Quando si parla di “gladiatori” è naturale pensare all’antica Roma. Tuttavia, durante la Guerra fredda, in Italia se ne contano oltre seicento: non si tratta di liberti lottatori armati di spada, ma di cellule di un’operazione segreta vicina alle forze filoamericane , creata dopo il secondo conflitto mondiale per controllare e scoraggiare l’avanzata sovietica. Il 24 ottobre del 1990 viene pronunciato per la prima volta il nome di “Gladio”, inserito in una relazione destinata alla Commissione parlamentare sulle stragi terroristiche.
Ne parla pubblicamente il senatore Giulio Andreotti, – storico esponente della Democrazia Cristiana già tre volte presidente del Consiglio e due Ministro della Difesa – interrogato il 2 novembre 1999 in qualità di testimone durante un’udienza del processo Gladio. Con altre fonti collaterali, le sue dichiarazioni permettono di delineare la fisionomia, la missione e le connessioni di questa «struttura di informazione, risposta e salvaguardia» attiva in Italia e ben oltre i confini nazionali. Tutto ciò che si scopre alimenta un’ “ipotesi”, fatta di tanti tasselli ancora in ricomposizione.
Sul confine della contesa
Quando Andreotti fa il nome di Gladio – il cui motto è «silendo libertatem servo» – è trascorso giusto un anno dalla caduta del muro di Berlino. I primi timidi contatti tra l’est e l’ovest del mondo lasciano intendere la speranza di un futuro diverso, lontano dalla strategia della tensione che per oltre quarant’anni aveva dominato lo scacchiere internazionale. Al termine della Seconda guerra mondiale, l’Europa si trovava divisa in due: da un lato l’Alleanza atlantica, capeggiata dagli Stati Uniti e successivamente tradotta nella NATO. Dall’altra il blocco sovietico, comprendente i firmatari del Patto di Varsavia – su tutti la Russia – e altri Stati satellite.
L’Italia si trova proprio lungo la linea di confine tra le due potenze, contesa per la propria posizione strategica. Sebbene sia sotto l’influenza degli Alleati, in quegli anni lo Stivale ospita il più grande partito comunista dell’Europa occidentale, alimentato dalla grande popolarità che i partigiani avevano riscosso con la lotta al regime fascista. Nel 1948 le prime elezioni della nuova Repubblica italiana concretizzano la possibilità che il governo finisca in mano al Fronte Democratico Popolare (composto da Partito Comunista e Partito Socialista Italiano). Questo scenario metterebbe a repentaglio la solidità del blocco atlantico e l’egemonia statunitense, sostenuta invece dalla Democrazia Cristiana.
Giulio Andreotti ascoltato dai magistrati nel processo per la strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969
Foto: Keystone Archives / Heritage Image
Alla ricerca di "alleati"
Nel 1948 la netta vittoria della DC – alimentata da propaganda e sovvenzioni da parte di Washington – riconferma la posizione atlantista dell’Italia e allontana il temuto PCI, la cui influenza viene ulteriormente ridimensionata nel 1949 con l’ingresso dell’Italia nella NATO. Il partito dello scudo crociato non è l’unica cellula di aggregazione filoamericana. L’apertura agli Stati Uniti era iniziata già prima della fine della guerra, quando nel luglio 1943 gli Alleati avevano raggiunto le coste della Sicilia con l’operazione Husky, una manovra militare che contò sul supporto logistico ed operativo offerto dalla mafia locale. La “natura anti-comunista” della criminalità organizzata – così definita dall’ex agente CIA Victor Marchetti – diventa così uno degli strumenti potenzialmente utili al controllo del Paese.
