Julis Kugy intorno al 1890
Foto: Pubblico dominio
C'è stata un'epoca in cui andar per monti a scopo ludico era considerato un vezzo di pochi eccentrici signori benestanti. Era il tempo in cui i monti erano ancora vergini e le vie tutte da segnare. L'obiettivo degli alpinisti non era la performance, ma la scoperta della montagna nel pieno rispetto della natura e dei limiti umani: una visione contemplativa e poetica di quello che per molti era ancora un ambiente minaccioso.
La giovinezza
Julius Kugy naque a Gorizia il 19 luglio del 1858 da una famiglia benestante. Il padre, Paul, era originario della Carinzia, una regione dell'Austria meridionale, ed era emigrato a Trieste l'anno prima. Lì, sfruttando la dinamicità del commercio che ruotava attorno al porto franco, aveva fondato una ditta d'import-export con un socio, Carlo Giovanni Pfeifer. I due commerciavano in generi coloniali, olio e frutta secca. Quando un'epidemia di colera colpì la città, la famiglia si spostò temporaneamente a Gorizia, dove la moglie, Julia Vessel, diede alla luce il secondogenito, Julius. Il ritiro durò comunque poco, e il piccolo venne battezzato a Trieste dove crebbe e iniziò a studiare prima con un istitutore, il signor Kühnau, poi presso il liceo tedesco. Fu proprio Kühnau che lo introdusse alle passeggiate in Carso e gli presentò Rudolf Baumbach, botanico e poeta bohémien che gli fece da mentore. «Nacque così questa bella e scelta triade botanica» scrisse lo stesso Kugy, il quale si definì altresì «un giovane felice e invidiabile» per merito di queste frequentazioni. Sull'esempio dei suoi maestri, cominciò a tenere un erbario, attività che lo appassionava al punto di scambiare piante per corrispondenza con altri collezionisti.
La Scabiosa Trenta
Fra gli studiosi di botanica c'era Muzio de Tommasini (1794-1879), che era stato podestà di Trieste dal 1850 al 1861 e in tale veste aveva creato il giardino pubblico della città e fatto rimboschire il Carso circostante. Kugy, di molto più giovane, era entrato nel suo entourage e insieme passeggiavano volentieri sull'altipiano osservando la flora locale. Nel 1877 Tommasini mostrò a Kugy uno schizzo realizzato a mano un secolo prima. L'autore era il naturalista Baltasar Hacquet (1739-1815), considerato il primo esploratore delle Alpi Giulie, e rappresentava un piccolo fiore bianco che aveva chiamato Scabiosa Trenta. Lo stesso Tommasini l'aveva cercato per lungo tempo nella Val Trenta, solcata dall'Isonzo sloveno, senza mai trovarlo. Dopo la scoperta da parte di Hacquet, sembrava svanito nel nulla. Per Kugy fu un colpo di fulmine. Definì la Scabiosa una «piccola principessa del paese dei sogni» e decise, come un cavaliere errante alla ricerca della bella addormentata, di trovarla. Interpretando le poche e scarne indicazioni lasciate da Hacquet, passò trent'anni girovagando in ogni momento libero dagli affari di famiglia sul monte Triglav, nelle Alpi Giulie slovene, e arrivò ad assoldare guide locali per farsi aiutare nella ricerca, senza mai alcun esito.
Solo molto tempo dopo, nell'autunno del 1915, quando la guerra era già scoppiata e Kugy si trovava al fronte, il botanico austriaco Anton Kerner von Marilaun svelerà l'arcano: la Scabiosa Trenta è solo un equivoco, un errore di Hacquet che aveva in realtà trovato una comune Cephalaria Leucantha, la cosiddetta "vedovina a teste bianche". Kerner capì l'inghippo studiando il campione originale conservato nell'erbario del museo di Lubiana. Kugy avrebbe forse potuto venirne a capo passeggiando meno sui monti e praticando piuttosto l'archivio, ma non se ne pentì mai, perché grazie alla piantina aveva vissuto indimenticabili giornate in montagna.
Un esemplare di 'Cephalaria Leucantha', o 'vedovina a teste bianche', che il naturalista Hacquet prese per un fiore sconosciuto
Foto: Victor M. Vicente Selvas, CC BY-SA 3.0, https://tinyurl.com/ab6wadbu
Le Giulie di Julius
Fu dunque la passione per la botanica ad avvicinare Kugy alla montagna. A diciassette anni salì il Triglav, l'anno successivo il Mangart, sempre nelle Alpi Giulie. Finito il liceo, si trasferì a Vienna dove nel 1883 conseguì la laurea in giurisprudenza. Rientrato a Trieste, cominciò la vita adulta lavorando presso la pretura e frequentando la società Schiller, centro musicale e luogo d'incontro della borghesia di lingua tedesca. Dopo qualche mese, però, un grave lutto colpì la famiglia: il 28 agosto 1833, infatti, il padre Paul morì, e Julius dovette prendere le redini dell'attività di famiglia assieme al fratello Paul. Questi però ben presto cominciò a mostrare i segni di una malattia mentale, e venne pertanto ricoverato in una clinica di Vienna lasciando a Julius ogni responsabilità.
