L'argento d'America

I conquistatori spagnoli s'impossessarono di una notevole quantità di oro e d’argento estratta nei territori americani, che servì a sostenere il dominio della dinastia Asburgo in Europa e favorì la nascita di un’economia intercontinentale

«Dov’è il testamento di Adamo?». Fu il re di Francia, Francesco I di Valois (1494-1547), a domandarlo quando vide parte delle ricchezze che il conquistatore spagnolo Hernán Cortés aveva mandato dal Messico al proprio sovrano, Carlo V. Il riferimento a questo testo apocrifo dell’Antico testamento aveva assunto il significato di fortuna provvidenziale e manifestava il malcontento del sovrano per non avere parte alle ricchezze del Nuovo Mondo. Oltre alla Francia, altri grandi stati dell’Occidente, come l’Inghilterra, opposero pertanto il diritto di scoperta delle nuove terre all’espansione iberica nei territori extraeuropei sostenuta dall’autorità del pontefice romano. Questi Paesi erano, infatti, stati esclusi dalla ripartizione del Nuovo Mondo tra spagnoli e portoghesi, sancita da alcune bolle papali, tra le quali Inter Caetera di papa Alessandro VI nel 1493 e da un altro accordo firmato nell’anno seguente a Tordesillas.

Regni Mexicani Nova Hispaniae: mappa di Johann Baptist Homann (1740)

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Foto: Oronoz / Album

Oro, argento e indigeni

Con la scoperta, le esplorazioni e la conquista dei territori oltremare, il commercio su larga scala riguardava soprattutto lo scambio di spezie, schiavi e metalli preziosi. Cristoforo Colombo, nei suoi resoconti di viaggio sul Nuovo Mondo, racconta della grande ricchezza della popolazione indigena: «Questi uomini ch’io porto meco da San Salvador dicono a segni esservi molto oro, portando gli abitanti bracciali alle gambe e alle braccia e alle orecchie e al naso e al collo»; l’esploratore riferisce, inoltre, della nudità e dell’ingenuità dei nativi che gli andavano incontro a nuoto dalla terraferma.

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Nel suo diario, Colombo fa un resoconto, tuttavia, anche della brutalità di alcune pratiche degli indigeni delle isole dei Caraibi: «C’erano uomini con un solo occhio e altri con musi di cane che mangiavano gli uomini e che, quando ne prendevano uno, gli tagliavano la testa e gli recidevano il membro virile».

L’insaziabile sete dell’oro

Prima del 1500 il commercio dalle Indie, che per gli europei erano ancora le “Isole e la Terraferma del Mare Oceano” situate di fronte alle coste della Cina o del Giappone, appariva come un fallimento. Nonostante che nel secondo viaggio di Colombo (1493-1496) avessero attraversato l’Atlantico «lavatori per separare l’oro dalla sabbia», la quantità del prezioso metallo, trovato nei fiumi e nelle miniere delle Antille, era scarsa e risultò insufficiente per promuovere la colonizzazione e il traffico marittimo oltreoceano.

Suonatore di flauto. Statua in argento e malachite. Cultura chimu, XIV-XV secolo. Metropolitan Museum, New York

Suonatore di flauto. Statua in argento e malachite. Cultura chimu, XIV-XV secolo. Metropolitan Museum, New York

Foto: Brudgeman / Index

Così ebbe inizio nel XVI secolo la conquista: inizialmente nei territori di Santo Domingo (chiamato dagli indigeni Haiti o Quisqueya e battezzato da Colombo Hispaniola), Portorico, Cuba e Giamaica, ci fu la cosiddetta raccolta dell’oro da parte dei conquistadores spagnoli, a cui si sommarono lo sfruttamento delle terre e la riduzione in schiavitù della popolazione locale, impiegata nelle encomiendas, nei depositi auriferi, e successivamente nella ricerca di perle nei territori dell’isola di Cubagua (Venezuela) e a Panama. A partire dai primi anni del secolo, le grandi civiltà precolombiane furono a mano a mano assoggettate dai dominatori stranieri: nel 1519 l’esercito del conquistatore spagnolo Hernán Cortés invase i territori dell’impero azteco in Messico, successivamente furono occupati i territori dei maya in Guatemala e degli incas nelle Ande peruviane. Alla ricerca di un passaggio verso l’Oriente, il portoghese Ferdinando Magellano scoprì nel 1520 lo stretto che porta il suo nome. In questa fase della conquista, i metalli preziosi provenivano soprattutto dai tesori delle popolazioni indigene.

La colonizzazione

Terminata la conquista, fu la colonizzazione, con lo sviluppo di nuovi nuclei urbani, che determinò una svolta significativa nell’attività di estrazione e di commercio dei metalli preziosi, in particolare di oro e argento. A partire dalla metà del cinquecento l’oro fu estratto nei territori messicani, come Tehuantepec nella regione dell’Oaxaca, mentre nella Nuova Granada, regione dell’impero coloniale spagnolo nell’attuale Colombia, già a partire dal XVII secolo. Nella Castiglia dell’Oro, comprendente i territori oggi occupati da Panama e Costa Rica, lo sfruttamento dei giacimenti auriferi ruotava attorno al distretto di Veragua e durò fino a che non si esaurirono.

