Karakorum: la spedizione dimenticata

Nel 1929 il duca di Spoleto Aimone di Savoia Aosta guidò una spedizione geografica che aveva come obiettivo esplorare i ghiacciai del Karakorum. Ma il particolare momento storico e una serie di circostanze sfavorevoli fecero precipitare la spedizione nell'oblio

Dicembre 1926. Sulla scrivania di Benito Mussolini arriva la proposta per una spedizione geografico-alpinistica firmata da tre noti alpinisti Gaetano Polvara, Vittorio Ponti e Giovanni Albertini. Il piano è ardito: studiare il ghiacciaio del Baltoro e tentare la conquista del K2, che con i suoi 8.611 metri è la seconda vetta più alta del mondo. Si trova nella catena montuosa del Karakorum – letteralmente «montagne nere» o «ghiaia nera» – a nord-ovest dell’Himalaya, una zona familiare agli italiani. Nel 1909 Luigi Amedeo di Savoia, il duca degli Abruzzi, arriva a 6.666 metri sul K2, un’altitudine mai toccata prima su quella cima.

Non solo, nella stessa spedizione aveva poi stabilito un nuovo record mondiale di altitudine, raggiungendo i 7.498 metri di quota sul Bride Peak – Chogolisa –, nell’attuale Pakistan. Ma non era il solo italiano ad essere giunto nel Karakorum. Nel 1913-1914, il medico Filippo De Filippi e il geologo Giotto Dainelli esplorano ancora la regione riscuotendo apprezzamenti nella comunità scientifica internazionale. Tornare sul Karakorum diventa quindi una questione di orgoglio nazionale perchè, come scrivono i tre alpinisti a Mussolini: «Il completare un’opera iniziata da italiani è diritto di Italiani». Tanto più se il ‘primato nazionale’ rischia di essere scippato da nuove imminenti spedizioni inglesi e tedesche che mirano ad esplorare la regione. L’Italia poi è reduce da un’altra clamorosa impresa sui ghiacci. A maggio, infatti, Umberto Nobile con l’esploratore norvegese Roald Amundsen e lo statunitense Lincoln Ellsworth sorvolano il Polo Nord per la prima volta col dirigibile Norge.

I paesaggi del Karakorum

I paesaggi del Karakorum

Foto: Archivio Giuliana Chiardola

Due spedizioni per il decennale

L’impresa di Nobile stimola nuove sfide. A Milano il podestà Ernesto Belloni propone di organizzare due spedizioni per celebrare, nel 1928, il decennale della vittoria italiana nella Prima Guerra Mondiale: una artica guidata da Nobile per conquistare effettivamente il Polo e un’altra al Karakorum. Per quest'ultima Mussolini approva il progetto in linea di massima, ma non garantisce il supporto finanziario del governo. Si promuove allora un comitato finanziatore che include la Società Geografica Italiana, il Club Alpino Italiano, banche, aziende, privati cittadini e giornali, fra cui il Corriere della Sera e il Popolo d’Italia, guidato da Arnaldo Mussolini, fratello del duce. Pure il re Vittorio Emanuele III invia un suo contributo di 50.000 lire (circa 34.000 euro) mentre il Comune di Milano stanzia 3,5 milioni di lire (circa 2 milioni e mezzo di euro). Così, il 19 aprile 1928 Nobile, forte anche dell’esperienza maturata nella precedente esplorazione polare, parte col dirigibile Italia. L’organizzazione della spedizione al Karakorum procede invece a rilento. Il comune di Milano nomina Dainelli capo della spedizione, ma presto emergono alcuni contrasti con Polvara, che insiste per tentare la scalata al K2. Così, il geologo in forte disaccordo con tale obiettivo e timoroso che un fallimento della scalata affossi sia il prestigio della spedizione che l’immagine dell’Italia, si dimette ancora prima di partire.