Questi, che era stato riformato alla visita di leva, si mise alla guida dell'azienda. Nel poco tempo libero si dedicava alle sue grandi passioni: la musica (teneva anche concerti d'organo presso la chiesa mechitarsita d'appartenenza), e la montagna. Appena possibile partiva per le Alpi Giulie alla ricerca della Scabiosa o di nuove avventure in alta quota. L'indole contemplativa di Kugy lo spingeva a ripetere più volte le stesse vie, quasi volesse interiorizzarle e farle proprie. Al tempo stesso, però, ne aprì di nuove. Il suo nome è associato prima di tutto allo Jôf di Montasio, di sui scalò la temutissima parete nord in pieno inverno. Ma conquistò anche le vette del monte Canin, dello Jôf Fuart, della Škrlatica e, come già detto, dell'amato Triglav, dove tornò almeno una quarantina di volte. Spesso Kugy, che fin da bambino parlava correntemente le tre lingue di Trieste, il tedesco, l'italiano e lo sloveno, esplorava le Giulie in compagnia di alpinisti e guide delle tre aree, persone che superavano le differenze linguistiche in nome dell'amore per la montagna. Iscritto alla Società alpina friulana dal 1898, dal 1902 cominciò a collaborare in qualità di autore con la rivista In Alto, facendosi così conoscere anche in Italia.
Il Jôf di Montasio
Foto: Johann Jaritz, CC BY-SA 3.0, https://tinyurl.com/vdc7bk4v
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Al fronte
Quando scoppiò la Prima guerra mondiale, Julius Kugy aveva ormai cinquantasei anni. Ciononostante, decise di arruolarsi come volontario nell'esercito austro-ungarico per dare il proprio contributo alla difesa di quel confine montuoso che tanto amava. Gli venne conferito il titolo di referente alpino e lui, che non aveva esperienza militare, fondò una scuola di arrampicata in cui insegnava l'arte della parete ai soldati. Le sue mansioni erano innumerevoli: perlustrava i monti e sceglieva dove piazzare l'artiglieria, verificava lo stato di strade e mulattiere che l'esercito avrebbe percorso, sistemava e allestiva i rifugi, passava in rassegna gli equipaggiamenti, seguiva persino i bollettini meteorologici. Il suo servizio era eccellente, tanto che venne decorato con la medaglia dell'ordine imperiale di Francesco Giuseppe. Nonostante le pressioni dei superiori, che non sempre vedevano di buon occhio l'impegno militare di un civile, Kugy continuò a svolgere il suo incarico e partecipò a diverse battaglie, fra cui quella di Caporetto. Poi, il 2 luglio 1918, provato dalle fatiche della guerra e dall'età, chiese il congedo. Ormai, la guerra era perduta.
Schizzo cartografico della parte orientale delle Alpi Giulie di Kugy. Rivista dell'Associazione alpini tedeschi e austriaci, 1883
Foto: Pubblico dominio
Die katastrophe
Il 3 novembre del 1918 una flotta formata da quattro cacciatorpediniere italiane entrò vittoriosa a Trieste. A bordo della prima, l'Audace, c'era il generale Petitti di Roreto, che una volta sceso a terra prese formalmente possesso della città in nome di re Vittorio Emanuele III. In quelle ore, davanti a quella che chiamavano die Katastrophe, molti triestini di lingua tedesca e “austriacanti” (nome dispregiativo che indicava gli italiani filoaustriaci) abbandonarono la propria città per rifugiarsi a Vienna o a Graz. Nei mesi successivi, chi era rimasto a Trieste rimase spesso vittima di rappresaglie antiaustriache e di delazioni. Anche la popolazione di lingua slovena venne vessata. Si respirava un'aria da conquista coloniale, più che da terra redenta. L'italianizzazione forzata venne attuata fin da subito. Ciononostante, Kugy decise di rimanere a Trieste. Ma il lutto per la morte del fratello e la fine del suo mondo lo portarono alla depressione.
A ciò si aggiunsero i rovesci finanziari. L'epoca d'oro del porto franco era finita, costringendolo a vendere l'azienda di famiglia. Si recò a Vienna per un anno, in clinica, e si riprese grazie alla scrittura raccontando delle sue Alpi, pubblicando libri, tenendo conferenze in Europa. Nel 1925 diede alle stampe Aus dem leben eines bergsteigers (Dalla vita di un alpinista nella versione italiana). Nella sua prima edizione il libro, scritto durante il conflitto mondiale, omise il capitolo nove, proprio quello che parlava della sua esperienza bellica. Ma i tempi erano delicati, e Kugy decise di non esporsi parlando dal punto di vista del nemico (solo nel 2008 verrà pubblicata la versione integrale). La dittatura fascista era ormai una realtà che non vedeva di buon occhio i non italofoni, che nel caso delle genti di confine divennero sempre più nemici in casa propria. Nel 1941, all'età di ottantatré anni, Kugy venne arrestato nel corso di un rastrellamento di elementi filoslavi. Quell'uomo pacato e distinto venne rinchiuso in una cella comune dove non era nemmeno possibile espletare le proprie necessità fisiologiche in intimità. La galera fu l'ennesimo trauma che si porterà dietro, nonostante il rilascio avvenuto pochi giorni dopo. Kugy morirà di polmonite contratta in prigione il 5 febbraio del 1944, in un mondo che ormai non gli apparteneva più.
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