«Vorrei che l’ultimo dei re venisse strangolato con le budella dell’ultimo prete. Questo è l’ultimo e il più ardente dei miei desideri». Queste parole furono scritte da Jean Meslier, parroco di Étrépigny vissuto durante il regno di Luigi XIV, nelle sue Memorie. Si tratta di un corposo manoscritto, rinvenuto dopo la sua morte: una sorta di testamento morale, redatto di suo pugno in tre copie identiche, da far circolare tra gli intellettuali.
Nel testo condannava senza mezzi termini ogni forma di ingiustizia e iniquità. La cecità dei potenti e la noncuranza della Chiesa lo portarono a riconsiderare i principi su cui si basava la sua stessa esistenza, fino alla conclusione che «il n’y a point de dieu», Dio non esiste. Per Meslier, Chiesa e stato erano le due facce della stessa medaglia, fondate sul sopruso a danno delle classi più deboli, cui l’unica soluzione è la ribellione sociale guidata da persone oneste.

Jean Meslier, curato francese, filosofo anarchico e comunista
Foto: Cordon Press
Il curato di campagna
Jean Meslier nacque il 15 giugno 1664 a Mazerny, paesello di mille anime nelle Ardenne Francesi. Unico figlio maschio, crebbe con le tre sorelle in una famiglia borghese. Suo padre era un mercante e possedeva alcuni terreni, con cui garantì benessere ai figli e l’accesso agli studi per il giovane Jean. A vent’anni il ragazzo entrò nel seminario di Reims e il 10 aprile 1688 divenne diacono, ordinato prete nel dicembre dello stesso anno. Venne assegnato alla parrocchia di Étrépigny, a tre ore di marcia dal villaggio natale, dove s’insediò nel gennaio del 1689 e rimase fino alla morte. La sua comunità contava circa 700 fedeli, inclusi gli abitanti di un villaggio vicino; ciò gli assicurò una vita dignitosa, condotta a stretto contatto con la popolazione e la miseria che spesso caratterizzava i territori ai margini del regno.
Come ricostruito nell’articolo di Carlo Andreoni (pubblicato sulla Rivista critica di storia della filosofia nel 1977), Meslier condusse una vita umile e morigerata, al servizio della sua comunità. Ricevette un solo richiamo nel 1716, quando l’arcivescovo di Arles criticò l’inadeguata manutenzione della chiesa e la scelta di posizionare alcuni banchi per i fedeli nello spazio riservato al signore del villaggio, senza richiedere un supplemento. Non solo: il prete avrebbe distribuito gratuitamente ai bambini le particole sconsacrate, assunto una domestica diciottenne (e non cinquantenne, com’era usanza nella diocesi di Reims) e attaccato pubblicamente il signore del villaggio durante un’omelia. Il sacerdote se la cavò con un mese di ritiro e “penitenza” nel seminario di Reims: nonostante queste piccole irregolarità, era considerato un “homme de bien”, un brav’uomo.
“Comunista” ante-litteram
L’esistenza di Jean Meslier trascorse nella tranquillità di provincia, dove nel silenzio delle campagne maturò un pensiero nettamente discorde rispetto a ciò che ci si aspetta da un uomo di chiesa. Non fu l’unico caso: in quel periodo il nord-est della Francia era animato dal pensiero giansenista, secondo cui l’essere umano, macchiato dal peccato originale, non è più in grado di perseguire il bene. L’unica salvezza è la grazia di Dio, che tocca solo i predestinati. L’assenza di redenzione non lascia margine di assoluzione ai peccatori. A ciò si aggiunsero gli studi che il prete coltivò in autonomia: da Lucrezio a Montaigne, i testi di filosofi e pensatori di ogni epoca furono spunto di riflessione per costruire le tesi con cui diede forma al proprio pensiero.