Ma il fronte atlantico annovera anche esponenti dell’estrema destra, che abbandonato il fascismo trovano nella lotta anti-comunista una nuova collocazione. Si tratta tuttavia di una minoranza: la costituzione di organismi di controllo e difesa nei confronti del fronte sovietico passa principalmente attraverso la loggia massonica Propaganda 2 (o P2) e le istituzioni, governate dalla Democrazia Cristiana. Non a caso, durante il primo mandato politico della DC viene istituito il Servizio Informazioni Forze Armate (SIFAR), il primo servizio segreto italiano istituito nel dopoguerra in concomitanza con l’adesione alla NATO. Controllato dal Ministero della Difesa, era a tutti gli effetti gestito in collaborazione con l’americana CIA, che come avveniva in altri Stati dettava le linee operative.
Dopo lo sbarco alleato in Sicilia, il 10 luglio 1943 inizia l'operazione Husky. Nell'immagine, truppe britanniche difendono le vie di Acireale.
Foto: Rue des Archives / Tal / Cordon Press
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Contro-guerriglia
Nello stesso anno – il 1949 – anche Gladio vede la luce, inserita nella costellazione di organizzazioni segrete filoamericane che in quegli anni sorgevano in tutta l’Europa. Belgio, Portogallo, Paesi Bassi, Danimarca, Norvegia, Grecia, Germania, Turchia, Svizzera e Austria sono alcuni tra i Paesi in cui sono state riconosciute strutture simili, sebbene con nomi diversi. Affidata al comando del generale Giovanni Carlo Re, quella italiana sarà ufficializzata solo sette anni più tardi (il 26 novembre del 1956) con un protocollo d’intesa che sancisce il legame tra CIA e SIFAR.
Come dichiarato dal senatore Andreotti nelle più recenti deposizioni, Gladio «è una struttura nella NATO ma non della NATO». Opera «nella più assoluta riservatezza»: è composta da «personale – donne incluse – in grado di assolvere alle proprie funzioni con massima efficienza e senza esporsi». In caso di «invasione militare in Italia, avrebbero dovuto fare azioni di contro-guerriglia», dal passaggio d’informazioni agli atti di sabotaggio, che non escludono l’utilizzo di armi. L'obiettivo: destabilizzare per assicurare il controllo politico-sociale del Paese istituendo una “dittatura morbida”, fondata sulla paura.
Giulio Andreotti fotografato il 16 marzo 1978, il giorno in cui fu sequestrato il presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro e la sua scorta venne trucidata
Foto: Contrasto / Cordon Press
Dietro le quinte
Nel 1974, tra le righe di un articolo al vetriolo pubblicato sul Corriere della Sera, Pier Paolo Pasolini definirà la strategia della tensione un «sistema di protezione del potere». Inserita nel sistema di spionaggio statunitense “Stay behind”, anche Gladio opera “dietro le quinte” ed è legittimata dallo Stato italiano. Ne sono a conoscenza i vertici politici (Presidente della Repubblica, presidente del Consiglio, ministro della Difesa) e militari, mentre il Parlamento e la società civile ne sono all’oscuro. In base a quanto dichiarato da Andreotti, il numero complessivo di “gladiatori” dell’organizzazione si attesta a 622, tra cui rientrano esponenti del comparto militare, politici e civili, ma con ogni probabilità le persone coinvolte dal dopoguerra in poi superano le 1500 unità.
Rimane incerto invece il numero e la natura degli interventi effettuati dal 1949 al 27 novembre 1990, giorno in cui l'allora presidente del Consiglio Andreotti predispone lo scioglimento di Gladio e lo smantellamento di basi e depositi militari, costituiti con il supporto statunitense. L’organizzazione è stata spesso oggetto d’indagini giudiziarie, al fine di verificare eventuali connessioni con alcuni tra i fatti più cupi e sanguinosi del XX secolo. Tra questi, l’assassinio di Aldo Moro, la strage di Bologna, quella di Piazza della Loggia. Complice la desecretazione graduale e non completa degli atti relativi all’organizzazione (gli ultimi rivelati nell’agosto 2021 su direttive del premier Mario Draghi) non è ancora stato possibile fare luce su molti fatti correlati a Gladio. Ad oggi, nessun processo ha portato ad una condanna.
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