«Il suo sguardo è folgore, la sua parola tuono, il suo scherzo morte, la sua vendetta inferno». Con queste parole, nel 1773 il teologo Johann Kaspar Lavater descrisse in una lettera il suo amico Johann Heinrich Füssli. Già da quel tempo attorno al pittore si era creato un vero e proprio mito “demoniaco” che lo accompagnò per tutta la vita. Del resto, lo stesso Füssli portava avanti questa immagine di sé, come quando si definiva un «pittore al servizio del diavolo». E, in effetti, ben lo confermano le sue opere, in cui viene evocato un mondo sovrannaturale, popolato da figure mostruose e demoniache che, sebbene ancora in età neoclassica, anticipano il gusto romantico.
Ritratto di Johann Heinrich Füssli realizzato da James Northcote nel 1778
Foto: Pubblico dominio
Johann Heinrich Füssli nacque a Zurigo il 6 febbraio 1741, secondo di cinque figli di Johann Caspar, un funzionario comunale e di sua moglie, Elisabeth Waser. Il padre, che era anche un pittore dilettante e appassionato d’arte (intorno al 1755 pubblicò anche un libro sulla storia dell’arte elvetica), fece crescere Johann Heinrich in un ambiente colto e intellettualmente stimolante: il giovane, infatti, frequentava intellettuali di spicco come Lavater, il pedagogista Johann Heinrich Pestalozzi e il letterato Johann Jacob Bodmer. Grazie a queste frequentazioni ricevette una solida educazione classica e si appassionò alla lettura di Omero, Dante, Shakespeare e Milton, la cui ispirazione sarebbe stata fondamentale per sua produzione pittorica. Non frequentò alcuna scuola di pittura, imparando a dipingere da autodidatta a partire da quando aveva circa dieci anni.
Nel 1761, per volontà della famiglia che gli aveva imposto studi ecclesiastici, fu ordinato ministro zwingliano (una confessione protestante). L’anno successivo, insieme all’amico Lavater pubblicò un pamphlet contro un magistrato locale corrotto e, per evitare ripercussioni, fu costretto a lasciare la Svizzera. Iniziò a viaggiare in diverse zone dell’Europa, poi nel 1764 si stabilì a Londra, città che in quel periodo era caratterizzata da una grandissima vivacità culturale. Qui Füssli iniziò a farsi chiamare “Henry Fuseli”, frequentò gli ambienti teatrali – assistette spesso alle rappresentazioni delle opere di Shakespeare, che successivamente divennero uno dei suoi soggetti pittorici preferiti – trovò impiego come precettore e pubblicò anche alcuni suoi saggi di arte e filosofia che però non ottennero particolare successo di critica. Dopo l’incontro con Joshua Reynolds, uno dei più importanti pittori britannici del tempo, decise di dedicarsi alla pittura.
'Tiresia predice il futuro di Odisseo'. Johann Heinrich Füssli. 1804-1810. National Museum of Wales
Foto: Cordon Press
Nel 1770, grazie all’appoggio economico del banchiere reale Thomas Coutts, suo amico e mecenate, giunse in Italia, dove rimase per ben otto anni, visitando varie città, tra cui Firenze, Napoli, Pompei ed Ercolano. Si fermò però soprattutto a Roma, dove vide le antichità classiche: ne rimase molto impressionato, ma fu anche addolorato alla vista di quelle effigi del passato vittime della furia distruttrice del tempo, come testimonia il disegno La disperazione dell’artista davanti alla grandezza delle rovine antiche, in cui Füssli rappresentò un uomo (forse sé stesso) in lacrime davanti ai resti della colossale statua dell’imperatore Costantino. Altro elemento “sconvolgente” per il pittore svizzero fu la scoperta dei capolavori di Michelangelo, che riprodusse in numerosi disegni.
Tornando dall’Italia, sostò brevemente a Zurigo, dove si innamorò di Anna Landolt von Rech, una nipote di Lavater. Il padre di lei, però, si oppose alla relazione e poco dopo la ragazza sposò un altro uomo. Sempre in città, più o meno nello stesso periodo ebbe una breve liaison anche con Magdalena, la moglie di un suo amico, che posò per lui insieme alla sorella in diversi disegni. Deluso da queste esperienze amorose, fece definitivamente ritorno in Inghilterra. Qui s’innamorò nuovamente e il 30 luglio 1788 sposò Sophia Rawlins di Bath-Easton, che gli feceva spesso da modella. A partire dagli anni ottanta del XVIII secolo e fino alla morte, alternò la carriera di pittore a quella di scrittore di argomenti che spaziavano dalla letteratura, alla filosofia e alla traduzione di testi. Tra il 1788 e il 1818, per esempio, scrisse centinaia di aforismi, come il seguente: «A colui che è in grado di compiere un’opera si avvicina più di tutti quanti gli altri colui che sa nascondere di non esserne in grado». Morì il 16 aprile 1825 nella casa di campagna di un’amica, la contessa di Giulford, e fu sepolto a Londra.
'The Night-Hag Visiting Lapland Witches'. Johann Heinrich Füssli, 1796
Foto: Heritage Art / Heritage Images / Cordon Press
L'arte come scoperta
Artista eccentrico ed erudito, la sua produzione pittorica è dunque debitrice della sua formazione letteraria, di cui amava cogliere e immortalare gli aspetti più irrazionali e allucinati. Attingendo a opere, come, per esempio, la Commedia di Dante, le tragedie di Shakespeare o gli scritti di William Blake (che fu suo amico per qualche tempo, poi i due interruppero i rapporti) prediligeva le scene più inquietanti. Attraverso l’uso di colori prevalentemente cinerei messi a contrasto con rosso, giallo e ocra e ambientazioni lugubri, ne coglieva il senso visionario e onirico. Nelle sue opere trovavano spazio scene ansiogene, deliri, paure, visioni sinistre e demoniache. Ecco quindi perché Füssli si faceva chiamare “pittore del diavolo”: ne rappresentava il mondo, fatto di sofferenza, disagio e tormento. Così, chi visitava il suo studio si imbatteva in un vero e proprio repertorio d’inquietudine infernale, come accadde al pittore Benjamin Robert Haydon che un giorno, trovandosi nella casa londinese di Füssli vide «diavoli galvanizzati, streghe maliziose che fabbricano il loro incantesimi, Satana teso sul caos e volto in su come una piramide di fuoco […]».
Tuttavia, è bene precisare che sarebbe riduttivo limitare l’arte di Füssli a ciò. Come spiega G. Briganti, infatti: «per lui l’invenzione rappresenta l’unione del possibile e del verosimile con il conosciuto, in modo da affascinare tanto per la verità che per la novità». Dunque, un’arte dal valore quasi pedagogico che spinge alla ricerca e alla riflessione personale. Per Füssli, infatti, il pittore era «un audace che si avventura nei regni della scoperta, si lancia verso lidi sconosciuti o dimenticati da molto tempo, li nobilita col suo nome e afferra l’immortalità», diceva.
'Il sogno del pastore'. Scena tratta da 'Paradiso perduto' di William Blake. Johann Heinrich Füssli. 1793
Foto: Art Media / Heritage Images / Cordon Press
Per saperne di più:
Füssli. Orietta Rossi Pinelli, Giunti, 1997
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