Sui bacini dei fiumi colombiani Magdalena e Cauca, i coloni, padroni delle miniere, con squadre di schiavi indigeni e, con il passare del tempo, di popolazione nera proveniente dall’Africa, fondarono villaggi e città. Buritica, Santa Fe o Barbacoas, nella regione di Antioquia, e Pamplona, nel dipartimento di Norte di Santander in Colombia, furono i primi produttori d’oro nelle antiche colonie spagnole in territorio americano. Un altro Paese importante nell’estrazione dell’oro fu il Cile, che però a causa del territorio inospitale riuscì a sfruttare poco le proprie risorse minerarie rispetto agli altri stati. L’immagine dell’America come fallimento economico nacque in seguito al rapido esaurimento dei giacimenti d’oro; sebbene non abbandonata completamente, questa attività estrattiva fu sostituita ben presto da quella dell’argento, che divenne poco dopo il commercio principale delle colonie iberiche del Nuovo Continente.

Lavoro nelle miniere: xilografia di Theodoor de Bry in Historia Americae Sive Novi Orbis, 1596

Lavoro nelle miniere: xilografia di Theodoor de Bry in Historia Americae Sive Novi Orbis, 1596

Foto: AKG / Album

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Bramosia d’argento

La vera ricchezza americana non fu infatti l’oro, bensì l’argento, che per i successivi tre secoli, fino all’indipendenza delle colonie americane, favorì la colonizzazione, si riversò in grande quantità in Europa e soprattutto prese la via dell’Oriente andando a ripagare le importazioni dall’India e dalla Cina. Poco dopo la conquista fu chiaro al conquistatore spagnolo Hernán Cortés e a molti dei suoi successori che il Messico fosse ricco di metalli; per l’estrazione dell’argento, fu ben presto organizzata nelle terre dell’ex impero degli aztechi una vera rete di miniere, molte delle quali divennero poi degli importanti centri urbani: in particolare sono da ricordare Zacatecas, Guanajuato, Patrimonio dell’Umanità UNESCO dal 1988 assieme alle miniere adiacenti, così come la vicina miniera di La Valenciana, poi Taxco, Guadalajara, Oaxaca e infine San Luis Potosí.

Nelle miniere di Pachuca, in Messico, Bartolomeo di Medina inaugurò nel 1557 il cosiddetto “processo del patio”, un metodo di amalgamazione dell’argento con il mercurio, che sostituì il costoso metodo della fusione e fu utilizzato fino alla seconda metà del XIX secolo. Questo processo consisteva nel macinare il metallo con l’acqua, per poi raccoglierlo in mucchi di trecento tonnellate su una vasta spianata (patio). Dopo un mese, a questa amalgama d’argento era aggiunto il mercurio, che successivamente veniva eliminato. Grazie al “processo del patio” si poté sviluppare l’industria mineraria dell’argento, soprattutto nell’Alto Perú, a Charcas, capitale della Bolivia. In questa regione boliviana, già in epoca preispanica esisteva la miniera di Potosí, il più importante giacimento d’argento di tutti i tempi: nel 1545 fu scoperto nella montagna di Potosí, detta Cerro Rico, a 4000 metri d’altezza, un altipiano desolato che conteneva una grande quantità di vene d’argento. Una decina di anni dopo il villaggio costruito ai piedi della montagna divenne Villa Imperial e aumentò la sua popolazione da circa 12mila abitanti a 160mila intorno al 1625, divenendo la città più popolosa dell’impero spagnolo.

Oltre all’introduzione dell’amalgamazione dell’argento con il mercurio, nel giacimento di Potosí fu impiegato, per aumentare la produttività, un metodo di rotazione del lavoro, chiamato mita, che esisteva presso gli incas già prima dell’arrivo degli spagnoli e che consisteva in turni obbligatori non retribuiti. Un’altra importante novità nell’estrazione dell’argento fu il ritrovamento, nel 1563, di una miniera di mercurio, a Huancavelica (Perú), che permise di interrompere l’importazione dalla Spagna di questo metallo. Questo, infatti, giungeva a Potosí dopo aver attraversato l’Atlantico fino a Panama, essere imbarcato nuovamente per il porto di Callao; poi veniva portato a Lima e infine trasferito in cima al Cerro Rico a dorso di mulo.

Verso di una moneta d’argento del valore di otto reales, coniata con il metallo estratto a Potosí nel 1590, durante il regno di Filippo II

Verso di una moneta d’argento del valore di otto reales, coniata con il metallo estratto a Potosí nel 1590, durante il regno di Filippo II

Foto: AKG / Album

Il sistema di sfruttamento delle miniere oltreoceano contribuì al successo delle colonie, nonostante il territorio, secondo un’applicazione del diritto romano, fosse stato riconosciuto come un privilegio della Corona spagnola. Questa forniva concessioni per i siti minerari nelle Americhe e, in cambio, riceveva il cosiddetto quinto real, una tassa pari a circa il venti per cento dell’argento estratto. Grazie alla quantità di mercurio che era consegnata alle miniere per realizzare il processo del patio era possibile conoscere con precisione la quantità di argento estratto. Non c’era modo, perciò, di rubare neanche un centesimo ai sovrani europei.

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Per saperne di più

L’epoca moderna e il colonialismo. A cura di Andrea Duè, Jaka Book, Milano, 1998.
La congiura di Cortés. Matilde Asensi, Rizzoli, Milano, 2012.

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