Ma ecco che un colpo di fortuna cambia le carte in tavola quando Aimone di Savoia Aosta, duca di Spoleto, chiede alla Società Geografica di partecipare in qualità di fotografo. Aimone, ufficiale della Regia Marina, non solo è un membro della famiglia reale, ma è anche nipote del duca degli Abruzzi, ben noto in tutti i circoli scientifico-esplorativi del mondo. Affidare a lui la missione significa anche aumentare il prestigio della spedizione, specie per la monarchia che intravede un notevole ritorno d’immagine. In poco tempo arrivano numerose domande di partecipazione. Diversi si fanno raccomandare dalla politica: chi dal vice presidente della Camera e chi addirittura da Alessandro Chivaolini, il potente segretario particolare del duce. Ma è il duca ad avere l’ultima parola sulla selezione. Sceglie così Mario Cugia, ufficiale di marina e vice capo spedizione, espertissimo in misurazioni geodetiche; Ardito Desio, geologo e veterano di tante esplorazioni nei territori d’oltremare; Giuseppe Chiardola, esperto alpinista e topografo che, per questioni di lavoro, ha rinunciato poco prima all’invito di Nobile di far parte della spedizione al Polo Nord; Ludovico di Caporiacco, zoologo; il medico Gino Allegri; il radiotelegrafista Angelo Anfossi; le due guide alpine Leone Bron ed Evaristo Croux; il capo carovana Umberto Balestreri e l’alpinista Vittorio Ponti. Infine, Massimo Terzano, documentarista e uno dei più importanti direttori della fotografia dell’epoca. Sarà lui a girare il film della spedizione e curare i reportage fotografici, i cui diritti serviranno a ripianare i costi organizzativi.

Il cineoperatore Massimo Terzano

Il cineoperatore Massimo Terzano

Foto: Archivio Giuliana Chiardola

Il 6 maggio 1928 il duca presenta il piano: aumentare la conoscenza scientifica sul Karakorum e i suoi ghiacciai e tentare qualche ascesa nelle cime più importanti. La Regia Aeronautica si propone addirittura di supportare la spedizione tramite ricognizioni aeree della regione, assistenza logistica agli alpinisti e, qualora rimangano isolati, organizzare operazioni di soccorso aereo segnalando la loro posizione. Roba da moderno soccorso alpino, impensabile ai tempi del duca degli Abruzzi, ma è il segno di un progresso tecnologico che avanza. Venti giorni dopo però accade l’imprevisto.

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La tragedia del Polo Nord

Il 25 maggio i telegrafi di tutto il mondo battono la notizia che l’aeronave Italia è precipitata sui ghiacci polari. Nobile è disperso sulla banchisa con nove uomini. Gli altri sei scompaiono per sempre, ma un attimo prima di essere trascinati via dall'involucro del dirigibile, riescono miracolosamente a gettare fuori bordo delle attrezzature e una tenda. Nell'estremo tentativo di diventare più visibili ed essere così tratti in salvo, i superstiti la dipingono di rosso con dell'anilina – un colorante utilizzato per le misurazioni altimetriche le cui fiale sono cadute dal relitto del dirigible – e vi si rifugiano per 48 lunghissimi giorni: l'odissea della Tenda Rossa avrà fine solo il 12 luglio, con il riscatto dei superstiti. In quel mese e mezzo d'angoscia, l’opinione pubblica italiana e internazionale è sotto shock e la tragedia rischia di compromettere il prestigio nazionale, un aspetto non da poco per la propaganda di regime. Così, mentre il governo affronta la situazione, il nuovo podestà di Milano, De Capitani d’Arzago, prosegue nell’organizzazione della spedizione al Karakorum. Stavolta però Mussolini è categorico: «Leggo sui giornali dei tuoi colloqui per la spedizione al Caracorum – gli telegrafa - credo che il pubblico italiano in genere e milanese in particolare, vedrebbe volentieri il rinvio sine die della spedizione stessa. È tempo questo di raccoglimento morale e finanziario». La spedizione rischia di arenarsi.

I componenti della spedizione. Al centro, seduto, il duca di Spoleto

I componenti della spedizione. Al centro, seduto, il duca di Spoleto

Foto: Archivio Giuliana Chiardola

Il duca di Spoleto fa un estremo tentativo col duce per chiedere il supporto finanziario del governo nella speranza di salvare il progetto. Si appella anche all’orgoglio nazionale evidenziando come in Gran Bretagna già si parli dell’imminente esplorazione italiana al Karakorum, la cui cancellazione comprometterebbe il prestigio italiano di fronte agli inglesi, da sempre agguerriti esploratori e alpinisti. Mussolini però rimane ambiguo: acconsente alla spedizione, ma non garantisce un contributo finanziario, nonostante dica al duca che «un successo alpinistico beneficerebbe la psicologia delle masse che di solito ignorano i risultati scientifici». Alla fine, per ridurre i costi si è costretti a rinunciare proprio alla parte alpinisitica e alla proposta di supporto aereo logistico e fotografico dell’Aeronautica.