La piccola chiesa di Étrépigny, dove Jean Meslier officiò dal 1689 al 1729
Foto: CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=143617
Nel 1722 Meslier aveva già iniziato a redigere il suo memoriale, animato da idee controcorrente ed estremamente moderne per l’epoca. Nel testo, l’autore demistificava le religioni – prima fra tutte il cristianesimo –, considerate uno strumento per legittimare il sopruso e il controllo del popolo, e denunciava ogni cieca ideologia, vista come l’anticamera dell’alienazione individuale. Incitava i lavoratori a unirsi, scambiare idee e a ribellarsi – se necessario con la violenza – contro le persone «superbe e orgogliose» e alle rendite che signori e nobili dell’ancien régime traevano «dagli ingrati lavori» che gravavano sulle classi più povere. Teorizzò una rivoluzione guidata dai parroci dei villaggi francesi e propose di mettere tutti i beni posseduti in comune in ogni parrocchia, a beneficio dell’intera comunità. Il suo pensiero e la critica radicale all’ingiustizia sociale lo resero un “comunista” ante-litteram.
Le prove della non-esistenza di Dio
Furono però le sue idee religiose a fare rumore nei secoli a venire. Meslier elaborò una densa dissertazione sulla non-esistenza di dio, fornendo ben otto prove minuziosamente argomentate. Sostenne la vanità di tutte le religioni, create dall’uomo con il solo fine d’imporsi e prevaricare sul prossimo. Attaccò la figura di Gesù, definito «più fanatico di don Chisciotte», e l’idolatria dei cattolici che credono nella trasformazione di pane e vino nel corpo e nel sangue di Cristo. Il suo pensiero si estese alla vita di coppia: era a favore della libera unione e propose la soppressione del matrimonio, che a suo avviso portava solo dolore, solitudine interiore e miseria. Ricordò come l’amore – soprattutto quello carnale – fosse qualcosa di naturale e non condannabile, né degno di una punizione divina.
Meslier contestò con ardore le sacre scritture e le loro interpretazioni, in cui ritrovava il seme dell’ingiustizia e dell’ineguaglianza sociale. Rifiutò la legittimazione e la santificazione del dolore e della sofferenza: secondo lui, “porgere l’altra guancia” non farebbe che favorire i prevaricatori e condannare i buoni a subire una vita d’ingiustizie. I suoi contemporanei potevano solo accettare il mondo come un «miscuglio confuso di bene e di male», che quindi non poteva essere frutto di una mano divina. Questa visione richiedeva all’essere umano di accettare il male come una «necessità inevitabile» all’evoluzione della società e della specie.

Incisione raffigurante Jean Meslier, probabilmente postuma
Foto: PUbblico dominio
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La luce delle idee
Gli ultimi giorni di Jean Meslier trascorsero in solitudine, dedicati allo studio e alla stesura delle Memorie. Le completò pochi giorni prima di morire: ne parlò per la prima volta in una lunga lettera inviata a venti curati delle parrocchie vicine, cui spiegava il progetto di diffusione post-mortem del manoscritto. Meslier si spense il 30 giugno 1729 nella canonica di Étrépigny. I tentativi di cancellare la sua memoria da parte della Chiesa non mancarono: il parroco venne sepolto nel giardino della parrocchia, senza cerimonia e senza lapide.
Redatte in tre copie identiche, le sue Memorie vennero ricopiate più volte in versione integrale e parziale. Nel giro di pochi anni il testo entrò di rigore tra gli scaffali della letteratura clandestina, fino a raggiungere i principali circoli intellettuali francesi. Fu Voltaire a recuperarne alcuni estratti, che nel 1762 pubblicò con il supporto del barone Paul Henri Dietrich d’Holbach, facendo del “curato di villaggio” – così lo definì – un eroe illuminista, promotore e paladino dell’ateismo.
La creazione di un mito favorevole agli ideali razionalisti sviluppati in quel periodo toglierà spessore alla complessità di Meslier, che per tutta la vita aveva coltivato il proprio pensiero lontano dalla ribalta e da ogni forma di “santificazione” laica. Come emerge dallo stesso manoscritto, il parroco aveva scelto per sé la via dell’umiltà, fino a sconfinare nel nichilismo.

Obelisco nei giardini di Alessandro a Mosca con incisi i nomi di precursori del socialismo e dell'ateismo marxista-leninista, tra cui quello di Jean Meslier
Foto: Pubblico dominio
Questo atteggiamento emerge chiaramente nella parte finale della sua dissertazione: «Io finisco nel nulla, poiché io stesso non sono più di questo, e presto non sarò più niente». L’unica consolazione sta proprio in quelle pagine vergate a mano: «A me è sufficiente aver detto la mia – scrive – occorre vivere per saperlo, i morti non ne sapranno più nulla, è assolutamente inutile pregare per i morti, o inquietarsi per loro».
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