta fu quella di La Forbie nel 1244, presso l’attuale Gaza, in Palestina, contro il futuro sultano egiziano Baybars.
In altre occasioni, i cavalieri del Tempio si distinsero per la loro eroica abnegazione. Così avvenne nel 1291, quando difesero strenuamente Acri, l’ultima fortezza cristiana in Oriente. In quel tragico frangente, i templari si opposero eroicamente e con ogni mezzo all’attacco dei musulmani che cercavano di forzare le brecce delle mura. Guillaume de Beaujeu, l’ultimo Gran maestro templare in Terra Santa, morì combattendo durante l’assalto definitivo dei mamelucchi egiziani.
Jacques de Molay, l'ultimo Gran maestro dei templari, con il mantello dell'ordine, che fu soppresso nel 1312
Foto: Oronoz / Album
Nelle regole militari dei templari emerge una disciplina collettiva in contrasto con il mondo cavalleresco dell’epoca, animato dalle prodezze individuali. La carica di cavalleria era il tipico esempio di un’operazione coordinata, in cui l’azione individuale era subordinata a quella collettiva. In questo spirito gregario, così come nell’organizzazione in squadroni, nell’uso di uniformi distintive (il mantello bianco con la croce rossa sul petto) e di bandiere per guidare le operazioni, i templari hanno anticipato alcuni metodi adottati dagli eserciti moderni. E anche a questa ragione si deve la loro successiva mitizzazione. Non solo il modo di combattere dei templari ha avuto grande influsso sull’arte della guerra in Occidente, ma spetta a questi cavalieri, un po’ monaci e un po’ soldati, il merito di aver individuato nella disciplina e nella coesione gli elementi imprescindibili per un efficace spirito di corpo.
Se vuoi ricevere la nostra newsletter settimanale, iscriviti subito!
Per saperne di più
Elogio dei cavalieri templari. Bernardo di Chiaravalle, Artetetra edizioni, Capua, 2020
I templari e il templarismo. Franco Cardini, Il Cerchio, Rimini, 2011
Le Crociate. Ridley Scott, 2005