La spedizione e l’oblio

Il 2 febbraio 1929 la spedizione parte per l’India. A metà marzo sbarca a Bombay (oggi Mumbay), dove approntano l’attrezzatura geodetica nella sede del Servizio Topografico Indiano e reclutano la carovana di portatori locali. Si parte quindi verso Srinagar, nel Baltistan, percorrendo circa 2000 chilometri in due giorni; poi si lasciando indietro Skardu e Shigar, dove attraversano l’omonimo fiume, infine Askolè, «ultimo villaggio civilizzato della valle» scrive il duca, nei cui pressi si organizza il campo base. Per sette mesi gli esploratori conducono numerosi studi geoglogici, zoologici, metereologici e di magnetismo terrestre. Il ghiacciaio del Baltoro è minuziosamente mappato e misurato, ne vengono fuori quattro carte geografiche. Il duca esplora anche la media valle dello Shaksgam (zona settentrionale del Karakorum dove nel 1926 la spedizione inglese di Kenneth Mason si è dovuta fermare) e il passo del Golden Throne, nel gruppo del Gasherbrum, raggiungendo un’altitudine di circa 6800 metri.

Pausa al campo base. Al centro, il gagliardetto del Club Alpino Italiano

Pausa al campo base. Al centro, il gagliardetto del Club Alpino Italiano

Foto: Archivio Giuliana Chiardola

Alla fine di ottobre la spedizione rientra in Italia e la Società Geografica organizza una conferenza per illustrare i risultati raggiunti. La pubblicità è essenziale per ripianare i costi della spedizione. Si stima di recuperare circa un milione di lire dalla vendita dei diritti per i servizi giornalistici, delle conferenze e del film Paradiso Bianco girato da Massimo Terzano. Invece, la mancanza di un’adeguata pubblicità e la scarsa distribuzione del film impattano sulla diffusione della storia dell’esplorazione. A poco servono le conferenze organizzate nelle varie sedi del Club Alpino Italiano. L’immagine della Società Geografica rischia di uscirne compromessa perché «nel frattempo – afferma il suo presidente – altre spedizioni estere sono giunte nell’Himalaia e sul Karakorum, a cui certamente i risultati della spedizione italiana avrebbero giovato». La mancanza di fondi blocca pure la pubblicazione del libro La Spedizione Geografica Italiana al Karakorum, scritto da Aimone di Savoia e Ardito Desio.

Si perde così l’occasione di pubblicizzare tale lavoro e i risultati ottenuti sul Karakorum in due importanti appuntamenti scientifici internazionali del 1931: la conferenza per il centenario dell’Associazione Britannica per le Scienze e il Congresso Geografico Internazionale di Parigi. Il libro esce solo nel 1936 grazie ad una sottoscrizione di fondi, ma ormai i giorni dell’esplorazione del Karakorum sono lontani. Ora si parla solo di Etiopia e di impero. Finisce così nell’oblio la spedizione nata con l’audace obiettivo di conquistare il K2. Una pagina importante di scienza che il poco interesse del governo, la scarsezza di fondi e le conseguenze della tragedia del dirigibile Italia contribuiscono a far dimenticare. Solo nel 1954 il K2 diventa ‘la montagna degli italiani’, quando la spedizione di Ardito Desio conquista finalmente la sua vetta. Per l’Italia del secondo dopoguerra è un incredibile risultato. Il Paese è nuovamente protagonista sullo scenario alpinistico mondiale, come ai tempi del duca degli Abruzzi e di De Filippi, in un momento in cui il mondo assiste a grandi imprese sulle vette più inaccessibili: appena un anno prima il neozelandese Edmund Hillary e lo sherpa nepalese Tenzing Norgay hanno infatti piantato la bandiera inglese sulla cima dell’Everest.

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