Nei decenni successivi all’ultimo testo geroglifico datato che sia giunto fino a noi (ovvero il 24 agosto del 394 d.C, nel tempio di Iside dell’isola di File), la civiltà egizia sembrò essersi zittita per sempre. Scomparsi gli ultimi sacerdoti e gli scribi, il mondo dei faraoni tacque, limitandosi a comunicare solo tramite i suoi impressionanti monumenti. Le grandi piramidi di Giza e di Saqqara, templi come quello di Karnak e di Medinet Habu, o le tombe della Valle dei Re e di Beni Hassan continuarono a trasmettere con muta eloquenza una grandezza indecifrabile come la stessa scrittura geroglifica. Da quel momento l’antico Egitto restò a lungo avvolto nel mistero, dando origine a speculazioni di ogni tipo sulla sua saggezza perduta.
Anche se era già da almeno un secolo che i viaggiatori occidentali guardavano con curiosità ai monumenti dell’antica civiltà faraonica, solo la spedizione di Napoleone Bonaparte del 1798 risvegliò definitivamente l’interesse europeo per la cultura egizia. In quell’epoca avvenne il ritrovamento della stele di Rosetta, che permise di decifrare la scrittura geroglifica. L’equipe di studiosi al seguito del conquistatore còrso pubblicò un’opera monumentale, la Description de l’Égypte, dove vennero catalogati tutti i monumenti e le opere di arte faraonica conosciuti fino a quel momento. Iniziò allora una caccia ai tesori egizi destinati a ingrandire le collezioni dei privati o dei Paesi che finanziavano le spedizioni. Fu con quest’obiettivo che i consoli stranieri in Egitto – come il rappresentante francese Bernardino Drovetti e l’inglese Henry Salt – inviarono i loro uomini lungo tutta la valle del Nilo. Nell’ambito di queste ricerche l’esploratore Giovanni Belzoni fece alcune scoperte sensazionali, come la tomba di Seti I.
L’egittologia assunse un aspetto più scientifico e responsabile con le spedizioni di Jean-François Champollion e del suo discepolo Ippolito Rosellini, nel 1828-29, e con quella di Richard Lepsius, tra il 1842 e il 1845.
L’archeologia diventa scienza
Nel 1858 Auguste Mariette cercò di mettere un freno ai saccheggi e agli scavi incontrollati con la creazione del Servizio reperti archeologici, destinato a regolamentare l’attività degli esploratori nella valle del Nilo. Da quel momento divenne necessario un permesso ufficiale per poter effettuare scavi – almeno in teoria, visto che i saccheggi di antichità proseguirono ugualmente. Grazie al lavoro di Mariette e Gaston Maspero, che fecero ritrovamenti grandiosi, come il Serapeo di Saqqara o il nascondiglio di Deir el-Bahari, l’archeologia cominciò quella lenta evoluzione che l’avrebbe portata a diventare una scienza. In questo processo ebbero un’importanza fondamentale le tecniche di scavo utilizzate da Flinders Petrie in Egitto a partire dal 1880.
Tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo furono realizzate alcune delle maggiori scoperte della storia dell’egittologia, come la cachette (“nascondiglio”) di Karnak, uno straordinario complesso di statue ritrovato dal francese George Legrain nel 1903, o la tomba di Nefertari, rinvenuta dall’italiano Ernesto Schiaparelli nel 1904. In quel periodo il Servizio reperti archeologici concedeva permessi di scavo a mecenati senza conoscenze archeologiche; questi di solito assumevano egittologi affinché si occupassero degli aspetti pratici. Questi ultimi ricevevano in cambio la metà degli oggetti ritrovati. Fu così che alcuni pezzi famosi, come il busto di Nefertiti, ritrovato dal tedesco Ludwig Borchardt nel 1912, lasciarono l’Egitto. Tutto questo cambiò nel 1922 con la scoperta della tomba di Tutankhamon da parte dell’inglese Howard Carter. Si trattò di un ritrovamento esemplare tanto per i rigorosi metodi archeologici applicati dal britannico quanto per il fatto che nessun oggetto abbandonò il Paese.
Il suo esempio fu seguito da una serie di egittologi altamente qualificati, come il francese Pierre Montet, che nel 1939 scoprì una straordinaria necropoli a Tani, e anche se non ci sono più stati ritrovamenti straordinari come quello di Carter, negli ultimi anni l’applicazione di nuove tecniche della genetica ha aperto prospettive che un secolo fa sarebbero state inimmaginabili.